Alghero | Tavola rotonda sul pane simbolo di identità, coesione sociale e opportunità per il territorio

Alghero | Oggi ospito nel mio blog un testo scritto da un amico sulla tavola rotonda “Pan Mediterraneo. Economia, sostenibilità, cultura tenutasi giovedì scorso organizzata dall’AES negli spazi dell’Ex mercato civico di Alghero, durante il festival letterario “Mediterranea. Culture, scambi, passaggi” in cui si sono confrontati numerosi esperti per riscoprire il valore del pane, “simbolo di identità, coesione sociale e opportunità per il territorio che ha permesso di riscoprire quelle produzioni dotate di particolari caratteristiche a livello nutrizionale, salutistico e culturale. Produzioni che possono rappresentare un motivo di crescita economica con una ripercussione positiva sui territori.

L’incontro, introdotto dalla presidente AES Simonetta Castia e moderato da Marco Zapparoli, editore di Marcos&Marcos in rappresentanza di Letteratura Rinnovabile, ha preso il via con l’analisi di quattro concetti paradigmatici come “valore, scambio, terra e mappa”.


©️salvatoretaras

Nel primo intervento di Massimiliano Lepratti, coordinatore e ricercatore nel campo della transizione ecologica dell’economia per l’Associazione Economia e sostenibilità, è emerso il significato di valore come atto di trasformazione di ciò che offre la natura. È sostanzialmente il valore del lavoro, che trova nello scambio reciproco il senso più immediato della costruzione di rapporti economici, creando relazioni utili nel rispondere a determinati bisogni individuali e sociali.

Andrea Calori, esperto in politiche territoriali, di sviluppo locale e di cicli alimentari sostenibili per Esta, ha messo in evidenza come la produzione di valore rappresenti sempre più il distacco dalla natura e dalla terra, e come sia sempre più connessa a elementi immateriali. Di rimando, il mondo rurale è stato sempre più accostato ad antitesi del progresso. Per ripensare i valori di questo rapporto, il pane può essere un ottimo punto di partenza al fine di ribaltare le regole sociali e costruire nuove relazioni tra economia ed ecologia.

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Ma se l’essere umano è sempre più inserito al di fuori dal mondo naturale, è anche vero che il nostro cervello è progettato per vivere in quel contesto. Pier Andrea Serra, prorettore dell’Uniss, medico, farmacologo, tossicologo e coordinatore del corso di Studi in Scienze dell’alimentazione, ha spostato l’attenzione sugli aspetti biologici che caratterizzano il rapporto dell’uomo con il cibo. Un rapporto sempre più esposto all’elemento velocità, mentre occorrerebbe riscoprire e promuovere il valore della lentezza. Così come lenta è la lievitazione del pane fermentato con pasta madre.

Un pane che ha anche un forte valore culturale e antropologico. Alessandra Guigoni, dottore di ricerca specializzata in storia e cultura del cibo, in collegamento video ha ripercorso la storia del rapporto dell’uomo con questo alimento fondamentale, sperimentato in forme primordiali ben prima della scoperta dell’agricoltura. Per quanto riguarda i lieviti, fino a circa un secolo fa erano tramandati attraverso pratiche empiriche, con un’attribuzione di valore quasi sacro se non magico. Solo nell’ottocento gli scienziati hanno iniziato a capire gli effetti di questi microrganismi, facendo perdere un po’ di sacralità alle fasi di produzione di questo alimento. Bisogna quindi tornare alla centralità del pane perché è simbolo d’identità e coesione sociale.

A illustrare le varie declinazioni salutistiche e nutrizionali dei prodotti a lievito madre, è stato l’intervento conclusivo di Giovanni Antonio Farris, già ordinario di Microbiologia Agroalimentare dell’Università di Sassari e autore di numerosi libri a tema. Non è una moda, ha spiegato l’accademico, ma una necessità. 

La fermentazione acida rende il pane molto più nutriente e fa bene alla salute: un insieme di microrganismi, tra lieviti e batteri, concorre a trasformare le grosse molecole e le proteine presenti all’interno della farina, rendendole più digeribili. Tra queste c’è anche il glutine, alla base delle problematiche legate alla celiachia.

Sotto l’aspetto economico, l’utilizzo di semole di grano duro incentiverebbe la coltivazione di questo cereale, che in Sardegna ha visto un calo dai 100mila ettari di fine anni Novanta agli attuali 25mila. Ma il pane a lievito madre è soprattutto buono. Per scoprirne le caratteristiche di fragranza, aroma e consistenza, a fine serata è stata offerta una minidegustazione a cura del panificio Cherchi, affiancata all’assaggio dell’olio, altro ottimo prodotto doc del territorio.  Lo stesso panificio ha presentato un’esposizione di pani tipici di Alghero

©️salvatoretaras

Maria Teresa Accomando

La luce mi sospinge ma il colore
m’attenua, predicando l’impotenza
del corpo, bello, ma ancora troppo terrestre.

Ed è per il colore cui mi dono
s’io mi ricordo a tratti del mio aspetto
e quindi del mio limite.
Alda Merini

I versi di Alda Merini racchiudono l’universo pittorico di Maria Teresa Accomando. Una pittrice che conosciuta casualmente in un social, si è rivelata una preziosa scoperta. Di origini emiliane, colpisce per quella semplicità legata a  valori autentici che hanno permesso l’evoluzione dell’uomo. Ma che oggi sembrano scomparire.

Maria Teresa Accomando

Iris per sempre, 2018

Maria Teresa è una donna dinamica e concreta con la grande passione di dipingere che talvolta le ruba volontà e annulla lo scorrere del tempo. Ma l’estro creativo a cui è soggetta e coinvolge tutto il suo essere, supera il limite della finitezza umana. Si dona con dipinti “vissuti”. Istanti sospesi. Ricami d’anima.

Le sue opere appaiono come “poesie scritte col colore”, come direbbe Argan, dove la materia utilizzata non è il linguaggio ma il colore “duttile, sensibile, variabile“. La pittrice gli infonde la sua sensibilità che con innato senso estetico, svuota di tecnicismi. Crea emozioni. Esegue delicati ritagli dal tempo. E come la poetessa Alda Merini si dona al colore per emozionare, Maria Teresa Accomando insuffla la propria anima poetica alla vita “sussultoria” e vibrante del colore.

María Teresa Accomando #1 María Teresa Accomando
#1

Le protagoniste delle sue tele sono donne. Estensioni dell’io? Non solo. Raffigurate al centro della tela esprimono silenzi che traducono la tensione della coscienza verso un’agire. Quasi il divenire di consapevolezza che dopo sofferenza, subordinazione, fragilità determina e definisce la coscienza femminile. Identità.

Maria Teresa Accomando #2 Maria Teresa Accomando
#2

Nelle donne ritratte: madri, mogli, sorelle, figlie e nonne appare un certo dinamismo psicologico reso da un proprio linguaggio espressivo che cesella stati d’animo “in fieri“. Piccole pennellate che si rincorrono. Colori puri giocano, si miscelano, si frantumano. Creano energia, dinamicità.

Maria Teresa Accomando #3 Maria Teresa Accomando
#3

Inconsapevolmente Maria Teresa ricerca nuovi significanti per superare una contemporaneità ove ogni cosa è stata definita, creata. Ogni spazio colmato con una pluralità di contenuti che hanno snaturato l’essere. Dove solo l’immaginario può supportare il reale e annientare quel limite del tutto che disorienta e arreca inquietudine, smarrimento e dilania l’essere per il prevalere di un senso d’impotenza.

Maria Teresa Accomando #4 Maria Teresa Accomando
#4

Attraverso gli occhi si accede al suo mondo interiore. Occhi che non si limitano a ricevere ma riflettono la carica emotiva o πάθος ritratto, divenendo depositari della sua anima.

Goethe nella sua opera Teoria dei Colori sosteneva che l’occhio fosse predisposto affinché la “luce” interna muovesse verso quella esterna. Maria Teresa non dipinge solo ciò che “vede” ma, come avrebbe detto Goethe, aggiunge le proprie impressioni, ombre e luci che s’inseguono sulle tele, per creare giochi di contrasto. Avvolgere sensi. Lasciare decantare emozioni. Nell’anima.

Ora appaiono segni di forze antiche. Lotte tra il voler essere e l’apparire che condizionano esistenze e amplificano ansie e inquietudini. O forse dietro le pennellate quasi nevrotiche, stratificate, scrostate, vissute con visibili graffi sulla tela, vi è un semplice bisogno, legato alla speranza: la necessità di trattenere desideri. Richiamare sogni. E colorare un esistenza che si ripete identica. Tra grigie quotidianità.

Maria Teresa Accomando #5 Maria Teresa Accomando
#5

Si avverte la meticolosità, la precisione, quasi un’ossessione per esprimere questa lotta tra l’esser e il voler essere che l’artista quasi timorosa mi svela: “Aspiro ad essere un’artista. E’ un sogno ricorrente. Spero si realizzi”. Sento la sua forte carica emotiva che come un vento primaverile apre un varco per far defluire i torpori invernali. Come un fiore schiude il senso del suo esistere, dove vivere è dipingere.

Compagni del suo vivere sono “strumenti di fortuna” quali utensili vari, legnetti. Raro l’utilizzo dei pennelli. Mentre le mani hanno un ruolo decisivo nelle sfumature e nei giochi chiaroscurali. Le mani delineano il coraggio, l’ardore, la passione per l’arte. Sono la manifestazione esplicita dell’io – artista dopo un lungo travaglio per acquisire competenza e tecnica pittorica.
Una pittura che è Vita consapevole nell’acquisire coscienza e identità propria e del mondo “ridondante”.

Ora so ciò che ha inizio e ciò che ha fine, /ora so tutto il segreto sordomuto /che si chiama, nella povera lingua /sgrammaticata degli umani – Vita.

A.Merini

Alcuni volti disvelano una sofferenza a cui si lega un percorso di vita o la consapevolezza della presenza dell’altro da sé a cui si vorrebbe tendere. Ma la trama del vivere con le implicazioni sociali, familiari e lavorative trattiene inibendo volontà.
Altre tele raffigurano donne disinibite che mostrano il loro corpo con fierezza e consapevolezza. Una prima analisi sembra enfatizzare la necessità di affermarsi lontano da pregiudizi, condizionamenti o stereotipi. Libere e padrone del proprio sé.

Maria Teresa Accomando #6 Maria Teresa Accomando
#6

In #6 la figura viene definita dai colori che evocano la terra. La propria terra. Maria Teresa li stende e gioca con il chiaroscuro. Appaiono ombre che segnano una figura denutrita. La sofferenza espressa invade i nostri sensi. È una donna che lotta per sopravvivere dove i colori scuri esprimono la sofferenza di un mondo che ha smarrito il senso dell’esistere, ormai alla deriva. Privo di riferimenti e valori.

L’ultima opera qui riprodotta #7 raffigura una donna serena. Nuda, vestita di sorrisi. Il sorriso le illumina il volto. Rappresenta la filosofia di vita di Maria Teresa in cui si riflette quello che dovrebbe essere l’atteggiamento dell’uomo contemporaneo verso la vita: di semplicità, curiosità, sfida, tensione al mutamento visto come crescita interiore e che Etty Hillesum esprime con semplicità e intensità nei suoi Diari:
“Sono felice che ci venga concesso di capire sempre di più, e di approfondire, di giorno in giorno, la conoscenza della vita. Ne sono tanto grata. E devo diventare ancora più paziente. I sentimenti sono più profondi e grandi delle possibilità espressive. Non so ancora in quale ambito cercare i miei strumenti. Aspettare e ascoltare ed essere paziente; fare le cose di ogni giorno; diventare sempre più me stessa e al tempo stesso un anello nel tutto: e nessuna consumata imitazione, né un vivere, nemmeno per un minuto, in modo inconsulto”

E Maria Teresa Accomando si  appropria delle parole di Etty. Tesa a divenir “sempre più se stessa ” alla ricerca di un’identità artistica tra mutamenti di colore e nuove forme finalizzate a ricreare emozioni universali. Eterne.

Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima
Il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola
come una trappola da sacrificio,
è quindi venuto il momento di cantare.

Cvetaeva

Maria Teresa Accomando #7 Maria Teresa Accomando
#7

Mostre collettive
2012
Premio Ponzano – Treviso
2013
JESOLOARTE: Un omaggio a Paolo Baratella
curatore Maurizio Pradella dell’Associazione Culturale Arteficio
2015
Londra
Trispace Gallery N001 – Profiles of Art EXHIBITION
curatrice Silvia Arfelli

Lycia Mele Ligios
© Riproduzione riservata

Fatma Bukač

Non mi fusi mai con nessuno

Mai respirai così tranquillamente

Schwarz

L’opera di Fatma Bukač riflette un’immagine fluida tesa a cristallizzarsi in un luogo estraneo a contaminazioni. In questo non-luogo sembra attendersi una Ri-Composizione del Silenzio che reso sordo dal dolore, riaffiora per ricomporsi sulle tracce “dell’essere”.

Le fotografie, le installazioni e i video trasudano sofferenza e desiderio di riscatto. Si ricercano origini per definire identità o ruoli nell’essere tempo. Dove l’assenza scruta l’umano sul limite del proprio baratro.

Fatma Bukac Untitled-III- Allegorie della colpevolezza passato
Fatma Bukač
Untitled-III-
Allegoria della colpevolezza-passato

Fatma Bukač di etnia curda, nasce nel 1982 in un piccolo paese turco, Iskenderun, ai confini con la Siria. Il padre era un’insegnante comunista che fu fatto prigioniero politico durante la guerra turco-siriana. L’assenza della figura paterna durante l’infanzia; la guerra in cui venne distrutto il suo villaggio; l’essere donna in una società per tradizione patrilineare, subordinata alla “protezione” di un uomo:  saranno elementi che Fatma rielaborerà e approfondirà nelle sue opere. Influenzeranno il suo linguaggio espressivo che diverrà interprete di conoscenze per predisporsi depositario di memoria.

Le sue opere struggenti graffiano l’anima. Non conoscono oblio. Sono assolute. Colmano vuoti che si rifrangono in un presente limite, incompleto. Tante le evocazioni e i rimandi. Si percepisce l’urlo di ciò che non è più, ma che potrà essere ricolmato. Ridefinito. Ridisegnato. Si aderirà al presente frantumando il ricordo per poter sopravvivere. Si conserveranno i resti. Si “penetrerà” nei restanti silenzi rubati alla Storia. Per accettare una diversità che non è mai “esistita” se non nell’essere tempo Storia che sfuma dettagli.

Fatma Bukač Latibulum
Fatma Bukač
Latibulum

Quando vidi le opere di Fatma Bukač sentii i “respiri” di Francesca Woodman. Ritrovai la stessa intensità e forza espressiva.  Là il preludio di una fine nell’espiazione. Qui tensione-potenzialità futura. Forse speranza che sopravvive ad un dolore-vertigine.   Ci si proietta in un futuro diverso, altro, di raccordo con il passato che partendo dal presente semina il domani.

Qualcosa dovrà definirsi, prender forma, divenire realtà. Anche se tutto sembra sospeso, estraneo al tempo diviene un non-luogo ascritto al mito. Focalizzato nell’atto delle poche azioni esistenti. Sembra un agire “contratto”. Lascia spazio ai pensieri. Liberi di correre negli interstizi di un reale muto. Sfiancato.

Fatma Bukač
Fatma Bukač

Tracce evase dai limiti della Storia raccontano l’immobilità agghiacciante di ciò che resta, privo di identità, di struttura, di codici. Ma l’agire crea luminosità. Apre squarci di desideri. Unisce. Appaga. È ritrovar-si nella germinazione del sé.

L’inseminazione dell’adesso su brandelli di un passato raso al suolo denuncia una presa di coscienza dell’io che mutilato ricerca equilibri nel far confluire il presente su  “tabulae rasae” verso la scoperta di un nuovo “genere” d’identità. Una forma che ricuce la parte mancante con l’assenza.

Fatma Bukač – Untitled IV (Allegoria della colpevolezza – passato)
Fatma Bukač – Untitled IV (Allegoria della colpevolezza – passato)

I paesaggi sembrano esser sospesi. Ma l’anima non ha abbandonato i luoghi. Manifesta il desiderio di ricostruire. Desidera essere parte fondante e seme di rinascita.

La figura nuda, avvolta nel cellophane, all’interno della casa bombardata è l’elemento fondante, quasi un demiurgo del fieri. Si  fecondano i luoghi per poterli “acquisire” nella propria interiorità. Si assimilano le origini nella consapevolezza di ciò che è stato.

Rimasi molto sorpresa quando in un intervista l’artista disse che le sue installazioni non erano di denuncia contro il governo turco. Il suo desiderio era quello di raccontare  il presente, manifestando ciò che le premeva definire: la sua Anima, l’identità,l’origine.

Forse una ricerca escatologica per unire lembi di lacerazioni e accettare la diversità pur nella tras-formazione.

Fatma Bukač  installazione Omne Vivum Ex Ovo
Fatma Bukač
installazione Omne Vivum Ex Ovo

Si vuole “inseminare” ciò che è divenuto non-luogo modificato da un evento la guerra, che voleva cancellare. Ecco una figura femminile che depone delle uova dentro i mattoni, resti dei bombardamenti.

Rinascere sarà consequenziale alla presa di coscienza di ciò che non è più e definisce le origini. Solo successivamente si edificherà un nuovo esistere. Le voragini devono esser colmate. Si devono creare ponti solidi per poter inseguire il futuro.

Fatma Bukač con le sue rappresentazioni diverrà un’importante fulcro di trasmissione del sapere. Come un vento impetuoso scuoterà coscienze.

Fatma Bukač  Ego et Lanx Nigra
Fatma Bukač
Ego et Lanx Nigra

“In questa prospettiva l’identità viene quindi considerata come un processo continuo di identificazione, dove le definizioni sono variabili: l’identità non è più qualcosa che proviene dalle appartenenze, o non solo, ma anche un processo legato alle autonome capacità di individuazione, sempre più richieste dalla società complessa che esige individui autonomi, che funzionino come terminali culturali”

Parole del Meucci che attestano come la consapevolezza di Fatma Bukač nel documentare le sue origini, la condurrà a porsi autentica mediatrice culturale.

Carlo Sgorlon sottolinea come non sia possibile rompere con il nostro passato perchè “rappresenta la tradizione, la continuità, la direzione, lo sfondo necessario della nostra esistenza….Sarebbe come rinunciare alla nostra memoria collettiva e quindi a una parte essenziale di noi stessi. Come sciogliere i cavi che ci legano alla Terra, per vagare senza meta nello spazio, al modo di una mongolfiera disancorata”.

Fatma Bukač Malum in se
Fatma Bukač
Malum in se

L’opera di Fatma Bukač è di notevole rilievo per le sue ricerche sulla costruzione identitaria. Pur presentandosi con un linguaggio espressivo intenso, a volte cruento, ha documentato un passato di continuità cercando di saldare nel presente l’origine e l’evoluzione della consapevolezza dell’essere uomo contemporaneo.

Non potremo vivere il presente senza recuperare o “riconciliarci” con il nostro passato, radice preziosa della nostra anima. Saremo alberi senza più radici, privi di domani.

Lycia Mele
© Riproduzione riservata

Approfondimenti
Le fotografie presenti appartangono alla serie Melancholia I, 2008
http://www.albertopeola.com/it/artisti/13-bucak-fatma.html
http://neuramagazine.com/le-identita-possibili-di-fatma-bucak/

Francesca Woodman
http://www.heenan.net/woodman/