nel placare
gli abissi
dell’inquietudine
inseguendo
vortici
di pensieri
si recidono
emozioni
tra i silenzi
del vivere
Lycia Mele
© Riproduzione riservata
Libeccio 1987
𝗱𝗲𝘃𝗶𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗱𝗲𝗹 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼
Donatella Ceria è un artista che esula da correnti specifiche dell’arte contemporanea, evidenziando un proprio linguaggio espressivo confermato da una profonda sensibilità e da un delicato gusto estetico.
Tra i riflessi della sua anima creativa c’è il Tempo, protagonista del nostro vivere. Il Tempo investe i nostri istanti e li dona all’evolversi del ricordo. Ora si rivive l’infanzia con il recupero spasmodico di giochi in miniatura. Ad un’iniziale raccolta, segue la catalogazione e la colorazione con acrilici per disporli su basi di ceramica, che collegate le une alle altre, creeranno un lungo serpente. Al pari di un riflesso d’infanzia che prolunga il vivere e da sostegno ai giorni futuri.
Questa raccolta di materiale, e il successivo assemblaggio, potrebbe evocare il linguaggio espressivo della Junk Art negli anni ’50 e ’60. Ma qui gli oggetti vengono riplasmati in un’accezione che esula da manifesti definiti in ambienti di pura contestazione, permettendo riflessioni più introspettive.
Il recuperare giochi, piccole sorprese delle merendine o delle uova di cioccolato, mi ricorda l’infanzia e l’adolescenza: fasi evolutive di una persona che tracciano il nostro esistere dietro/dentro. Si trascinano al pari di un serpente che ci avvolge talvolta privandoci di respiro. Ma pur sempre ci “seguono” e offrono contenuto al nostro presente, al nostro agire, al nostro pensare. Significati per il nostro essere significante.
La figura del serpente, inoltre, è oggetto di culto presso alcune tribù degli Indiani d’America, in cui si sintetizza il ciclo della vita rivisitabile come acquisizione della saggezza, che viene ad “accumularsi” segnando un’evoluzione scandita dal tempo tesa ad un infinito che avvolge il reale.
La colorazione con gli acrilici riflette colori puri, aggressivi, ribelli che avvolgono per l’intensità della variante cromatica. Esprimono un linguaggio simbolico che vive riflesso su una dimensione “altra”. Quasi una manifestazione dell’esserci. Un io presente che urla la sua presenza. Richiama la vita. In un apparente rifiuto ricerca ordine ed equilibrio.
Voglio evidenziare solo alcuni colori. Il rosso è il primo colore dell’arcobaleno, oltre ad essere il primo colore che i bambini riescono a distinguere. Al pari di un filo lega alla vita passione, vitalità, invincibilità.
Con il blu si scopre la gioia di vivere filtrata da ragione, ovvero non istintività ma riflessione, serenità, equilibrio, saggezza. Sembra il colore del silenzio, in cui decantano i pensieri. Penso alla contemplazione del cielo e del mare e ai lirismi evocati.
Il giallo ci conduce ad un’apertura verso l’esterno. Un movimento che è indice di libertà pur nella consapevolezza del proprio sé. Ci libera per affermarci facendo percepire gioia ed energia vitale.
Anche l’arancione denota apertura alla pluralità, quindi tolleranza ma anche saggezza. Ancora il viola, come risultato del rosso e blu insieme, quale fusione di opposti, induce a pensare a metamorfosi, al sogno, alla fantasia. È il colore dell’arte. Il verde è il colore dell’ottimismo, della crescita, di un’evoluzione e di una speranza.
La disposizione dei piccoli oggetti riflette un gusto estetico che evidenzia armonia. Lo spazio e la materia raggiungono un’equilibrio solido e deciso. Non si percepiscono ripensamenti. La materia riempie lo spazio subordinata ad istinto e creatività. La plasticità della forma seduce ed ipnotizza. Si desidera valutare ed analizzare ogni dettaglio che prevale sull”universale”. La forma finale prevarrà non prima di aver analizzato il particolare, il dettaglio, il frammento.
Il metodo induttivo che intravedo sembra un monito dell’artista che partendo da una base gnoseologica ci conduce alla frammentazione del reale per capire, superare l’istante del presente, conoscere.
Ricordo Italo Calvino che nel Visconte Dimezzato definiva la sapienza a “brani” e scriveva “…bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani” e ancora “Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai la metà di te stesso, e te lo auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrei perso metà di te del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa”. L’essere incompleti non demanda alla superficialità ma alla profondità e al sentimento.
E’ arte di riflessione quella di Donatella Ceria. Pare ci induca ad acquisire nuove conoscenze, disintegrando realtà per poterle vivere dentro, analizzando legami che ci portano a sintetizzarle per evolverci.
“L’altro” Tempo è legato all’amore, al sentimento presente in ogni età della vita. E la creatività di Donatella Ceria da voce a cuori realizzati in ceramica raku, in cui s’inseguono giochi cromatici, dalle tonalità delicate o forti, con un deciso carattere iconografico; oppure a cuori romantici realizzati con semplici zanzariere. Quasi a voler filtrare il dolore inserisce dei piccoli fiori delicati che suggeriscono un’idea di romanticismo di altri tempi. Dove c’era spazio al sentimento legato alla tradizione, ad un passato che ricamava istanti per amplificare il tempo. Un tempo dilatato in cui si voleva trattenere la memoria.
Interessante il simbolo del cuore con valenza antropologica, è quasi un ricercare identità in cui si offre una rivisitazione stilizzata della dea madre Tanit. Forse a voler sottolineare il forte legame con la sardità ed evocare la società matriarcale in cui la donna aveva un ruolo importante e ben definito. Un omaggio alla donna sarda che permea di passione il proprio agire.
Alla base del discorso artistico è radicato l’amore per il sapere e per ciò che la vita predispone non rinunciando a nuove sintesi: ciò è quanto traspare nel linguaggio espressivo di Donatella Ceria.
Lycia Mele
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In questo articolo voglio parlare della figura della donna nei primi anni del ‘900. Periodo che ha visto l’affermarsi di varie correnti letterarie ed artistiche tra le quali il Futurismo.
Questo movimento da un lato ha permesso di respirare una energia rigeneratrice, dall’altro per certe sue affermazioni contenute nei manifesti, anche se poi ritrattate dal suo stesso fondatore Tommaso Marinetti, ha sfiorato il puro non-sense. Molti i critici che si sono soffermati sul suo desiderio di provocazione.
Forse nell’uomo di allora incominciava a delinearsi una nuova consapevolezza che vedeva la donna pari a se stesso per intelligenza, capacità, intraprendenza, spirito di adattamento e ancora volontà, determinazione nel portare avanti un progetto e nel vederlo concretizzare. Inevitabilmente ciò creava una sorta di competizione e forse timore di “usurpazione”, probabile retaggio culturale insito nel dna.
Ciò indusse Tommaso Marinetti, acrobata folle e impavido, con grandi capacità di sintesi e forti intuizioni, a scrivere nel suo primo manifesto futurista del 1909, queste pietre-parole: “…Noi vogliamo glorificare …il disprezzo della donna”.
Una frase molto forte che tuona come un fulmine e nel cadere sradica alberi ferendo l’anima della natura. È una frase che cova risentimento, odio… Forse un’amore che lo aveva fatto soffrire? Un’amore folle che gli aveva rubato l’anima e la mente?
Avvalendomi di tutta la mia razionalità non sono riuscita a penetrare questa frase. Anzi più la leggo più non riesco a capire. Fosse vivo avrei voluto chiedergli cosa pensasse di sua madre e se fosse riuscito a glorificare il suo disprezzo per avergli donato la vita.
Si giustificherà, rettificherà, dirà che è stato frainteso. Ma ormai aveva snaturato natura. Questa macchia gli rimarrà indelebile.
Questa sua avversione nei confronti della donna mi ha ricollegato ad un grande filosofo del I sec. dopo Cristo, Plutarco, che invece era riuscito a definire e capire l’universo femminile dimostrando di esser precursore dei nostri tempi, un nostro contemporaneo. Queste le sue parole:
” è illogico affermare che le donne siano incapaci di virtù. È inutile soffermarci ancora sulla loro saggezza e intelligenza, sulla loro fedeltà e sul senso di giustizia, dato che molte di loro hanno dato prova di grandezza d’animo, di coraggio, di energia virile”.
Per lui il femminile è l’anima del mondo quale immagine della vita impersonificata nella dea Iside. Per questo non può esserci sopraffazione da parte dell’uomo, perché sarebbe compromessa l’essenza della vita stessa.
Plutarco protagonista degli albori del pensiero dimostra una concezione della donna molto moderna, oserei femminista, al contrario di Marinetti, che pur manifestando pluralità d’interessi, rasenta con le sue posizioni ristrettezza e ottusità mentale.
Ma la misoginia iniziale veniva ritrattata e nel Primo Congresso Futurista del 1924 furono invitate le donne futuriste. Iniziava così a delinearsi una donna creativa, sensibile, intelligente, non più succube dell’uomo e/o “femme fatale” ma donna indipendente, con propri ideali.
Purtroppo i tempi per un’emancipazione totale e che coinvolgesse tutte le donne non erano ancora maturi. Ma si poté assistere ad un progressivo affermarsi di donne artiste come Eva Khun scrittrice e traduttrice; Benedetta Cappa pittrice e scrittrice, moglie dello stesso Marinetti; Artemisia Zimei scrittrice; Zdenka Podhajska danzatrice… Tante le scrittrici, le cantanti e le pittrici che, abbandonate consuetudini, si imposero con un forte desiderio di riscatto guidate dalla profonda passione per ciò che facevano.
Tra le pittrici voglio ricordare l’astrattista Carla Badiali, una donna molto discreta, ma con grande personalità.
Iniziò come disegnatrice di tessuti nelle seterie comasche e nello stesso tempo dipingeva. I suoi disegni attrassero il grande sarto francese Givenchy che le chiese una collaborazione. Aderì al futurismo con il Gruppo Primordiali Futuristi Sant’Elia ed evento importante partecipò unica donna alla biennale di Venezia del 1942.
I suoi quadri geometrici riflettono l’essenza dell’eleganza ed una grande armonia. Il colore e la forma giocano un ruolo primario non essendoci elementi di congiuntura con il reale. Tutto è ricondotto ad un’essenza. E traspare una purezza dell’anima per la scelta e accostamento delle variabili cromatiche che riflettono un gusto estetico raffinato ed elegante.
Il rigore, la purezza, la nitidezza delle forme mi hanno condotto ad alcune sintesi di Simone Weil e al suo pensiero di umanizzazione delle forme geometriche:
“Quasi tutte le nostre azioni, semplici o sapientemente combinate, sono applicazioni di nozioni geometriche, l’universo in cui viviamo è un tessuto di relazioni geometriche, ed è proprio la necessità geometrica quella cui siamo realmente sottoposti come creature chiuse nello spazio e nel tempo.”
Il senso di finitezza dell’uomo è racchiuso in questa frase contrariamente alla pluridimensionalità e infinitezza dell’universo. È il risvolto tragico e malinconico che percepisco in queste tele, pur con la presenza di variazioni cromatiche che trasmettono energia e vitalità.
Ma questo rigore mi impaurisce e mi fa percepire l’uomo privo di libertà di azione e pensiero perché subordinato a leggi che esulano dalla sfera esperienziale di cui l’uomo si nutre per avere consapevolezza del vivere.
È per questo che cerco di dare un significato gnoseologico alle sue opere, per avvicinarle al mio percepire la geometria, che come suggerisce Simone Weil ci da gli strumenti quali “rigore e precisione nella ricerca della verità” altrimenti l’uomo sarebbe incompleto. O come definisce Corradetti “il suo volto (della geometria) è la realizzazione suprema della bellezza” si arriva a quella totalità e armonia nell’unicità. La pluridimensionalità del reale viene sintetizzata in un unicum con un linguaggio espressivo semplice e lineare.
Una donna è riuscita a percepirlo e a trasmetterlo seppur riflettendo il linguaggio espressivo del gruppo al quale faceva parte: la donna-artista-futurista Carla Badiali.
Lycia Mele
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