San Teodoro | Grazia Di Michele inaugura il Festival Musica dalle Finis Terrae con ”Poesie di Carta”

Gli eventi dell’estate teodorina continuano con un irrinunciabile appuntamento: il Musicultura World Festival “Musica dalle Finis Terrae”, dal 16 al 19 settembre, organizzato dal Comune di San Teodoro con il patrocinio della Regione Autonoma della Sardegna. 

In Piazza Gallura, giovedì 16 settembre alle 21,30, si esibirà la raffinata cantautrice Grazia Di Michele con lo spettacolo musicale “Poesie di carta”, un tributo a Marisa Sannia: la cantante e attrice di Iglesias  famosa, sulla fine degli anni ‘60, per la sua voce cristallina, inconfondibile.

©️Grazia Di Michele

“Tra noi c’era qualche affinità, – ricorda Grazia Di Michele – la vedevo così altera e coerente, raffinata ed elegante. A un certo punto ho iniziato a scoprire la parte di cantautrice che mi era sfuggita, e poi sono restata folgorata dalla sua maestria nel musicare la poesiaDentro c’è cura, amore, rispetto delle parole, dei suoni e dei mondi poetici a cui si è approcciata, incredibile”.

Negli ultimi anni della sua vita Marisa approfondisce la poesia di Federico Garcìa  Lorca e di autori sardi, Antioco Casula e Ciccittu Masala, declinando musiche per i loro versi alla propria terra, alla vita, all’amore.

I brani eseguiti sono intervallati da testi tradotti, pensieri, frasi estrapolati da copioni che la Sannia scrisse per la presentazione dei suoi spettacoli teatrali. 

Sul palco con Grazia Di Michele,  voce e chitarra,  si esibiscono Marco Piras al pianoforte, Fabiano Lelli alla chitarra,  Fabrizio Fabiano al violoncello e Bruno Piccinnu alle percussioni.

Venerdì 17 settembre vengono proposti due interessanti progetti musicali aperti a sperimentazioni, sempre nell’ambito di sonorità mediterranee, con forti accenti di sardità.

Il primo progetto Fantafolk di Andrea Pisu alle launeddas e Vanni Masala all’organetto, vincitori del Premio Maria Carta (2016) che vantano importanti collaborazioni con musicisti, jazzisti e orchestre di fama internazionale. 

©️Fanfafolk

A seguire, il secondo progetto musicale della serata, denominato “Musicalimba” dello storico gruppo Cordas et Cannas  che si caratterizza come un lungo viaggio “attraverso le radici culturali della musica sarda, attualizzata da armoniosi intarsi sonori presi da altre culture e generi musicali”. 

Un gruppo attento alla sperimentazione etnomusicale, che vanta 40 anni di attività, con numerose produzioni discografiche. 

I musicisti sono Francesco Pilu cantante e polistrumentista, Bruno Piccinnu alle percussioni e voce, Lorenzo Sabattini al basso, Sandro Piccinnu alla batteria, Gianluca Dessì alle chitarre e Alain Pattitoni alla voce, chitarra acustica ed elettrica. 

Sabato 18 settembre è la volta dello spettacolo musicale della band storica Red Wine. Tra i più affermati gruppi di bluegrass europei,  con preziosi riconoscimenti in Italia, in Europa e negli USA, il loro repertorio spazia dal bluegrass tradizionale a quello contemporaneo,  al country,  gospel e swing.

“Dal 1995 Red Wine ha regolarmente effettuato tour negli USA, partecipando al Bean Blossom Uncle Pen’s Memorial Day Bluegrass Festival (IN), Oklahoma International Bluegrass Festival (Guthrie OK), Walnut Valley Festival Winfield (KS), Bluegrass & Chili Festival (Tulsa-Claremore, OK), Strawberry Bluegrass Festival (Camp Mather, CA), Poppy Mountain Bluegrass Festival (Morehead, KY), Mohican Bluegrass Festival (Greer, OH), The Station Inn (Nashville,TN), e alle edizioni del 1995, 2001 e 2008 dell’ International Bluegrass Music Association IBMA “World of Bluegrass” (Owensboro e Louisville, KY, e Nashville,TN), Fan Fest, suonando in svariati Showcase apprezzati dal pubblico e da esperti del settore”.

©️Red Wine

Infine, domenica 19 settembre viene presentato il progetto A-COR-DA della talentuosa cantante brasiliana polistrumentista Carol Mello che da 5 anni vive in Portogallo.

Un progetto raffinato che,  oltre all’interessante voce della cantante  e  al suono caratteristico delle percussioni brasiliane (tamborim, pandeiro), si avvale delle sonorità degli strumenti a corda quali: contrabbasso, banjo, mandolino, cavaquinho e chitarra classica ed elettrica.

Il gruppo vive e lavora in Portogallo.  Sono presenti nei festival World Music brasiliana con la musica che “allontana tristezza”  quindi samba, choro, bossa nova e MPB. Oggi elaborano nuove contaminazioni sonore con trame musicali dei luoghi in cui hanno vissuto e/o suonato. 

La formazione multietnica è composta da musicisti di varia estrazione musicale: Romain Valentino polistrumentista italo-francese, Martin Pridal  con chitarra classica a 8 corde e il contrabbassista Matteo Marongiu. 

Spettacoli diversi per genere ma accomunati dall’elemento che più di ogni altra cosa unisce, dona spensieratezza e indirettamente libertà. E come ben  scrisse Victor Hugo:

“La musica esprime ciò che non può esser espresso a parole e ciò che non può rimanere in silenzio”.

©️lyciameleligios

Alghero | II Forum nazionale su editoria libraria e territorio organizzato da AES e ADEI “Tutti i libri del mondo”

Nella suggestiva città di origini catalane con scorci che evocano atmosfere esotiche, borgo di frontiera nei tempi passati, oggi sempre più aperta a culture “altre” per il festival letterario “Mediterranea. Culture, scambi, passaggi” organizzato da AES – Associazione Editori Sardi – il 16 Settembre, negli spazi dell’Ex mercato civico di Alghero, si promuove una tavola rotonda dal titolo “Pan Mediterraneo. Economia, sostenibilità, cultura”, il giorno successivo, 17 settembre, alle ore 10.00 si da avvio alla seconda edizione del Forum nazionale sull’editoria regionale “Tutti i libri del mondo”, promosso da ADEI – Associazione degli Editori Indipendenti – e organizzato congiuntamente all’Associazione Editori Sardi.

Il forum, nato nel 2019 per volontà di ADEI, intende sviluppare un dialogo su problematiche legate al mondo dell’editoria indipendente e locale, promuovere istanze legate a pluralità, indipendenza e autenticità.

Gli eventi saranno disponibili anche in diretta streaming sui canali social dell’AES, e il Forum anche sui canali sociali di ADEI.

«Il nostro Paese è caratterizzato da una incredibile, vivacissima pluralità di lingue, voci, culture, e la notevole varietà, per non dire “bibliovarietà” rappresentata dall’offerta libraria e culturale che caratterizza gli editori che fanno parte di ADEI – che, ricordiamolo, sono più di 250 – e vede nell’editoria territoriale un polmone di notevolissima rilevanza», dichiara Marco Zapparoli, presidente di ADEI.

«Anche la chiave di lettura di questa edizione risiede nel rapporto tra editoria indipendente, crescita culturale e territorio. Sia il meeting tra le associazioni regionali sia il programma generale mirano a evidenziare questi concetti, per aiutarci a trovare una reale integrazione tra mondi troppo spesso paralleli – afferma Simonetta Castia, presidente degli editori sardi e tra i promotori in casa ADEI dell’iniziativa, insieme a Marco Zapparoli e Isabella Ferretti».

A inaugurare la manifestazione con i saluti istituzionali saranno il sindaco di Alghero, Mario Conoci e il presidente della Fondazione Alghero, Andrea Delogu, per dare avvio alla prima sezione del Forum moderata da Marco Zapparoli, presidente dell’Associazione degli Editori indipendenti. 

Aprirà i lavori Simonetta Castia, presidente AES e rappresentante del Gruppo regionale ADEI, con una relazione a tema “Libri e pluralità. Un connubio inscindibile”. Molto atteso l’intervento del portavoce del Ministro della CulturaGianluca Lioni, che parlerà dell’azione del Governo nel confronto tra “Editoria libraria e territorio”.

L’ edizione 2021, realizzata con il patrocinio della Regione Sardegna, del Comune di Alghero, di Fondazione Alghero e Fondazione di Sardegna, sarà articolata in tre sezioni distinte.

La prima sarà strettamente riservata al networking, un’area riservata al mutuo scambio di esperienze e animata dai rappresentanti dell’editoria regionale e internazionale.

In questa prima fase è inserito il confronto dal titolo “Promozione della lettura e editoria indipendente. Il modello dei territori. Quali soluzioni?”, al quale parteciperanno sia le associazioni regionali di categoria della penisola, rappresentate da Chiara Finesso (Editori Veneti), Marco Gaspari (Associazione Editori del FVG), Mauro Garbuglia (Associazione Editori Marchigiani), Giovanni Chiriatti (Associazione Pugliese Editori), Salvatore Granata (Associazione Siciliana Editori), Alberto d’Angelo (Rete Campania ADEI), Simonetta Castia (Associazione Editori Sardi); sia le associazioni di aree mediterranee quali Catalogna, Valencia e Galizia, rappresentate da Silvia Bello Campos (Asociación Galega de Editoras) e Marian Val (Associació d’Editorials del País Valencià).

Nel pomeriggio il Forum riprenderà alle 17 con la seconda sezione dedicata alle istituzioni e alle imprese nazionali e regionali, moderata dalla vicepresidente ADEI Isabella Ferretti. A descrivere “Il ruolo di ADEI nella crescita dell’editoria indipendente” sarà Marco Zapparoli, presidente ADEI, seguito da Marco Pautasso, vicedirettore del Salone internazionale del libro, che parlerà del “Salone del libro e il rapporto con il territorio”.

Un intervento sulle dinamiche e strategie inerenti “La rete del libro e i patti per la lettura” sarà offerto da Angelo Piero Cappello, direttore del Centro per il Libro e la Lettura, mentre con Gilberto Floriani, direttore del Sistema Bibliotecario Vibonese, si approfondirà la tematica riservata a “Editoria, culture locali e biblioteche”. Ultimo intervento di questa sezione sarà a cura di Cleophas Adrien Dioma, presidente dell’associazione “Le Réseau” e direttore artistico del Festival Ottobre Africano, e sarà dedicato a “Cooperazione e territorio” e nello specifico al ruolo della cultura.

L’ ultima sezione, moderata dalla presidente AES Simonetta Castia offrirà, a partire dalle 18.30, uno spazio di confronto esperienziale in ambito nazionale e internazionale, a partire dall’intervento di Della Passarelli, che tratterà di “Editoria di progetto, sostenibilità e futuro”, portando l’esempio e l’esperienza della casa editrice Sinnos e quindi di Ibby Italia, di cui è vicepresidente.

Gustau Navarro della Generalitat de Catalunya – sede di Alghero, argomenterà il caso di studio della Catalogna per quanto concerne l’“Identità e unità culturale”, mentre con Àfrica Ramirez Olmos, presidente Associació d’Editorials del País Valencià, si parlerà di “Editar des del País Valencià”.

Quindi l’intervento di Henrique Alvarellos Casas dell’Asociación Galega de Editoras esporrà “Le sfide dell’editoria in galiziano: connettersi con il mondo attraverso l’identità”. L’ esperienza della “Scuola Librai Italiani. Un modello per la promozione della lettura”, sarà invece approfondita da Aldo Addis, vicepresidente Associazione Librai Italiani, e Ariase Barretta dell’Università Computense di Madrid tratterà di “Libri km zero? La gestione dei titoli stranieri da e per l’Italia”.

Infine Isabella Ferretti, vicepresidente ADEI, prima di dare spazio alle conclusioni porterà l’esempio del Book Pride per la tematica dedicata alle “Fiere ed editoria indipendente”.

Allo stato attuale fanno parte di ADEI l’Associazione Editori sardi (AES), socio fondatore e componente del Consiglio Direttivo, l’A.P.E. (Associazione Pugliese Editori) Èdi.Marca (Associazione Editori Marchigiani) e l’Associazione degli editori del FVG, ed è aperto il dialogo con le altre regioni. 

L’ingresso è libero fino a esaurimento posti con l’obbligo del green pass.

Rosalba Mura dalla Sardegna alla IV Triennale di Roma

Lo scorso luglio, a Roma, si è concluso un importante appuntamento per il mondo dell’arte contemporanea: la IV ESPOSIZIONE TRIENNALE DI ARTI VISIVE 2021 [ https://esposizionetriennalediartivisivearoma.it/ ] curata da Gianni Dunill, che ha ospitato nelle sue suggestive ed eleganti locations – Palazzo Borghese – Galleria del Cembalo,  Palazzo della Cancelleria, Galleria della Biblioteca Angelica, Palazzo Velli Expo e Medina Art Gallery – artisti italiani conosciuti ed artisti emergenti, con un totale di ben 300 opere esposte.

Ogni artista, ognuno con il proprio linguaggio e ricerca, si è espresso sul filo conduttore dell’esposizione  “Global Change, Anni Venti” o cambiamento globale negli ultimi vent’anni, che ha permesso di creare una “coralità” tra le opere presenti con rimandi, dialoghi immaginari e acute riflessioni nel rappresentare punti di fragilità radicati del periodo storico in cui viviamo: disuguaglianze socio-economiche, distanziamento e isolamento da pandemia, instabilità geopolitica, cambiamento climatico. 

Il mondo dell’arte italiana ha risposto allineandosi verso declinazioni più informali che figurative, dove il pensiero si ritrae,  fluttua, avvolge la sfera dell’umana/umanità  e incerto, su posizioni funamboliche ora ritrova spazi ancestrali, ora si adagia su “luoghi” meditativi e filosofici, ora su consapevolezze rese vivide da cromatismi, forme e vuoti alla ricerca di nuove sorgenti di luce per dissetare inquietudini, sofferenze, solitudini. Un’arte di rinascita post pandemica che sembra proiettarci verso una dimensione più salvifica, più spirituale.

Dalla Sardegna un’artista di Barumini, ma residente ad Olbia da vari anni,  Rosalba Mura ha esposto la sua opera Qubit 2019.

Qubit 2019 – Acrilico su tele

Apprezzo l’artista, di cui ampiamente ho scritto in precedenza in quanto penso sia riuscita a cogliere ed esprimere, con il suo intuito creativo, il superamento concettuale della sintesi spazio-tempo presente nell’opera di Lucio Fontana.

E dopo essermi congratulata e aver parlato dell’importanza della sua presenza come artista sarda, le ho rivolto qualche domanda sul ruolo dell’arte e dell’artista, elementi fondanti della nostra società poiché
l’evoluzione socioeconomica e il progresso sociale non possono prescindere dalla creatività e dalla sinergia di menti creative che devono “tracciare segni” e orientare gli esseri umani verso nuove conoscenze e/o verso l’abbandono di visioni, a volte, cristallizzate.

Il tuo quadro Qubit presente alla Triennale si pone sulla linea dello spazialismo ma c’è chiara volontà di superamento, il segno distintivo della tua arte.

Sicuramente, nella mia arte, uno dei punti di riferimento importante è lo spazialismo di Fontana che ricerca e vuole esplorare al di là della dimensione stessa del quadro andando oltre la superficie bidimensionale della tela stessa.

Nelle mie opere e nel caso particolare di Qubit, voglio superare e andare oltre questo concetto rifacendomi alle più attuali teorie del multiverso, questo “oltre” diventa multidimensionale, una ricerca di diversi spazi e diverse realtà o possibili condizioni esistenti. 

Queste, inoltre, non sono totalmente distinte e definite, nonostante le diverse tele sovrapposte, ma si intersecano e interagiscono tra loro, creando connessioni che indagano, interagiscono e producono nuovi spazi. 

Infiniti mondi e infinite realtà, in una progressione sequenziale che allo stesso tempo diventa prodotto, manufatto, o frazione di tempo contenente più istanti e più spazi.

Qubit, unità di informazione quantistica, permette l’esistenza degli stati di sovrapposizione che io concepisco e immagino come forma quadrata modulare, per questo, essa stessa può esistere come unità appartenente a una più vasta complessità. 

Desiderio di infinito e all’idea di questo ci si può alludere anche attraverso la ripetizione del sempre identico, per questo guardo e mi ispiro anche all’arte di Giulio Paolini.

Il tema “Global Change” richiama un’urgenza sempre più sentita e condivisa  dove l’arte assume valore/ruolo poli/tico: indirizza il cammino dell’uomo educa, orienta…

Mi sento molto vicina al pensiero di un Nuovo Umanesimo, mettere l’uomo e la sua umanità in rapporto ed equilibrio sano e rispettoso della Terra a sostegno della vita. 

Al bisogno di creare connessioni tra saperi e poter affrontare i temi della persona e del pianeta indirizzati ad uno sviluppo sostenibile. Propositi e obiettivi evidenti nell’agenda 2030.

Il mondo dell’arte deve esprimere la cultura del proprio tempo, essere portatrice di messaggi e di idee. Nella nostra attualità molto complessa l’arte è ricerca, punto di vista dell’artista che assorbe la realtà circostante, la digerisce e la filtra. 

L’artista percepisce con la propria sensibilità i diversi segnali circostanti, a volte riesce ad anticipare e/o promuovere nuove idee, interpretandole attraverso il proprio gesto creativo, qualunque esso sia. 

L’arte vuole e deve comunicare con la società e certamente deve proporre idee, indirizzando anche la politica attraverso il proprio linguaggio.

La tua arte crea aperture, nuovi orizzonti che alludono a trascorsi? Che ruolo ha il passato?

La mia arte vuole si, esplorare e ricercare nuovi spazi e nuovi mondi, ma allo stesso tempo vuole anche essere introspettiva, indagare e riflettere il mio vissuto.

Stratificazioni di momenti e di esperienze che creano e riflettono il presente. Il passato convive con l’odierno e sono un tutt’uno; noi siamo il frutto delle nostre esperienze e degli eventi. 

Il vissuto conserva l’esperienza nella memoria e nella coscienza, lascia i segni nel corpo e nella mente, segni, ferite, lacerazioni da curare e ricucire o semplicemente da lasciare aperte, diventando cicatrici che ci identificano. 

La mia arte si apre all’altro, all’altrove e all’oltre, testimonianza di vissuto e di esperienze, ricerca di nuove visioni e di nuovi confini spaziali concreti ma anche intimi, personali e spirituali.

©️lyciameleligios

Rosalba Mura | contatti e info Astrart https://www.astrart.com/

English Version

Last July, in Rome, an important appointment for the world of contemporary art ended: the IV Esposizione Triennale di Arti Visive Roma 2021 [https://esposizionetriennalediartivisivearoma.it/], curated by Gianni Dunill, which hosted in suggestive and elegant locations Palazzo Borghese Galleria del Cembalo, Palazzo della Cancelleria, Galleria della Biblioteca Angelica, Palazzo Velli Expo and Medina Art Gallery the best known Italian artists and the emerging artists with 300 works on display.

Each artist, with own language and project, expressed himself on the theme of the exhibition: “Global Change, Twenties” or global change in the last twenty years, which allowed to create a “chorality” among the Artworks with references, imaginary dialogues and reflections in representing points of fragility rooted in our historic period: socio-economic inequalities, distancing and isolation from pandemics, geopolitical instability, climate change.

The world of Italian art has responded by aligning itself towards more informal than figurative declinations, where thought withdraws, fluctuates, envelops the sphere of human / humanity: finds ancestral spaces; it rests on “places” meditative and philosophical, or on awareness made by vivid colors, or shapes and voids in search of new sources of light to dissolve restlessness, suffering, loneliness. An art of post-pandemic rebirth that seems to project us towards a more saving and spiritual dimension.

From Sardinia an artist born in Barumini, but who lives in Olbia, Rosalba Mura, exhibited her work Qubit 2019.


I appreciate the Artist and I think she managed to grasp and express, with her creative intuition, the conceptual overcoming of the space-time synthesis present in the work of Lucio Fontana.

And after congratulating and talking about the importance of her presence at the Art show as a Sardinian artist, I asked her a few questions about the role of art and the artist, founding elements of our society, since socio-economic evolution and social progress cannot ignore creativity and the synergy of creative minds that have to “trace signs” and orient human beings towards new knowledge and/or towards the abandonment of visions that are sometimes crystallized.

Your work Qubit presented at the Triennale is in evolutionary line with Spatialism but there is a clear desire to overcome, the hallmark of your art.

Surely, in my art, one of the important reference points is Fontana’s spatialism that he seeks and wants to explore beyond the very dimension of the painting, going beyond the two-dimensional surface of the canvas itself.

In my works and in the particular case of Qubit, I want to overcome and go beyond this concept by referring to the most current theories of the multiverse, this “beyond” becomes multidimensional, a search for different spaces and different realities or possible existing conditions.

Furthermore, these are not totally distinct and defined, despite the different overlapping canvases, but intersect and interact with each other, creating connections that investigate, interact and produce new spaces. Infinite worlds and infinite realities, in a sequential progression that at the same time becomes a product, an artifact, or a fraction of time containing more instants and more spaces.

Qubit, a unit of quantum information, allows the existence of superposition states that I conceive and imagine as a modular square shape, for this reason, it can itself exist as a unit belonging to a larger complexity. Desire for the infinite and the idea of ​​this can also be alluded to through the repetition of the always identical, which is why I also look and draw inspiration from the art of Giulio Paolini.

The theme “Global Change” recalls an increasingly felt and shared urgency in which art takes on a political value / role: it directs the path of man, it educates, it orients …

I feel very close to the thought of a New Humanism, to put man and his humanity in a relationship and balance that is healthy and respectful of the Earth in support of life. To the need to create connections between knowledge and to be able to address the issues of the person and the planet aimed at sustainable development. Purposes and objectives evident in the 2030 agenda. The world of art must express the culture of its time, be the bearer of messages and ideas. In our very complex actuality, art is research, the artist’s point of view that absorbs the surrounding reality, digests it and filters it.

The artist perceives with his own sensitivity the various surrounding signals, at times he is able to anticipate and / or promote new ideas, interpreting themthrough his own creative gesture, whatever it is. Art wants and must communicate with society and certainly must propose ideas, also addressing politics through its own language.

Your art creates openings, passages, mutant identities and there is an allusion to the past. What role does it play?

Yes, my art wants to explore and search for new spaces and new worlds, but at the same time it also wants to be introspective, investigate and reflect my experience.

Stratifications of moments and experiences that create and reflect the present. The past coexists with today and they are one; we are the fruit of our experiences and events. The lived experience preserves the experience in the memory and in the conscience, it leaves the marks in the body and in the mind, marks, wounds, lacerations to heal and mend or simply to leave open, becoming scars that identify us.

My art opens to the other, to the elsewhere and beyond, testimony of lived experiences, the search for new visions and new concrete but also intimate, personal and spiritual spatial boundaries.

#ConnessioniInventive | Il filosofo Giovanni Leghissa parla di vincoli e libertà

“La filosofia è tornata nella piazza” scrive su “Aut Aut” la filosofa Laura Boella e si può trovare anche in “cucina” sotto forma di ottima “ricetta” per lo spirito.

La filosofia sembra essersi alleggerita del suo status “inafferrabile” e oggi si riscopre quale “strumento“ di trasformazione interiore, di terapia per l’anima. Ma non solo. Sembra scalpitare dal desiderio di vivere non più al margine, ma “dentro” il sociale.

Con valenza metaforica appare il celebre dipinto di Michelangelo, il Giudizio Universale della Cappella Sistina, dove Dio sfiora il dito di Abramo per donargli intelligenza.

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Particolare dal Giudizio Universale di Michelangelo – Cappella Sistina 

Anche la filosofia vuole prendersi cura dell’uomo. Trasmettergli mezzi necessari alla sopravvivenza in questo periodo dove l’incertezza, lo smarrimento, la sofferenza tracciano il silenzio surreale delle città deserte.

E domani 16 aprile, alle ore 11, in diretta streaming sul canale Facebook e Instagram del Museo MAN di Nuoro (@museoman) e ICA di Milano (@ica_ milano) il filosofo Giovanni Leghissa professore del Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino, redattore di “Aut Aut” e direttore della rivista di filosofia on line “Philosophy Kitchen” parlerà di alcune tematiche molto attuali: “Il vincolo e la libertà”.

La lecture rientra nel progetto Connessioni Inventive – domani al secondo appuntamento  – a cura di Luigi Fassi direttore del Museo MAN della Provincia di Nuoro e Alberto Salvadori direttore di ICA, Istituto Contemporaneo per le Arti  di Milano.

In un momento in cui tutti siamo obbligati a #stareacasa,  il progetto #connessioniinventive promuove conoscenza umanistica con autorevoli voci della nostra cultura e riabilita la funzione dei social quali validi strumenti di diffusione del sapere.

Si parlerà dei vincoli a cui è soggetta l’azione umana: quello biologico in quanto l’uomo è parte della specie animale,  e quello istituzionale/organizzativo che vede ogni individuo muoversi tra spazi strutturati con regole, consuetudini; e altri, determinati da norme morali.

La domanda d’indagine ruota attorno allo spazio che resta a disposizione dell’uomo affinché possa crearsi una sua esistenza in modo libero e autonomo, senza altre ingerenze. Si parlerà di desideri, di pulsioni per giungere a focalizzarsi sulla libertà.

Se impossibilitati a seguire la lecture in streaming si potrà vedere nel canale You Tube Connessioni Inventive.

Lycia Mele Ligios

©️Riproduzione Riservata

Kiluanji Kia Henda ospite del MAN racconta la sua Sardegna

“Coltivare la memoria é ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza  e ci aiuta [..] a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”

Liliana Segre

L’ultima mostra inaugurata il 31 Gennaio – visibile fino al 1 Marzo 2020 – dal titolo “Something Happened on the Way to Heaven” – a cura dello stesso direttore del museo MAN, Luigi Fassi – espone le opere di un significativo artista angolano, Kiluanji Kia Henda (Luanda, 1979) che si é imposto sulla scena internazionale dell’arte contemporanea.

Vincitore di un importante riconoscimento per il mondo dell’arte, il Frieze Artist Award nel 2017, presenta nel suo curriculum ben c e n t o t r e n t a mostre.

Un numero importante per un giovane artista, “traduttore” di memoria, che sorprende per il sapiente dosaggio dell’ironia accanto ad una rara capacità di analisi del reale, dove attraverso i suoi linguaggi artistici svolge le sue ricerche legate all’identità, guerra, colonialismo e più in generale questioni socio-politiche.

Nel 2014  la rivista politica americana “Foreign Policy” l’ha inserito  tra i Leading Global Thinkers più influenti del nostro tempo tra i quali – solo per citare qualche nome – oggi compaiono Carlo Rovelli, Michele De Luca, Barack Obama, Christine Lagarde…

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Dott. Luigi Fassi curatore della mostra e direttore del Museo MAN

La sua mostra prodotta dal MAN – che si è avvalso della collaborazione di  maestranze isolane e dell’importante supporto della Fondazione Sardegna Film Commission – dopo esser esposta nell’istituzione museale nuorese verrà trasferita – nell’ottobre 2020 –  nella Galleria Civica di Lisbona su patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura. Sarà un evento che darà visibilità non solo al MAN,  ma alla Sardegna e naturalmente all’Italia, in quanto mostra curata da un museo italiano.

Inoltre, all’interno dello stesso progetto espositivo, si evidenzia la coproduzione di un’opera di Kia Henda con un’istituzione che domina la scena dell’arte contemporanea internazionale la  LUMA Foundation con sede a Zurigo – della mecenate e collezionista svizzera Maja  Hoffmann  che “commissiona, produce e sostiene progetti artistici legati a questioni ambientali, diritti umani, educazione e cultura”.

Nel 2013 Maja Hoffmann ha aperto una nuova sede in Provenza, ad Arles: importante centro sperimentale di arte contemporanea e di residenzialità per artisti – dove Henda è stato ospitato per la creazione di un’opera che analizzeremo in seguito – che riunisce creatori, curatori al fine di collaborare in sinergia alla realizzazione di opere e/o mostre. 

La mostra

Le opere in mostra s’insinuano nelle pieghe del vissuto, in quella memoria storica che evoca  non solo dolore ma tanta rabbia. L’artista sente dentro di sé quella realtà che rappresenta, la filtra con il suo linguaggio e la sua immaginazione. Il suo pensiero nel farsi opera crea in noi fruitori terremoti interiori e un rinnovato senso critico  teso verso un cammino di consapevolezza.

Oggi come sostiene Kiluanji è necessario “ripensare la forma critica e analitica della società in cui si desidera vivere”. 

Da ciò sviluppa un suo peculiare orientamento che sembra fondere, in un unico concetto, teoria e prassi Artivismo (arte e attivismo): il recupero della memoria storica, intesa come eredità globale,  da cui emerge e si delinea una nuova coscienza civica più consapevole che può risvegliare l’azione.

Kiluanji Kia Henda tesse le sue riflessioni avvalendosi della fotografia,  video, light-box, o stilemi propri della land-art. Ma, accanto a questi linguaggi, dall’alto, quasi ad evocare una sorta di “leggerezza” calviniana (che contrappone leggerezza-peso)  appare un velo d’ironia che ora incide, ora mitiga, ora ricuce sensi ad “alleggerire” il peso del vivere, verità che creano sconcerto, smarrimento, sofferenza.

In un’intervista rilasciata alla Tate Gallery (Londra) Henda parla del suo velato umorismo,  un valore aggiunto alla conoscenza come “mettere il dito nella piaga, un modo sottile per affrontare esperienze vissute”. 

Sono opere che si sentono come macigni nello stomaco, che possono però mutarsi in farfalle se, una volta acquisiti i significati, annunciano mut/azioni.

Credo nel potere trasformativo dell’arte, sia a livello personale che della società stessa – dice Kia Henda – è importante avere un’interazione tra la creazione artistica contemporanea e il contesto in cui viene creata.  Nel luogo dal quale vengo, la storia è stata spesso messa a tacere. Una storia che ha urgente bisogno di essere decolonizzata.  Pertanto, più che una questione estetica, attraverso l’arte possiamo creare il simulacro di una libertà sognata, o gli incubi che dovremmo evitare”.

La Sardegna

L’artista non conosceva la Sardegna.  Ha esplorato l’isola durante il periodo di residenza offertogli dal MAN per proseguire il progetto sull’arte africana –  già sviluppato nella precedente mostra di François-Xavier Gbré, – volta ad una riflessione: sul Mediterraneo e sulla Sardegna, entrambi localizzati al nord;  da un punto di vista non più eurocentrico ma africocentrico;  e nel caso specifico di Kia Henda, su elementi storico-politici e socio-antropologici affini con l’Angola, luogo di origine dell’artista.

La Sardegna e l’Angola terre colonizzate, sfruttate, ferite pur nella loro distanza geografica presentano similarità che l’artista coglie ed esprime nei suoi esiti artistici conducendo la sua indagine su un comune denominatore, la colonizzazione, che potrebbe applicarsi ad altre nazioni.

L’Angola venne colonizzata dai portoghesi che abbandonarono la nazione solo nel 1975. L’artista, nato quattro anni più tardi, ci ricorda  quegli anni d’instabilità  politica che sfociarono in una estenuante e sanguinosa guerra civile (500.000 vittime) “Vivere in un paese in guerra è come vivere nella paura costante, nonostante io sia cresciuto a Luanda, la capitale dell’Angola, che era in qualche modo il luogo più sicuro in cui vivere durante la guerra civile,  il clima di paura e instabilità era molto diffuso”.

Erano gli anni della Guerra Fredda caratterizzati dalle “guerre per procura” e dalla presenza sulla scena politica mondiale di due blocchi di superpotenze, quello americano e quello sovietico. Anche la Sardegna (come l’Italia) ne rimase coinvolta per la sua localizzazione e morfologia del territorio, assunse la funzione di piattaforma geopolitica con l’insediamento di alcune basi militari della NATO. Un destino che avvicinava l’isola all’Angola, terra dilaniata e contesa da quelle superpotenze che ambivano ad accaparrarsi materie prime tra cui le ricche miniere d’oro.

Kia Henda volge le sue indagini sui segni indelebili di quel passato, e induce ad interrogarci su ciò che abbiamo vissuto, di cui  tracce di memoria sono ancora innestate al nostro presente.  Quale senso attribuire a quelle esperienze in relazione alla contemporaneità se poi le “trascendiamo” risucchiati dal circolo doloroso della ripetizione?

L’arte supera il valore estetico, attua uno sconfinamento, si umanizza nel suo supportare il cammino dell’uomo affinché la storia non venga occultata ma emerga con la sua verità per esser com/presa.

Attingendo da “incubi del passato” la sua arte sembra voler ricucire il significato di storia quale “testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita”  così definita da Cicerone nel suo De Oratione, anche se nello stesso istante mostra la sua funzione “terapeutica” e liberatoria: “L’arte che faccio è diventata un veicolo per esprimere un po’ di rabbia e frustrazione, – ci dice Kiluanji – ma fa anche parte di un processo di umanizzazione in quanto mette in discussione e mette in luce diversi episodi della storia recente che hanno influenzato drasticamente le nostre vite, oggi”.

Ci si avvia ad una sorta di destrutturazione per comprendere quel passato che diviene presente perché continua a vivere dentro di noi o accanto a noi, e che alle volte continua ad arrecare gravi danni. 

Primo percorso: la guerra, le servitù militari

La mostra si articola in due parti: al piano terra sono esposte le sue prime opere fotografiche. Inizialmente l’artista, attratto dal valore documentale di questo linguaggio,  percorre le vie di  Luanda e “inizia a raccogliere una quantità di storie di vita quotidiana di una città oppressa da anni di guerra” come ci racconta Luigi Fassi.

Sono immagini potenti al pari delle parole scritte da Giuseppe Ungaretti nella sua struggente poesia, San Martino del Carso (1916): “di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro”, dove gli occhi  del poeta e dell’artista colgono quella forza distruttrice, lo sgomento, la lacerazione che sembrano riflettersi nelle loro anime, che deflagrano con la potente metafora ungarettiana che vede il cuore come il “paese più straziato”.

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©️Kiluanji Kia Henda, Guerra FreddaEffetti Collaterali (2005)

“La fotografia è come una pugnalata” ripeteva spesso Henri Cartier-Bresson, ma nelle opere di Henda accanto alla sua forza tragica si cela un velo d’ironia, un meta-significato che s’innesta nella struttura concettuale. Ad esempio, in un’opera che invade e opprime i sensi intitolata Guerra Fredda – Effetti Collaterali (2005), Henda al centro della devastazione più totale pone in primo piano un ragazzo –  seduto su una sedia, che sembra  l’unico oggetto rimasto apparentemente funzionale, integro – che ci guarda con occhi terrorizzati, illuminati dalla paura.  Il corpo é cosparso da visibili ferite e contusioni, indossa vestiti logori.

Il  suo  sguardo crea un certo disagio. È possibile trovare qualche citazione: Napoleone (seduto) sconfitto o le rappresentazioni di Ingres,  ma nella fotografia assume una posa quasi innaturale per un contesto bellico. Il ragazzo non è disteso ma seduto, un’atteggiamento che ritrae la vita quotidiana; mostra dignità “regale” in quel dolore taciuto, impresso nella luce dei suoi occhi, dolore universale che ancora oggi accomuna esistenze;  il suo porsi è un divenire paradigma di resistenza, si predispone ad allontanarsi dal potere distruttivo, dalle logiche aberranti della guerra. 

Accanto a queste immagini vi sono opere realizzate durante il periodo di residenza al MAN, inerenti alla tematica della guerra, che colgono ferite del territorio sardo ancora aperte. L’artista non può esimersi dal notare  le numerose tracce di memoria (servitù militari) sulla Guerra Fredda, presenti in Sardegna, e arriverà ad una imbarazzante e dolorosa verità.

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©️Kiluanji Kia Henda, Ludic Island Map (2019)

Una prima opera con un velo di dissacrante ironia è Ludic Island Map (2019) una riproduzione di una mappa ludica della Sardegna ricostruita come il videogioco Tetris, dove su una “schermata” dell’isola scomposta, vista dall’alto,  si trovano i tasselli/servitù militari dello Stato Italiano e quelle della Nato (che se riunite formano la mappa intera). La Guerra svuotata del suo significato, ironicamente diviene un momento ludico.

Kia Henda, impressionato dalle numerose servitù militari presenti, filtra con la sua sensibilità artistica l’aspetto paradossale per un’isola la cui risorsa primaria sembra esser la straordinaria bellezza del suo territorio, del suo mare, mentre si trovano “incastri” che evocano distruzione, inquinamento, malattie. Oggi tra gli abitanti c’è una nuova consapevolezza nell’urgenza di sensibilizzare lo Stato Italiano per la dismissione delle servitù militari e per una bonifica delle strutture non più attive.

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©️Kiluanji Kia Henda, Double Head Flag (Escalapiano) (2019)

In Double Head Flag (Escalapiano) (2019) sono rappresentate sette piccole bandiere simili a quella istituzionale della Regione Sardegna composte da un campo nero con una croce gialla, colori che indicano la pericolosità di sostanze radioattive,  e in ogni quarto, al posto dei volti dei quattro mori, sono disegnate quattro teste di pecora bicefala: un riferimento ad alcuni “eventi” nella zona di Quirra (servitù militare) che avevano avuto notevole risalto mediatico. 

La riflessione con leggera ironia pone l’accento su un’altro tipo di “colonizzazione” che la Sardegna subisce da anni, su cui sembra far riferimento il titolo della mostra: “è successo qualcosa sulla via del paradiso” che  allude alle  servitù militari (in attivo o dismesse)  di cui ben 60% – di proprietà dello Stato Italiano – si trovano nell’isola, divenendo causa d’inquinamento ambientale,  dove l’ostacolo (servitù militari) incontrato “sulla via del paradiso” suggerisce una presa di coscienza collettiva (fortuna alcuni comitati sono attivi) e l’urgenza di chi responsabile possa intervenire con azioni concrete.

Ben vengano gli indennizzi ai comuni ma se finalizzati in un ottica di smantellamento e bonifica al fine di salvaguardare l’ambiente elemento fondante/ materia prima della risorsa principale dell’isola: il turismo.

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©️Kiluanji Kia Henda, Bullet Proof Glass  (Caprera Island) (particolare) (2019)

Un’altra opera di forte impatto visivo è Bullet Proof Glass – Mappa Mundi (Caprera Island) una fotografia delle coste della Sardegna scattata  da una feritoia, con vetro blindato, del vecchio forte dell’isola di Caprera. Impressiona vedere le coste lontane e quel “filtro” crivellato da fori sparsi nello spazio: un senso di disagio inenarrabile e il dolore acuto per azioni che creano vertigini per l’intensità distruttiva.

Ancora una volta sembra che la bellezza del paradiso venga incrinata da elementi che evocano solo distruzione e morte.

Secondo percorso: Il Mediterraneo e I migranti

Al secondo piano la mostra prosegue con un focus sul Mar Mediterraneo, divenuto oggi un problema geo-politico. Un tempo luogo “condiviso” per scambi commerciali,  spazio d’acqua che esprimeva contiguità tra nazioni.

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©️Kiluanji Kia Henda, The Geometric Ballad of Fear (2019)

Oggi, nella riflessione proposta dall’artista, sembra essere una barriera invalicabile simile ai muri, costruiti nella storia recente, che delimitano i confini degli Stati per arginare il flusso dei migranti.  The Geometric Ballad of Fear (La ballata geometrica della Paura) 2019, è un’opera che presenta una narrazione fotografica in bianco e nero delle coste della Sardegna. Sovrapposti alle fotografie, segni grafici che sembrano intrappolare le coste. In realtà sulle immagini sono stati stampati vari ordini di barriere tra stati.

Soffermiamoci sul punto di vista di chi osserva e guarda la costa dal mare, divenuta inaccessibile, militarizzata, segnata da reti metalliche che si succedono come strofe di ballate,  con varie geometrie che incutono timore, paura, fendono quella libertà dai significati sempre più opinabili. E traslando il significato anche il Mar Mediterraneo appare come “limite invalicabile” con la stessa funzionalità di un muro: quella di bloccare, respingere migranti.

Oltre la presenza delle servitù militari, colpiscono l’artista le consuetudini dei fenicotteri (“abitanti” dell’isola) che pur uccelli migratori esulano da qualsiasi abitudine codificata. Il loro migrare è libero e sembra riprendere il sogno utopico della libertà di movimento universale che Henda esprime in più opere.

E se l’uomo imparasse  il significato della libertà dai suoi fratelli minori, gli animali?  Quasi una citazione di Esopo, Fedro o La Fontaine, autori che attribuivano agli animali capacità didascalica.

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©️Kiluanji Kia Henda, Migrants Who don’t give a fuck, 2019

Le cartoline serigrafate in stile vintage dell’opera Migrants who don’t give a fuck (Migranti che se ne fregano) 2019 hanno come protagonisti proprio i fenicotteri:   uccelli migratori dal tipico color rosa, sempre più stanziali – in alcune zone incontaminate dell’isola – che mostrano di avere grande libertà negli spostamenti, saggezza acquisita che l’uomo sembra non conoscere.

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©️Kiluanji Kia Henda, Flamingo Hotel, 2019

In un’altra installazione Flamingo Hotel (2019) i significati di barriera e libertà, ancora una volta, emergono con un velo d’ironia e la trasposizione visiva segna  emotivamente: griglie, gabbie che diventano claustrofofiche. L’artista ha ricostruito un check point per evocare le barriere situate nel nord Africa che separano il Marocco dalle città spagnole di Ceuta e Melilla considerate confini sensibili dell’Unione Europea, strutture create per arginare i flussi migratori e il contrabbando. Se da una parte gli esseri umani non possono oltrepassare le barriere, gli uccelli migratori come i fenicotteri, riportati nel titolo dell’opera, possono sorvolare quel limite e forzando sul significato  l’artista immagina di utilizzare la struttura non come check point  ma come hotel punto “di ristoro” (elemento di sottile ironia) per esseri umani per ripartire per altri luoghi come da riferimenti etologici dei fenicotteri.

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©️Kiluanji Kia Henda, Flamingo Hotel, 2019

La sua riflessione sui confini si spinge ora in Provenza nelle Saline di Giraud nei pressi di Arles. Qui, con la coproduzione del MAN e LUMA Foundation realizza l’opera Mare Nostrum (2019) – parola latina che “traduce” Mar Mediterraneo – con una serie di fotografie sulle candide montagne di sale. Ma è presente un elemento che attrae lo sguardo nel suo creare contrasto, sospensione, devianza. L’artista infatti inserisce un telo nero, che se da un lato sembra disposto a raffigurare una sagoma di volatili in altre fotografie sembra creare un baratro profondo dove non si vede via d’uscita. Luogo sinistro di morte, luogo di non ritorno. La capacità di sintesi straordinaria di Kiluangji Kia Henda è nel sovrapporre campi semantici diversi per esprimere un solo concetto: le saline, oltre ad evocare terre di confine del mare nostrum, alludono alle lacrime – in cui nella composizione chimica si configura l’elemento salino – versate per fuggire da quei luoghi dove il dolore è piaga dell’anima e si insegue quel sogno di “libertà”. 

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©️Kiluanji Kia Henda, Mare Nostrum, 2019

Il mare è dolore (lacrime/ saline) per quella fuga verso la libertà che può interrompersi divenendo un baratro. Antro del non ritorno. Ora divenuto custode dei numerosi dispersi.

Il riferimento alle lacrime è presente in un’altra suggestiva installazione “Reliquiario di un sogno naufragato” (2019) con una risoluzione estetica imponente, dove la sofferenza, filtrata dall’abilità introspettiva dell’artista,  sembra  scaturire da ogni riflesso della struttura di ferro – che simboleggia una “teca da reliquia” – quasi “lacrime” sui muri e pavimenti della stanza. Un’opera che  narra  l’evolversi crescente di un pathos senza fine reso tangibile da quella testa adagiata sull’altare di lacrime.

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©️Kiluanji Kia Henda, Reliquiario di un sogno naufragato, 2019

Il reliquiario è costituito da griglie geometriche presenti nelle barriere di respingimento tra stati che vede al centro un blocco di sale compresso delle saline, con adagiata una scultura in bronzo: la testa con dei lineamenti di un artista angolano, Osvaldo Sergio, divenuto famoso per aver rappresentato l’Otello di Shakespeare in un teatro del Portogallo, un   angolano che era riuscito a raggiungere il suo sogno. Infatti, si era affermato come attore pur avendo dovuto attraversare il mare (rappresentato dal sale compresso), quindi segnato da un percorso di sofferenza. Oggi quel sogno è naufragato, racchiuso tra barriere di respingimento in cui è difficile sopravvivere sia che si attraversi il mare sia la terra. 

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©️Kiluangji Kia Henda, Reliquiario di un sogno naufragato, 2019

Kiluanji Kia Henda ci insegna ad interpretare i segni della memoria, e pur “mettendo il dito nella piaga” – come sostiene – mostra come non sia possibile trascenderla ma capire per affinare una nuova coscienza civica.

Dalla sofferenza della sua gente ha attinto quella forza necessaria non solo per denunciare ma per divulgare le sue riflessioni in un nuovo orientamento artistico che non è solo arte e pensiero ma arte e attivismo,  parte dal sociale dove ritrova un senso spurio al fine di ricucire quella consapevolezza critica inibita che ha in sé i germogli di un mondo più vivibile. Forse una speranza? Ci vogliamo credere.

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©️Riproduzione riservata

Spesso si pensa che la difficoltà per i profughi sia solo la traversata in mare. Quella è solo l’ultima tappa. Ho ascoltato i loro racconti a lungo. La scelta di partire, di lasciare la propria terra. Poi il deserto. Il deserto è l’inferno, dicono, e non lo puoi capire se non ci sei dentro. Poca acqua, stipati sui pick-up, dove se ti siedi nel posto sbagliato sei sbalzato fuori e muori. E quando l’acqua finisce, per sopravvivere puoi bere solo la tua urina. Giungi in Libia, pensi che l’incubo sia finito, e invece ha inizio un altro calvario: la prigione, le torture, le sevizie. Solo se riesci ad affrontare tutto questo, a superare tutte le crudeltà, ti imbarchi. E se non muori in mare, finalmente arrivi, e speri che la tua vita possa ricominciare.”

Da Lacrime di sale. La mia storia quotidiana di medico di Lampedusa fra dolore e speranza di Pietro Bartolo

 

Arte | Rosalba Mura, tra lo spazio dell’essere e l’oltre

L’esistenza attiene allo spazio,

e lo spazio emana presenza.

Jorge Eielson

 

“L’arte è una maniera di conoscere, di capire e di rendersi conto cosa è il mondo” – dice Rudolf Arnheim, importante rivoluzionario storico dell’arte, sostenitore del pensiero visuale. 

“Un artista che opera intorno ai problemi dell’esistenza attraverso le immagini inventa, giudica e costruisce – sostiene lo storico –  quando l’immagine raggiunge il suo stato finale egli percepisce in essa il risultato del suo pensare visuale. Un’opera d’arte visuale non è quindi un’illustrazione dei pensieri, ma la manifestazione finale di quello stesso pensare”.

Abbiamo citato il pensiero di Arnheim per affinità con il pensiero e percorso creativo di Rosalba Mura, artista originaria di Barumini ma olbiese di adozione, sempre più presente nella scena artistica italiana ed estera.

Attualmente le sue opere sono esposte fino al 25 Gennaio 2020 a Cagliari nella sede culturale di Hermaea Archeologia e Arte in via Santa Maria Chiara, 24/a,  in una importante retrospettiva dal titolo “StratificAzioni…lo spazio e oltre” a cura di Elisabetta Gaudina e Lucia Putzu. 

Le opere esposte – circa una trentina – rimandano al periodo post Accademia dell’artista, dal 2007  fino  alle più recenti sperimentazioni  vicine a rimodulazioni di Arte Concettuale tra Astrattismo Geometrico, Spazialismo e Minimal Art, dove l’esistere si sintetizza palesando un suo spazio vitale in cui si scandiscono forme, si attuano  scelte monocromatiche, asimmetrie volumetriche, riverberi di luci. Un farsi luogo del tempo teso  a fendersi, a trasmettere, a plasmare, ora a suturare significati che sembrano  rinnovarsi in quella costante temporale  custode e premonitrice nel suo estroflettersi da spazialità disadorna.

Le opere richiamano quella forza impetuosa che trascina inarrestabile al pari della natura: il pensiero e il suo “dinamismo dialogico ininterrotto” come avrebbe suggerito il filosofo Edgar Morin, una frenesia inquieta volta alla ricerca che si spande, si contrae, si dilata, ritorna nel suo esser presente, momento di ri/nascita eterna. 

Oppure le sue indagini si soffermano su quell’oltre dominato da fessure che ora si riempiono, sembrano ripiegarsi, divenire ripetizioni di un sé per riformulare il continuum inafferrabile e imprevedibile, spazio di congiunture, di riflessioni ontologiche ma anche proiezioni interpretative dello scibile.

O forse scelte esistenziali in una contemporaneità di cui si è smarrito il senso, sempre più indecifrabile, che mostra comunque opportunità, alternative di crescita anche se ancora da definirsi ma che esistono nel loro non-essere.

È solo lo sguardo che deve mutar direzione: meno verticale, più  obliquo o meglio trasversale come ci avrebbe suggerito il critico d’arte Philippe Daverio. Uno sguardo più eclettico e com/partecipato che si definirà nel suo divenire.

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©️Rosalba Mura, Compendium 2003 – Acrilico su tavola 10 pz. 

Rosalba Mura viene iniziata all’arte fin da bambina trascorrendo la sua infanzia tra colori, tele e statue che suo padre l’artista Evasio Mura, dipinge e restaura.

I colori, le forme, gli espressivi segni dell’anima nei personaggi ritratti impressionano la piccola Rosalba, dal carattere timido ed introverso, tanto da assimilarne manualità, armonia cromatica e sognare di poter diventare lei stessa una pittrice come lui.

Evasio Mura (1927-2014) un brav’uomo che aveva fatto della sua passione per l’arte una ragione di vita, era un artista/artigiano – secondo l’accezione più rinascimentale del termine – molto affermato. Infatti il clero, principale committente, gli richiedeva opere a tema religioso che oggi è possibile ammirare in vari luoghi di culto della Sardegna: Tuili, Sedilo, Lunamatrona, Barumini, Gesturi e altri.

Ma la vera formazione di Rosalba inizia durante gli anni del Liceo Artistico  dove ebbe come insegnanti alcuni protagonisti dell’arte sarda tra i quali Foiso Fois, Attilio Della Maria e Gaetano Brundu. Mentre Enzo Orti, Giandomenico Semeraro e Clavicembalo Venceslao saranno i suoi professori di riferimento nel Corso di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Sassari, dove nell’approfondimento di tecniche e stilemi della Storia dell’Arte,  inizia a definire il suo percorso artistico  – attratta dal desiderio di “smarrirsi”, percependo un’atmosfera più affine alle sue inclinazioni  – all’interno del prolifico labirinto dell’informale e della sperimentazione, mostrandosi curiosa e partecipe verso le nuove scoperte scientifiche e tecnologiche.

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©️Rosalba Mura, Croce 2005 – foglia oro

Si avvicina all’astrattismo geometrico focalizzando il suo percorso su un elemento, una forma terrena, il quadrato, che al contrario del cerchio con valenza spirituale, rimanda a semplicità espressiva,  purezza e allude  alla volontà dell’uomo a razionalizzare una realtà indecifrabile, sfuggente, mutevole: l’unità di misura dello spazio, su cui molti artisti declinarono i loro linguaggi da Kazimir Malevič a Piet Mondrian,  Giulio Paolini.

La figura ha quattro lati, quattro possibilità di aderenze su superfici diverse o aperture verso l’altro. Avvicinamenti che preannunciano scambi, ri/scoperte, sovrapposizioni, scelte. Rimodulazioni del pensiero che mostra la sua infinita duttilità e valore gnoseologico. La conoscenza assoluta sembra de/comporsi nei suoi elementi formali e l’indagine dell’artista si svolge nel “marcare” una pluralità di punti di vista, nuovi equilibri e prospettive dove significati del reale sembrano  dilatarsi, scivolare in altre territorialità concettuali, o possono venir alterati da fattori socio-temporali.   

La tensione al pensare viene ac/colta, prima che voli come farfalla, per riposarsi su nuovi ed imprevedibili campi semantici.

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©️Rosalba Mura, Working Progress B 2002/2004 – acrilico su legno

L’artista, come Maria Lai, predispone le sue opere verso un’apertura che  pone sullo stesso piano dell’intuizione creativa la tensione ermeneutica consequenziale per colui che l’osserva. Si annullano differenze, e si pone sullo stesso livello chi crea e chi fruisce.

In alcune opere la pluralità di forme sembrano sfaldarsi in un dinamismo fluido, leggero non caotico nel suo ripetersi diseguale. Ma la ripetizione è estranea identità. Lascia intuire che la diversità è il luogo dove ogni possibilità può trovare la sua coerenza.

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©️Rosalba Mura, Sutura 1 2012 – acrilico su tele

Ripercorrendo lo spazialismo di Lucio Fontana oltre la superficie di cui ci narra nei suoi tagli, Rosalba Mura pur vicina al pensiero del maestro argentino, si sofferma nell’approfondire le recenti teorie cosmiche a cui si potrebbe dare un riferimento più esistenziale.

Potremo vedere – avvicinandoci al pensiero di un grande maestro della letteratura  David Foster Wallace, –   i tagli sulle tele come atti di coscienza di ciò che siamo, e forzando nel significato,  la nevrosi esistenziale incisa come uno scalpellino nelle pagine dei suoi libri (penso a Infinite Jest) qui scandita nella tavola dell’esistere con una pluralità d’istanti in cui si afferma, si analizza, si penetra, si sutura, si fa “tasca” si propone un’alternativa o prospettiva/sguardo e poi ancora un’altro, fino all’infinito, come i  mo(n)di a cui sembra voler alludere il linguaggio espressivo di Rosalba Mura.

I tagli di Fontana erano nati da risentimento e il significato che lo stesso artista attribuì fu secondario alla resa formale, semplice intuizione geniale. Alla rabbia e sconforto da parte dell’artista escluso dalla selezione per la realizzazione delle formelle per la porta del duomo di Milano (lavoro che venne assegnato allo scultore Luciano Minguzzi) seguì una reazione: con impeto tagliò la tela con una spatola. La raffigurazione di un oltre con pluralità di declinazioni che precedentemente mai nessuno era riuscito a sintetizzare in un’espressione artistica.

Rosalba interpreta le teorie più recenti sulla teoria convenzionale dell’inflazione eterna sugli universi-tasca molteplici e non solo interrompe lo spazio ma crea una sorta di “tasca”.

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©️Rosalba Mura, Taglio 2 2019 – Acrilico su tele

Se ci distacchiamo da un’ermeneutica dello spazialismo e ripercorriamo riflessi di psicologia emotiva i tagli divengono simboli per ferite, lacerazioni interiori o sociali  e le “tasche”, che ora sembrano coprire le ferite e le fragilità, quali inversioni storiche con una potenzialità, un fieri che implica  superamento proprio per il fatto che è suturato sul limite del vuoto, quindi non più libero. E ci si pone come avvio verso una nuova consapevolezza,  dove il “prima” acquisisce una luce ri/generatrice atta a risanare, ricostruire il “dopo”. 

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©️Rosalba Mura, Working progress 2004  – acrilico su legno 

In alcune opere utilizza doppie tele, o incastra telai in maniera asimmetrica creando una tensione dinamica, quasi fughe verso nuove realtà. Il multiverso oggi prevale allontana, crea divari e disagi e l’artista con un filo chirurgico sutura, chiude ferite. Ricompone, suggerisce nuovi percorsi: la vecchia strada non verrà abbandonata ma rimodulata con nuove idee. I significati soggetti ad usura del tempo possono dissolversi o riplasmarsi.

Il moto perpetuo della modernità divenuto ora fare e disfare, viene rielaborato o riproposto come  curare, riformulare, rimediare quasi a ricordarci che l’oblio di ciò che è stato non salva.

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©️Rosalba Mura, Nike 2003 – acrilico e tecniche miste su tela

In “Nike” (2003) – opera realizzata durante la crisi economica della Grecia – la ricerca formale s’imbastisce su un preciso momento storico. Sottesa una volontà quasi di rimarginare le sofferenze di una nazione sull’orlo della bancarotta, un tempo culla di una delle civiltà più importanti del Mediterraneo. 

Si definisce la temporalità presente/passato con una sovrapposizione, stratificAzione che genera un forte contrasto. Da una parte appare l’oggi (la tela lacerata) nell’atto di esser ri/cucito,  sullo sfondo disegnato a matita un’icona del passato    in cui si evince capacità tecnico-espressiva  – la Vittoria (Nike) di Samotracia (190 a.C) – attribuita a Pitocrito che oggi si può ammirare nella sua straordinaria e ammaliante bellezza al Louvre – in cui s’intravvedono le pieghe della veste increspate dal vento, oggetto di studio di tanti artisti.

La raffigurazione della Nike evoca le grandi vittorie di un tempo che oggi sembrano aver smarrito il senso. Anzi sembrano disancorate dalla realtà lontanissime ed “estranee”. 

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©️Rosalba Mura, Embrione 3 2019 – acrilico su tele e matita 

In “Embrioni” (2013), – di cui analizziamo Embrione 3 –  l’artista esplora con un linguaggio plastico-figurativo l’importanza della geo-metria (misura e proporzione) e delle potenzialità dell’uomo quale unità di misura della realtà. 

La tela presenta alcuni tagli. Una gestualità che ricrea piccole onde, quasi il movimento del pensiero che richiama evoluzione e di cui solo la parte esterna si ricollega alla contemporaneità.

La fessura crea un nuovo spazio in cui è raffigurato l’uomo Vitruviano – homo ad circulum et ad quadratum – di Leonardo Da Vinci (1490), la celebre figura umana elaborata da Leonardo (che dopo aver studiato le proporzioni degli arti nell’uomo arrivò a confermare le teorie di Vitruvio)  diviene metafora dell’uomo come  misura di tutte le cose. Oggi concezione superata dal geomorfismo con il sistema metrico-decimale dallo studio sulla circonferenza della terra. 

Il simbolo dell’uomo vitruviano e delle figure geometriche – quadrato inscritto nel cerchio – allude al superamento del duale, ragione-spirito, verso un nuovo equilibrio, poiché l’uomo stesso “con/tiene” in sé l’universo. Figura ripresa come nuova sintesi concettuale  intorno alla prima metà del novecento e armonia a cui Leonardo aspirava nelle sue infaticabili ricerche.

“Colui che niente ignora mi creò. E io reco in me ogni misura: sia quelle del cielo, sia quelle della terra, sia quelle degli inferi. E chi comprende se stesso ha nella sua mente moltissime cose, e ha nella sua mente il libro degli angeli e della natura” dall’uomo Vitruviano secondo l’interpretazione del Taccola (1381-1458).

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©️Rosalba Mura, SpaceSATOR 2019

Un’altra opera, sempre finalizzata alla sua ricerca spaziale ed estetica, sembra approfondire, ancora una volta, il suo campo d’indagine tra armonia/bellezza ed equilibrio tra parti. Sulla traccia del passato recupera simbologie antiche, enigmi non ancora risolti vicini a riscontri polisemici  come “SpaceSATOR” (2019).

Composta da quattro tele poste una sull’altra, con la presenza di aperture quadrate in ordine crescente dall’interno verso la superficie, in alto a sinistra si  poggia il rettangolo aureo. Centrale leggermente a destra  è posto il quadrato magico del Sator arepo tenet opera rotas, frase che può esser letta in ogni direzione.  La sua presenza è stata rinvenuta in vari elementi architettonici ma anche in luoghi di culto di tradizione cristiana. Diverse le interpretazioni attribuitegli. A noi interessa riportare la pluralità di intuizioni e concezioni, verità che si nascondono dietro a questo quadrato: quasi la difficoltà di cogliere quella definitiva in cui sembra convivere razionalità e spiritualità.

Se osserviamo attentamente l’opera, nella parte inferiore è riscontrabile la sezione aurea o divina proporzione (o numero di Dio) ad esempio riscontrabile in natura (nella conchiglia che tutti conosciamo il  Nautilus) che ingloba con segni di matita il quadrato del SATOR ad enfatizzare il legame tra ragione e lo spirito di Dio presente nella natura e quindi la necessità di dare una interpretazione più spirituale dell’arte.

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©️Rosalba Mura Sinapsi, 2010 – elaborazione e stampa digitale

Un’opera d’arte digitale è “Sinapsi” (2010) dove l’artista definisce la sua interpretazione creativa mostrando la natura dell’intuizione che raffigura come fonte di energia.   

Il primo elemento che emerge è l’affermarsi di una condizione paritaria tra uomo e donna in quanto l’arte non è solo maschile,  ma femminile anche se il cammino di valorizzazione e accettazione è stato molto difficile e spesso incompreso. Inoltre, l’artista immagina l’intuizione creativa al pari dell’energia emessa dal brillamento solare avvenuto nel settembre del 2010.

Come è ben visibile dall’opera, Rosalba riproduce la sua immagine come donna vitruviana, creatrice/artista da cui si genera “l’energia visionaria che si dirama  attraverso le sinapsi” e che investe non solo l’Italia ma si estenderà  al cosmo ad  enfatizzare il legame indissolubile tra il potere creativo e la forza/energia nella realizzazione delle opere non solo pittoriche ma architettoniche, ingegneristiche etc.

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©️Rosalba Mura Qubit 2019 – acrilico su tele

Nell’esplorazione delle varie dimensioni e del multiverso si inseriscono due opere “Qubit” e “Qubit2” con una resa plastica intensa oserei lirica, pur nella loro piccola dimensione. Alla ricerca di  nuovi equilibri l’artista lacera le tele scandendo con appositi spazi il divenire con stratificAzioni che evocano il cammino dell’uomo: frammenti  incollati uno sopra l’altro in un processo evolutivo  su cui il tempo inafferrabile scrive le sue memorie e la luce degli anni s/bianca, cancella per indurre l’uomo a riscrivere. Una tensione concentrica da un interno più piccolo      in seguito sempre più grande, in ordine crescente,  per segnare non solo ciò che è permanenza ma anche ciò che è  innovazione. 

Sono opere vicine alla scultura, aiutano i sensi a librarsi, ad alleggerirsi, a lasciarsi guidare dalla casualità. Il rigore delle opere precedenti sembra superato da un desiderio di espansione, compresenza.

I precedenti equilibri spezzati, sembrano alludere al caos della frammentazione  ma lo spazio creato al centro appare una via di fuga verso una nuova dimensione che permetterà di ritrovare creatività ed elementi da cui ripartire per nuove indagini e percorsi.

Il bianco è il colore dell’inclusione, della polisemia, della ricettività assoluta. È luce che permette di spostarsi tra pluralità. Quella luce che in un’indagine spaziale l’artista rivede quale tunnel spazio-temporale, realtà multipla soggetta a varie forze come ad esempio la velocità che distorce, devia, muta strutture originarie, per accogliere diversità.

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©️Rosalba Mura, Barumini …tracce 2019 acrilico color Barumini su tele

Le digressioni sulle origini affiorano attraverso un linguaggio espressivo vicino all’informale materico. Rosalba rivisita i suoi luoghi in “Barumini … tracce” (2019). Ai tagli disposti secondo una linea diagonale si aggiungono in ordine sparso quadrati di varia grandezza per accentuare il carattere bidimensionale, al pari di una carta topografica.

In alto sulla sinistra il bassorilievo del complesso Nuragico di Barumini situato in un  quel passato che l’artista ricorda ed evidenzia come luogo impregnato di luce, dove le fissure in alto   si aprono verso la pianta del nuraghe alle quali  tende   lo spazio della tela, compresi gli altri tagli in un velato movimento. Ci chiediamo il perché della marginalità, forse si intende enfatizzare quella forza centrifuga che la allontanerà dal suo paese natale? Pensiamo sia per una resa armonica che persegue in ogni sua opera. 

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©️Rosalba Mura, Bimbi Earth 2008 – rielaborazione e stampa digitale

La sfera personale è presente in un’altra opera molto suggestiva “Bimbi earth” (2008) in cui Rosalba scopre la sua maternità ma non desiste dall’idea di creare, di dipingere. Evita l’utilizzo di colori e con la tecnica digitale crea quest’opera in cui sovrappone il mondo alla riproduzione della prima ecografia del suo bambino. 

“Come un ventre materno custodisci e fai crescere la vita. Il mistero sarà mai svelato?” dirà a sé stessa. Ecco che lei diviene forza cosmica e identifica il suo ventre con il mondo che contiene l’essenza pulsante della vita e immagina suo figlio generato “dalla polvere delle stelle” parte/cipe dell’universo, per riprendere un concetto fondante in Jorges Luis Borges.

Rosalba Mura mostra di esser un’artista poliedrica che non conosce confini, attenta a sperimentare sempre nuovi linguaggi espressivi, con un potenziale semantico innovativo e originale, senza tralasciare indagini e rimandi alle  ultime scoperte scientifiche e/o tecnologiche.

La sua arte mai fine a se stessa, votata al dinamismo e alla ricerca, promuove l’essere umano nella sua es/tensione di esperienze, l’immediatezza del percepito, il suo spingersi sempre più lontano fino a sfiorare nuovi orizzonti attraverso un pensare che è per sua natura quell’andare oltre che struttura e dà significato al nostro vivere.

Strofiniamo il buio

per farne luce” 

Franco Arminio

 

©️lyciameleligios

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