Olbia | Arte e tradizioni dal Messico negli spazi dell’Associazione Libere Energie

Novembre 2021 – Aria messicana ad Olbia, negli spazi dell’ Associazione Libere Energie, per una collettiva di artisti di Durango che irrompe nel torpore autunnale e ci induce, in concomitanza della Festività dei Morti, a riflettere sul tema della morte in toni più “luminosi” per la presenza di contrasti cromatici vivaci ed intensi, propri della tradizione messicana.

La curatrice Nuria Metzi Montoya, – di origini messicane e discendente del Montoya muralista, contemporaneo di Diego Rivera, marito della più celebre Frida Kahlo,- propone in mostra opere di alcuni suoi connazionali quali: Manuel Piñon, Alma Santillán, Antonio Díaz Cortés, Armando Montoya, Candelario Vázquez, César Muñoz Carranza, Diana Franco, Tomás Castro Bringas, Juan Rodríguez López, Germán Vallez, Eulene Franzcelia, José Luis Ruiz “el Piípi”, Helder Gandara, Paco Nava, Ricardo Fernández, J.Carlos Mendívil, Manuel Valles Gómez, Milton Navarro, Leonor Chacón Vera, Valentino Salas.

Ma, nella sala espositiva, si percepisce un’insolita energia associata ad un richiamo visivo, che scaturisce dalla varietà cromatica e dalla presenza di una pluralità di oggetti disposti su una struttura triangolare a piccoli gradini: fiori, ceri votivi, arance, frutta secca, specchi, bambole, piccoli teschi, pani, ventagli, marmellate, maschere. È un altare votivo tipico della tradizione popolare messicana che, in questo periodo, numerose famiglie allestiscono in un angolo della casa, in memoria dei propri cari.

Un altare del ricordo per il Dia de Muertos che nello spazio espositivo è dedicato al primo presidente messicano, originario di Durango, Guadalupe Victoria, al pittore realista e muralista Francisco Montoya de la Cruz, allo scultore Benigno Montoya, celebre per le sue stele funerarie e infine alla pittrice Mercedes Burciaga, nonna della curatrice e moglie di Francisco.

Altare domestico

L’allestimento dell’altare domestico come un’installazione artistica, quasi un far confluire l’arte nel quotidiano, oltre al tema della morte – che acquisisce connotati umani da esser identificata nella iconica Catrina (termine coniato da Diego Rivera)* simbolo nazionale, rappresentata con abiti europei come una sposa, – li potremo avvicinare, anche se in maniera semplicistica, alla definizione di “umore nero” che il surrealista, André Breton, vide radicato nella popolazione messicana che tende riconciliare/unire vita e morte.

Un concetto elaborato la cui assimilazione (almeno per noi) risulta complessa, che potremo definire d’avanguardia proprio come quei surrealisti che nei primi del novecento (1920) furono affascinati dalla cultura messicana in cui il linguaggio artistico esprimeva contenuti che stupivano, emozionavano e sconvolgevano.

Ma, sembrerebbe anche un concetto contemporaneo perchè derivato dalla stratificazione, meglio trasversalità, delle varie culture tra le quali: quelle precolombiane associate a culture di varie etnie; quella repressiva e violenta da parte dei colonizzatori spagnoli che tentarono di soffocare usi e costumi autoctoni; la diffusione della religione cristiana; la cultura africana diffusa con la tratta degli schiavi e altri fattori hanno creato un sincretismo originale caratterizzante l’identità culturale messicana, legata al culto dei morti.

Conciliarsi con la morte comporta un elevato grado di atteggiamento riflessivo, di spiritualità, di accettazione, di rassegnazione e implica un esilio dal tangibile, dal materialismo per far emergere tracce di pensiero, azioni, emozioni di coloro che hanno lasciato la terra, convivono nell’anima e si percepiscono come vivi.

La vita accoglie il suo senso con queste “presenze” e la morte diviene più concreta, più umana. Un significato che il poverello d’Assisi ben comprese ed espresse nel suo Cantico delle Creature.

©️Manuel Valles, Attesa, 2012

Osservando le opere esposte, di cui molte legate al Dia de Muertos, si traspone in pittura il sentimento del ricordo, il desiderio di presenza, l’esserci.

Tra gli astratti si colgono urla implose in graffi ripetuti che invadono lo spazio o luoghi dagli esili confini che sembrano sfumare dinanzi al fluire eterno.

Nel figurativo tra surreale, popolare e espressionista troviamo alcuni volti abbozzati, altri profondamente segnati dalla sofferenza dell’assenza – come la bellissima paternità di Tomás Bringas, maestro incisore di Durango – che predispongono ad un’arte figurativa di indagine e di equilibrio nel rappresentare il dolore che rende, inermi dove il colore da struttura, dialoga con gli spazi, emana silente energia o dove la luminosità del bianco illumina e trasfigura quasi alludendo ad una distaccata rassegnazione.

©️Tomás Bringas, Día de los muertos, 1995 | monotipo su cartoncino [particolare]

E ancora figure che diffondono nella spazio della tela la loro consistenza materica in dissoluzione o altre con echi simbolisti che vagano sopra la terra mostrando la nuova natura di angeli che vigilano e proteggono.

La vista è l’organo preposto a seguire pieghe, riflessi taciuti, impercettibili presenze, soccorre dove manca la dimensione, dove accanto alla fissità e piattezza di bizantiniana memoria vi è  sottesa una sorta di bellezza pura che mira all’essenziale senza particolari tecnicismi ma volta ad enfatizzare l’istante creativo nel segno del colore che assume valore semantico.

©️Armando Montoya, Untitled 2005 | vetro, acrilico

S’intravvedono alcune citazioni artistiche, ma la bellezza dell’arte è la capacità di sintesi nell’emulazione inconscia. Ciò apre squarci di cielo per nuove idee.

Una mostra che merita una visita: non solo per vivere un momento di nuove conoscenze etno-antropologiche, riflettere sulla sorella morte per utilizzare le parole di Francesco, gustarsi opere distanti dalla nostra sensibilità estetica ma perché l’evolversi della creatività va di pari passo con quella libertà a cui tutti aneliamo.

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Nuria Mezli Montoya | Sito http://nuriametzli.blogspot.com/

Associazione Libere Energie | via Bramante 55 | h. 18,30 – 20,00 | mostra fino al 12 novembre

Kiluanji Kia Henda ospite del MAN racconta la sua Sardegna

“Coltivare la memoria é ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza  e ci aiuta [..] a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”

Liliana Segre

L’ultima mostra inaugurata il 31 Gennaio – visibile fino al 1 Marzo 2020 – dal titolo “Something Happened on the Way to Heaven” – a cura dello stesso direttore del museo MAN, Luigi Fassi – espone le opere di un significativo artista angolano, Kiluanji Kia Henda (Luanda, 1979) che si é imposto sulla scena internazionale dell’arte contemporanea.

Vincitore di un importante riconoscimento per il mondo dell’arte, il Frieze Artist Award nel 2017, presenta nel suo curriculum ben c e n t o t r e n t a mostre.

Un numero importante per un giovane artista, “traduttore” di memoria, che sorprende per il sapiente dosaggio dell’ironia accanto ad una rara capacità di analisi del reale, dove attraverso i suoi linguaggi artistici svolge le sue ricerche legate all’identità, guerra, colonialismo e più in generale questioni socio-politiche.

Nel 2014  la rivista politica americana “Foreign Policy” l’ha inserito  tra i Leading Global Thinkers più influenti del nostro tempo tra i quali – solo per citare qualche nome – oggi compaiono Carlo Rovelli, Michele De Luca, Barack Obama, Christine Lagarde…

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Dott. Luigi Fassi curatore della mostra e direttore del Museo MAN

La sua mostra prodotta dal MAN – che si è avvalso della collaborazione di  maestranze isolane e dell’importante supporto della Fondazione Sardegna Film Commission – dopo esser esposta nell’istituzione museale nuorese verrà trasferita – nell’ottobre 2020 –  nella Galleria Civica di Lisbona su patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura. Sarà un evento che darà visibilità non solo al MAN,  ma alla Sardegna e naturalmente all’Italia, in quanto mostra curata da un museo italiano.

Inoltre, all’interno dello stesso progetto espositivo, si evidenzia la coproduzione di un’opera di Kia Henda con un’istituzione che domina la scena dell’arte contemporanea internazionale la  LUMA Foundation con sede a Zurigo – della mecenate e collezionista svizzera Maja  Hoffmann  che “commissiona, produce e sostiene progetti artistici legati a questioni ambientali, diritti umani, educazione e cultura”.

Nel 2013 Maja Hoffmann ha aperto una nuova sede in Provenza, ad Arles: importante centro sperimentale di arte contemporanea e di residenzialità per artisti – dove Henda è stato ospitato per la creazione di un’opera che analizzeremo in seguito – che riunisce creatori, curatori al fine di collaborare in sinergia alla realizzazione di opere e/o mostre. 

La mostra

Le opere in mostra s’insinuano nelle pieghe del vissuto, in quella memoria storica che evoca  non solo dolore ma tanta rabbia. L’artista sente dentro di sé quella realtà che rappresenta, la filtra con il suo linguaggio e la sua immaginazione. Il suo pensiero nel farsi opera crea in noi fruitori terremoti interiori e un rinnovato senso critico  teso verso un cammino di consapevolezza.

Oggi come sostiene Kiluanji è necessario “ripensare la forma critica e analitica della società in cui si desidera vivere”. 

Da ciò sviluppa un suo peculiare orientamento che sembra fondere, in un unico concetto, teoria e prassi Artivismo (arte e attivismo): il recupero della memoria storica, intesa come eredità globale,  da cui emerge e si delinea una nuova coscienza civica più consapevole che può risvegliare l’azione.

Kiluanji Kia Henda tesse le sue riflessioni avvalendosi della fotografia,  video, light-box, o stilemi propri della land-art. Ma, accanto a questi linguaggi, dall’alto, quasi ad evocare una sorta di “leggerezza” calviniana (che contrappone leggerezza-peso)  appare un velo d’ironia che ora incide, ora mitiga, ora ricuce sensi ad “alleggerire” il peso del vivere, verità che creano sconcerto, smarrimento, sofferenza.

In un’intervista rilasciata alla Tate Gallery (Londra) Henda parla del suo velato umorismo,  un valore aggiunto alla conoscenza come “mettere il dito nella piaga, un modo sottile per affrontare esperienze vissute”. 

Sono opere che si sentono come macigni nello stomaco, che possono però mutarsi in farfalle se, una volta acquisiti i significati, annunciano mut/azioni.

Credo nel potere trasformativo dell’arte, sia a livello personale che della società stessa – dice Kia Henda – è importante avere un’interazione tra la creazione artistica contemporanea e il contesto in cui viene creata.  Nel luogo dal quale vengo, la storia è stata spesso messa a tacere. Una storia che ha urgente bisogno di essere decolonizzata.  Pertanto, più che una questione estetica, attraverso l’arte possiamo creare il simulacro di una libertà sognata, o gli incubi che dovremmo evitare”.

La Sardegna

L’artista non conosceva la Sardegna.  Ha esplorato l’isola durante il periodo di residenza offertogli dal MAN per proseguire il progetto sull’arte africana –  già sviluppato nella precedente mostra di François-Xavier Gbré, – volta ad una riflessione: sul Mediterraneo e sulla Sardegna, entrambi localizzati al nord;  da un punto di vista non più eurocentrico ma africocentrico;  e nel caso specifico di Kia Henda, su elementi storico-politici e socio-antropologici affini con l’Angola, luogo di origine dell’artista.

La Sardegna e l’Angola terre colonizzate, sfruttate, ferite pur nella loro distanza geografica presentano similarità che l’artista coglie ed esprime nei suoi esiti artistici conducendo la sua indagine su un comune denominatore, la colonizzazione, che potrebbe applicarsi ad altre nazioni.

L’Angola venne colonizzata dai portoghesi che abbandonarono la nazione solo nel 1975. L’artista, nato quattro anni più tardi, ci ricorda  quegli anni d’instabilità  politica che sfociarono in una estenuante e sanguinosa guerra civile (500.000 vittime) “Vivere in un paese in guerra è come vivere nella paura costante, nonostante io sia cresciuto a Luanda, la capitale dell’Angola, che era in qualche modo il luogo più sicuro in cui vivere durante la guerra civile,  il clima di paura e instabilità era molto diffuso”.

Erano gli anni della Guerra Fredda caratterizzati dalle “guerre per procura” e dalla presenza sulla scena politica mondiale di due blocchi di superpotenze, quello americano e quello sovietico. Anche la Sardegna (come l’Italia) ne rimase coinvolta per la sua localizzazione e morfologia del territorio, assunse la funzione di piattaforma geopolitica con l’insediamento di alcune basi militari della NATO. Un destino che avvicinava l’isola all’Angola, terra dilaniata e contesa da quelle superpotenze che ambivano ad accaparrarsi materie prime tra cui le ricche miniere d’oro.

Kia Henda volge le sue indagini sui segni indelebili di quel passato, e induce ad interrogarci su ciò che abbiamo vissuto, di cui  tracce di memoria sono ancora innestate al nostro presente.  Quale senso attribuire a quelle esperienze in relazione alla contemporaneità se poi le “trascendiamo” risucchiati dal circolo doloroso della ripetizione?

L’arte supera il valore estetico, attua uno sconfinamento, si umanizza nel suo supportare il cammino dell’uomo affinché la storia non venga occultata ma emerga con la sua verità per esser com/presa.

Attingendo da “incubi del passato” la sua arte sembra voler ricucire il significato di storia quale “testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita”  così definita da Cicerone nel suo De Oratione, anche se nello stesso istante mostra la sua funzione “terapeutica” e liberatoria: “L’arte che faccio è diventata un veicolo per esprimere un po’ di rabbia e frustrazione, – ci dice Kiluanji – ma fa anche parte di un processo di umanizzazione in quanto mette in discussione e mette in luce diversi episodi della storia recente che hanno influenzato drasticamente le nostre vite, oggi”.

Ci si avvia ad una sorta di destrutturazione per comprendere quel passato che diviene presente perché continua a vivere dentro di noi o accanto a noi, e che alle volte continua ad arrecare gravi danni. 

Primo percorso: la guerra, le servitù militari

La mostra si articola in due parti: al piano terra sono esposte le sue prime opere fotografiche. Inizialmente l’artista, attratto dal valore documentale di questo linguaggio,  percorre le vie di  Luanda e “inizia a raccogliere una quantità di storie di vita quotidiana di una città oppressa da anni di guerra” come ci racconta Luigi Fassi.

Sono immagini potenti al pari delle parole scritte da Giuseppe Ungaretti nella sua struggente poesia, San Martino del Carso (1916): “di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro”, dove gli occhi  del poeta e dell’artista colgono quella forza distruttrice, lo sgomento, la lacerazione che sembrano riflettersi nelle loro anime, che deflagrano con la potente metafora ungarettiana che vede il cuore come il “paese più straziato”.

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©️Kiluanji Kia Henda, Guerra FreddaEffetti Collaterali (2005)

“La fotografia è come una pugnalata” ripeteva spesso Henri Cartier-Bresson, ma nelle opere di Henda accanto alla sua forza tragica si cela un velo d’ironia, un meta-significato che s’innesta nella struttura concettuale. Ad esempio, in un’opera che invade e opprime i sensi intitolata Guerra Fredda – Effetti Collaterali (2005), Henda al centro della devastazione più totale pone in primo piano un ragazzo –  seduto su una sedia, che sembra  l’unico oggetto rimasto apparentemente funzionale, integro – che ci guarda con occhi terrorizzati, illuminati dalla paura.  Il corpo é cosparso da visibili ferite e contusioni, indossa vestiti logori.

Il  suo  sguardo crea un certo disagio. È possibile trovare qualche citazione: Napoleone (seduto) sconfitto o le rappresentazioni di Ingres,  ma nella fotografia assume una posa quasi innaturale per un contesto bellico. Il ragazzo non è disteso ma seduto, un’atteggiamento che ritrae la vita quotidiana; mostra dignità “regale” in quel dolore taciuto, impresso nella luce dei suoi occhi, dolore universale che ancora oggi accomuna esistenze;  il suo porsi è un divenire paradigma di resistenza, si predispone ad allontanarsi dal potere distruttivo, dalle logiche aberranti della guerra. 

Accanto a queste immagini vi sono opere realizzate durante il periodo di residenza al MAN, inerenti alla tematica della guerra, che colgono ferite del territorio sardo ancora aperte. L’artista non può esimersi dal notare  le numerose tracce di memoria (servitù militari) sulla Guerra Fredda, presenti in Sardegna, e arriverà ad una imbarazzante e dolorosa verità.

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©️Kiluanji Kia Henda, Ludic Island Map (2019)

Una prima opera con un velo di dissacrante ironia è Ludic Island Map (2019) una riproduzione di una mappa ludica della Sardegna ricostruita come il videogioco Tetris, dove su una “schermata” dell’isola scomposta, vista dall’alto,  si trovano i tasselli/servitù militari dello Stato Italiano e quelle della Nato (che se riunite formano la mappa intera). La Guerra svuotata del suo significato, ironicamente diviene un momento ludico.

Kia Henda, impressionato dalle numerose servitù militari presenti, filtra con la sua sensibilità artistica l’aspetto paradossale per un’isola la cui risorsa primaria sembra esser la straordinaria bellezza del suo territorio, del suo mare, mentre si trovano “incastri” che evocano distruzione, inquinamento, malattie. Oggi tra gli abitanti c’è una nuova consapevolezza nell’urgenza di sensibilizzare lo Stato Italiano per la dismissione delle servitù militari e per una bonifica delle strutture non più attive.

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©️Kiluanji Kia Henda, Double Head Flag (Escalapiano) (2019)

In Double Head Flag (Escalapiano) (2019) sono rappresentate sette piccole bandiere simili a quella istituzionale della Regione Sardegna composte da un campo nero con una croce gialla, colori che indicano la pericolosità di sostanze radioattive,  e in ogni quarto, al posto dei volti dei quattro mori, sono disegnate quattro teste di pecora bicefala: un riferimento ad alcuni “eventi” nella zona di Quirra (servitù militare) che avevano avuto notevole risalto mediatico. 

La riflessione con leggera ironia pone l’accento su un’altro tipo di “colonizzazione” che la Sardegna subisce da anni, su cui sembra far riferimento il titolo della mostra: “è successo qualcosa sulla via del paradiso” che  allude alle  servitù militari (in attivo o dismesse)  di cui ben 60% – di proprietà dello Stato Italiano – si trovano nell’isola, divenendo causa d’inquinamento ambientale,  dove l’ostacolo (servitù militari) incontrato “sulla via del paradiso” suggerisce una presa di coscienza collettiva (fortuna alcuni comitati sono attivi) e l’urgenza di chi responsabile possa intervenire con azioni concrete.

Ben vengano gli indennizzi ai comuni ma se finalizzati in un ottica di smantellamento e bonifica al fine di salvaguardare l’ambiente elemento fondante/ materia prima della risorsa principale dell’isola: il turismo.

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©️Kiluanji Kia Henda, Bullet Proof Glass  (Caprera Island) (particolare) (2019)

Un’altra opera di forte impatto visivo è Bullet Proof Glass – Mappa Mundi (Caprera Island) una fotografia delle coste della Sardegna scattata  da una feritoia, con vetro blindato, del vecchio forte dell’isola di Caprera. Impressiona vedere le coste lontane e quel “filtro” crivellato da fori sparsi nello spazio: un senso di disagio inenarrabile e il dolore acuto per azioni che creano vertigini per l’intensità distruttiva.

Ancora una volta sembra che la bellezza del paradiso venga incrinata da elementi che evocano solo distruzione e morte.

Secondo percorso: Il Mediterraneo e I migranti

Al secondo piano la mostra prosegue con un focus sul Mar Mediterraneo, divenuto oggi un problema geo-politico. Un tempo luogo “condiviso” per scambi commerciali,  spazio d’acqua che esprimeva contiguità tra nazioni.

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©️Kiluanji Kia Henda, The Geometric Ballad of Fear (2019)

Oggi, nella riflessione proposta dall’artista, sembra essere una barriera invalicabile simile ai muri, costruiti nella storia recente, che delimitano i confini degli Stati per arginare il flusso dei migranti.  The Geometric Ballad of Fear (La ballata geometrica della Paura) 2019, è un’opera che presenta una narrazione fotografica in bianco e nero delle coste della Sardegna. Sovrapposti alle fotografie, segni grafici che sembrano intrappolare le coste. In realtà sulle immagini sono stati stampati vari ordini di barriere tra stati.

Soffermiamoci sul punto di vista di chi osserva e guarda la costa dal mare, divenuta inaccessibile, militarizzata, segnata da reti metalliche che si succedono come strofe di ballate,  con varie geometrie che incutono timore, paura, fendono quella libertà dai significati sempre più opinabili. E traslando il significato anche il Mar Mediterraneo appare come “limite invalicabile” con la stessa funzionalità di un muro: quella di bloccare, respingere migranti.

Oltre la presenza delle servitù militari, colpiscono l’artista le consuetudini dei fenicotteri (“abitanti” dell’isola) che pur uccelli migratori esulano da qualsiasi abitudine codificata. Il loro migrare è libero e sembra riprendere il sogno utopico della libertà di movimento universale che Henda esprime in più opere.

E se l’uomo imparasse  il significato della libertà dai suoi fratelli minori, gli animali?  Quasi una citazione di Esopo, Fedro o La Fontaine, autori che attribuivano agli animali capacità didascalica.

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©️Kiluanji Kia Henda, Migrants Who don’t give a fuck, 2019

Le cartoline serigrafate in stile vintage dell’opera Migrants who don’t give a fuck (Migranti che se ne fregano) 2019 hanno come protagonisti proprio i fenicotteri:   uccelli migratori dal tipico color rosa, sempre più stanziali – in alcune zone incontaminate dell’isola – che mostrano di avere grande libertà negli spostamenti, saggezza acquisita che l’uomo sembra non conoscere.

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©️Kiluanji Kia Henda, Flamingo Hotel, 2019

In un’altra installazione Flamingo Hotel (2019) i significati di barriera e libertà, ancora una volta, emergono con un velo d’ironia e la trasposizione visiva segna  emotivamente: griglie, gabbie che diventano claustrofofiche. L’artista ha ricostruito un check point per evocare le barriere situate nel nord Africa che separano il Marocco dalle città spagnole di Ceuta e Melilla considerate confini sensibili dell’Unione Europea, strutture create per arginare i flussi migratori e il contrabbando. Se da una parte gli esseri umani non possono oltrepassare le barriere, gli uccelli migratori come i fenicotteri, riportati nel titolo dell’opera, possono sorvolare quel limite e forzando sul significato  l’artista immagina di utilizzare la struttura non come check point  ma come hotel punto “di ristoro” (elemento di sottile ironia) per esseri umani per ripartire per altri luoghi come da riferimenti etologici dei fenicotteri.

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©️Kiluanji Kia Henda, Flamingo Hotel, 2019

La sua riflessione sui confini si spinge ora in Provenza nelle Saline di Giraud nei pressi di Arles. Qui, con la coproduzione del MAN e LUMA Foundation realizza l’opera Mare Nostrum (2019) – parola latina che “traduce” Mar Mediterraneo – con una serie di fotografie sulle candide montagne di sale. Ma è presente un elemento che attrae lo sguardo nel suo creare contrasto, sospensione, devianza. L’artista infatti inserisce un telo nero, che se da un lato sembra disposto a raffigurare una sagoma di volatili in altre fotografie sembra creare un baratro profondo dove non si vede via d’uscita. Luogo sinistro di morte, luogo di non ritorno. La capacità di sintesi straordinaria di Kiluangji Kia Henda è nel sovrapporre campi semantici diversi per esprimere un solo concetto: le saline, oltre ad evocare terre di confine del mare nostrum, alludono alle lacrime – in cui nella composizione chimica si configura l’elemento salino – versate per fuggire da quei luoghi dove il dolore è piaga dell’anima e si insegue quel sogno di “libertà”. 

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©️Kiluanji Kia Henda, Mare Nostrum, 2019

Il mare è dolore (lacrime/ saline) per quella fuga verso la libertà che può interrompersi divenendo un baratro. Antro del non ritorno. Ora divenuto custode dei numerosi dispersi.

Il riferimento alle lacrime è presente in un’altra suggestiva installazione “Reliquiario di un sogno naufragato” (2019) con una risoluzione estetica imponente, dove la sofferenza, filtrata dall’abilità introspettiva dell’artista,  sembra  scaturire da ogni riflesso della struttura di ferro – che simboleggia una “teca da reliquia” – quasi “lacrime” sui muri e pavimenti della stanza. Un’opera che  narra  l’evolversi crescente di un pathos senza fine reso tangibile da quella testa adagiata sull’altare di lacrime.

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©️Kiluanji Kia Henda, Reliquiario di un sogno naufragato, 2019

Il reliquiario è costituito da griglie geometriche presenti nelle barriere di respingimento tra stati che vede al centro un blocco di sale compresso delle saline, con adagiata una scultura in bronzo: la testa con dei lineamenti di un artista angolano, Osvaldo Sergio, divenuto famoso per aver rappresentato l’Otello di Shakespeare in un teatro del Portogallo, un   angolano che era riuscito a raggiungere il suo sogno. Infatti, si era affermato come attore pur avendo dovuto attraversare il mare (rappresentato dal sale compresso), quindi segnato da un percorso di sofferenza. Oggi quel sogno è naufragato, racchiuso tra barriere di respingimento in cui è difficile sopravvivere sia che si attraversi il mare sia la terra. 

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©️Kiluangji Kia Henda, Reliquiario di un sogno naufragato, 2019

Kiluanji Kia Henda ci insegna ad interpretare i segni della memoria, e pur “mettendo il dito nella piaga” – come sostiene – mostra come non sia possibile trascenderla ma capire per affinare una nuova coscienza civica.

Dalla sofferenza della sua gente ha attinto quella forza necessaria non solo per denunciare ma per divulgare le sue riflessioni in un nuovo orientamento artistico che non è solo arte e pensiero ma arte e attivismo,  parte dal sociale dove ritrova un senso spurio al fine di ricucire quella consapevolezza critica inibita che ha in sé i germogli di un mondo più vivibile. Forse una speranza? Ci vogliamo credere.

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Spesso si pensa che la difficoltà per i profughi sia solo la traversata in mare. Quella è solo l’ultima tappa. Ho ascoltato i loro racconti a lungo. La scelta di partire, di lasciare la propria terra. Poi il deserto. Il deserto è l’inferno, dicono, e non lo puoi capire se non ci sei dentro. Poca acqua, stipati sui pick-up, dove se ti siedi nel posto sbagliato sei sbalzato fuori e muori. E quando l’acqua finisce, per sopravvivere puoi bere solo la tua urina. Giungi in Libia, pensi che l’incubo sia finito, e invece ha inizio un altro calvario: la prigione, le torture, le sevizie. Solo se riesci ad affrontare tutto questo, a superare tutte le crudeltà, ti imbarchi. E se non muori in mare, finalmente arrivi, e speri che la tua vita possa ricominciare.”

Da Lacrime di sale. La mia storia quotidiana di medico di Lampedusa fra dolore e speranza di Pietro Bartolo

 

VENTI▪️ITNEV/diMAN : Il Museo D’Arte della Provincia di Nuoro celebra il ventennale.

Una struttura urbana di una certa intensità, aumenta prestigio e credibilità  se predispone di uno spazio per un’istituzione museale. Un luogo non solo depositario di memoria  ma centro di riflessione diacronica, in cui si giunga a nuovi percorsi interpretativi con letture diversificate e attraverso linguaggi artistici ancorati ad epoche differenti. Altresì, che sviluppi i contenuti in modo chiaro da indurre l’uomo contemporaneo ad affinare il proprio gusto estetico e migliorare l’approccio critico verso la realtà, in un’ottica pedagogico-comunicativa.

Un museo, per essere credibile, deve sapersi imporre come voce culturale anche per incrementare l’afflusso di visitatori. Oltre a focalizzarsi sulla qualità dei contenuti, deve essere supportato da un’efficiente organizzazione affidata ad un curatore, relativamente alla parte manageriale più articolata e complessa, che pianifichi eventuali acquisizioni ed esposizioni, proponendo nuovi linguaggi visivi da suscitare interesse e attrarre la sfera emotiva dei fruitori. Un po’ come lo stupore di Alice nel suo meraviglioso paese, di cui tutti conosciamo la storia.

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Attuale sede museale MAN – Courtesy ©️Sardegnaturismo.it

Oggi possiamo dire che l’ottimo lavoro dei curatori, nella direzione del MAN – il MUSEO d’ARTE Provincia NUORO  dal 1999 fino al 2019 è stato determinante per creare uno tra i più importanti riferimenti culturali, non solo per i sardi. Con uno sguardo di sintesi ai due decenni è possibile intravvedere i principi del loro agire: la passione per l’arte, le loro conoscenze, la loro capacità interpretativa e di valorizzazione delle esposizioni proposte, la costante presenza e coinvolgimento del territorio, lo sviluppo di un laboratorio didattico per i più piccini. V E N T A N N I /diMAN sono stati un’intensa attività febbrile, incalzante, propositiva, molto coinvolgente. Tante le mostre presentate ne ricorderò solo alcune per evidenziare la qualità espositiva di un museo “periferico” , che ha mostrato di avere carattere e sapersi imporre come secondo museo di arte moderna e contemporanea più importante del Sud Italia, dopo il MADRE di Napoli.

 

 

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Allestimento La Bohéme – Credit ©️Donato Tore Courtesy MAN, 2018

Ricordo la mostra di successo di “Vivian Maier. Street Photographer” 2015 [in Italia, prima struttura museale ad esporre le sue fotografie] tata/fotografa scoperta casualmente, che aveva fatto della sua passione il fine della sua esistenza; “Paul Klee e l’animismo” 2016; la mostra “Radicale-soggettivo” 2016 con le opere dell’espressionismo tedesco dalla prestigiosa collezione dell’Osthaus Museum di Hagen; “Berenice Abbott Topographies” 2017; “Robert Capa. Una vita leggermente fuori fuoco” 2014; “La Bohème. Henri de Toulouse-Lautrec e i maestri di Montmartre” 2018; “L’amore al tempo della rivoluzione. Coppie dell’avanguardia Russa” 2017. Infine cito  le ultime esposizioni in mostra fino al 3 Marzo 2019,  che propongono linguaggi visivi per significative riflessioni in cui si respira una “weltanschauung” oltre confine : “Sabir” di Dor Guez, O Youth and Beauty!” di Anna Bjerger, Louis Fratino, Waldemar Zimbelmann e “Sogno d’oltremare” di François-Xavier Gbré.

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Allestimento Maria Lai. Ricucire il mondo, 2016 – Courtesy ©️Pierluigi Dessì 

Nella sua costante ricerca di nuovi linguaggi espressivi, il MAN ha mostrato particolare attenzione verso artisti sardi sempre più apprezzati dalla critica per espressività originale e significati. Vorrei poterli ricordare tutti, perché la nostra terra vivifica l’arte,  la rende viva in tantissimi segni e idee. Incroci dove il pensiero si riplasma di/verso, altro, ne cito solo alcuni : Vincenzo Satta con la mostra “Lieve”, Christian Chironi in “Open”, Rossana RossiTestimonianze”.

Ma i ricordi, e non solo, affioreranno durante le celebrazioni per il V E N T E N N A L E / diMAN, da venerdì  8 a domenica 10 febbraio 2019 sono previste tre giornate di eventi significativi in cui, con uno sguardo al passato ma proiettato verso una progettazione futura, si rivisiterà il percorso evolutivo di questa istituzione.

Inoltre, sarà possibile accedere allo storico palazzo di Piazza Satta, attualmente in fase di avvio restauro con progetto dell’architetto Lorenzo Marratzu, che diverrà il nuovo spazio espositivo recentemente acquisito dal museo. Il nuovo stabile ospiterà le mostre temporanee e gli uffici del personale. Solo per il V E N T E N N A L E sarà possibile assistere ad una suggestiva installazione prodotta e ideata dallo Studio INOKE di Nuoro. In forma di racconto multimediale i visitatori saranno guidati alla scoperta del futuro allestimento.

In un altro percorso espositivo si ripercorrono i V E N T A N N I / diMan attraverso inviti, cartoline, materiali video, fotografie, manifesti che l’artista di San Gavino Monreale Daniela Frongia “imbastisce” con il suo linguaggio introspettivo, trasformando lo spazio preposto per l’installazione in una “Wunderkammer” : una camera delle meraviglie o scrigno di tesori che destano stupore, che illuminano sui significati divenuti tracce/[oggetti] del nostro esistere.

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Allestimento mostra “Roman Signer” 2016 – Courtesy ©️ Confinivisivi.

Infine, si potrà vedere la collezione permanente che non era possibile visionare per mancanza di spazi espositivi. Opere che esprimono i linguaggi espressivi di artisti sardi dall’inizio del ‘900 fino ai giorni d’oggi: Antonio Ballero, Costantino Nivola, Francesco Ciusa, Maria Lai, Mauro Manca solo per citarne alcuni. Diceva Sant’Agostino “Se il futuro e il passato esistono voglio sapere dove sono. […] Dovunque siano e qualunque cosa siano, non sono se non presenti”. La tradizione è nella nostra contemporaneità. Solo da quei concetti possiamo comprendere i linguaggi attuali nel loro evolversi.

Oggi il MAN continua nella sua ricerca di nuove e creative espressioni, verso nuove acquisizioni con una un’attenzione costante ai linguaggi contemporanei anche in ambito internazionale. È questo che ha sempre contraddistinto l’istituzione museale oltre ai programmi didattici, visite guidate ed eventi. “Un viaggio di conoscenza” attraverso le varie esperienze artistiche, riflesso dei tempi,  legate a quel dinamismo che anima il cammino dell’uomo.

Non ci resta che augurare lunga vita al MAN perché indirettamente è la “nostra” vita.

©️Lycia Mele Ligios 2019

MAN_Museo d’Arte Provincia di Nuoro
Via Sebastiano Satta 27 – 08100 Nuoro
Orario 10 – 19 | Lunedì chiuso

 

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Allestimento mostra Alberto Giacometti 2014 – Courtesy ©️Curatedart

English version

An urban structure of a certain intensity develops prestige and credibility if it predisposes a space for a museum institution. A place not only a depository of memory, but a center of diachronic reflection where new interpretative paths can be reached with diversified readings, through artistic languages anchored in different eras, defining the contents in a clear way to induce contemporary man to develop his own aesthetic taste and improve the critical approach to reality, from a pedagogical-communicative point of view.

A museum to be credible must know how to impose itself as a cultural voice also to increase the flow of museum visitors. In addition to focusing on the quality of contents, it must be supported by an efficient organization entrusted to a curator, in relation to the more complex managerial part, who plans possible acquisitions and exhibitions proposing new visual languages to arouse interest and attract the emotional sphere of museum’s visitors. As Alice’s amazement in her wonderful country, of which we all know the story.

Today we can say that the excellent work of the curators in the direction of MAN – the MUSEUM of ART Province of NUORO from 1999 until 2019, has been decisive to create one of the most important cultural references not only for the Sardinians. From a synthesis of the two decades it is possible to glimpse the principles of their actions: the passion for art, their knowledge, their ability to interpret and enhance the proposed exhibitions; the constant presence and involvement of the territory; the development of an educational workshop for children. V E N T A N N I / diMAN was an intense feverish, pressing, proactive, very engaging activity. Many exhibitions presented, I will remember only a few to highlight the quality of a “peripheral” museum exhibit that has shown to have character and know how to impose itself as the second most important museum of modern and contemporary art in Southern Italy, after the MADRE of Naples.

I remember a successful exhibition for the unusual story related to the casual rediscovery of a photographer / babysitter who had made of her passion the pourpose of her existence : “Vivian Maier. Street Photographer “[in Italy, the first museum structure that exhibited his photographs]; “Paul Klee and animism”; the “Radical-subjective” exhibition with the works of Expressionism from the prestigious Ostahus Museum collection inu Hagen, “Berenice Abbott Topographies”, “Robert Capa. A life slightly out of focus”; Bohème, Henri de Toulouse-Lautrec and the Masters of Montmartre “; “Love at the time of the revolution, couples of the Russian avant-garde”. Finally I can not avoid mentioning the last exhibitions, on display until March 3, 2019, which offer visual languages ​​for significant reflections, in which there are a “weltanschauung” across the border: Dor Guez’s “Sabir”, “O Youth and Beauty!” by Anna Bjerger, Louis Fratino, Waldemar Zimbelmann, and “Sogno d’oltremare” by François-Xavier Gbré.

In its constant search for new expressive languages, MAN has shown particular attention towards Sardinian artists increasingly appreciated by international critics for their original expressiveness, full of meaning. I wish I could remember them all, because our earth vivifies art. It makes you alive, in so many signs, ideas. Crossroads where the thought is replaced of / towards, other. As the words here are a constraint let me remember Vincenzo Satta with the exhibition “Lieve”, Christian Chironi in “Open”, Rossana Rossi “Testimonials”.

But the memories, and not only that, will surface during the three days of celebrations for the TWENTY YEAR / diMAN from Friday 8 to Sunday 10 February 2019, there will be three days of significant events in which, with a look to the past but projected towards a future planning , the evolutionary path of this institution will be revisited.

In addition, it will be possible to access the historic building of Piazza Satta, currently undergoing restoration with a project by architect Lorenzo Marratzu, which will become the new exhibition space recently acquired by the museum. The new building will host temporary exhibitions and staff offices. Only for the V E N T E N N A L E will be possible to attend a suggestive installation produced and designed by the INOKE Studio in Nuoro. In the form of a multimedia and multi-sensory story, visitors will be guided to the discovery of the future set-up.

In another exhibit itinerary, the V E N T A N N I / diMAN are retraced through invitations, postcards, video materials, photographs, posters that the artist of San Gavino Monreale Daniela Frongia “bases” with her introspective language, transforming the space required for installation in a “Wunderkammer”: a chamber of wonders or treasure chest that arouses amazement, which illuminates the meanings that have become traces / objects of our existence.

Finally, the permanent collection will be exhibited, which could not be viewed due to lack of exhibition space. Works expressing the visuals languages ​​of Sardinian artists from the beginning of the 20th century up to the present day: Antonio Ballero, Costantino Nivola, Francesco Ciusa, Maria Lai, Mauro Manca just to name a few. St. Augustine used to say “If the future and the past exist, I want to know where I am. Wherever they are and whatever they are they are not, if not present. “Tradition is in our contemporaneity. Only by those concepts can we understand the current languages ​​in their evolution.

Today the MAN continues in its search for new and creative expressions, towards new acquisitions with a constant attention to contemporary languages ​​also in the international field. This is what has distinguished the museum institution in addition to educational programs, guided tours, events. “A journey of knowledge” through the various artistic experiences, a reflection of the times and linked to the dynamism that characterizes the life of man on earth.

We just have to wish MAN a long life because it is indirectly “our” life.

©️Lycia Mele Ligios 2019

Ombre da “Le Città #Invisibili” di Italo Calvino

#1
respiro
il nulla
d’esser
ricordo
sazia
di mondo
ombra
di Verità

#2
è giocarsi
nel Tempo:
cucire
e stramare
l’esistere

#3
Sogni
riflesso
di desideri
che salto
di vita
veste

di ricordi

#4
Occhi
rubano il tempo
dono per l’anima

nei ricordi

#5
sentieri di vita
dove tempo
evoca il ritorno
al bivio del cuore

#6
Ieri Oggi Domani
Luoghi di eternità 
Dispersi in me
Antro d’infinito

Lycia Mele
© Riproduzione riservata

Progetto culturale di Paolo Costa, Hassan Bogdan Pautàs e Pierluigi Vaccaneo
http://twitteratura.it/

Paul Chan Quinta,2006
Paul Chan
Quinta,2006

MNRotelli “Divina Natura: Field on light” | Underwood 2002 un ricordo per #scritturebrevi

“Il sapere della contemporaneità come messaggio per l’umanità” sono parole o #scritturebrevi presenti nell’ultima installazione, ‘Divina Natura: Field on light’, presentata a Chicago il 28 giugno dall’artista italiano Marco Nereo Rotelli, che sarà visibile fino al 23 Agosto.
Il palazzo in stile neoclassico che ospita il Field Museum of Natural History di Chicago viene adornato da una miriade di luci e #scritturebrevi. Il linguaggio visivo si manifesta in trasparenze molto suggestive. Tra le forme architettoniche del palazzo, sobrie ed armoniose, che ricalcano passati, si inseguono fili di luci: di colore rosso intenso simbolo di forza creatrice, energia che è vita; di colore blu, dalle varie tonalità azzurro intenso o celeste cielo, sintesi concettuali che generano sapere.
Nelle imponenti colonne del portico d’ingresso si animano ombre e si distillano colori in una danza che avvolge il sentire di chi contempla.

Installazione di MNRotelli Chicago Installazione MNRotelli Chicago

È importante l’evento per questa ‘vestizione’: la celebrazione della cultura italiana negli Stati Uniti. E riprendendo i nostri albori letterari appare l’uomo sintesi di conoscenza : Dante Alighieri. Uomo senza limiti, padrone di un sapere che aveva predisposto la sua anima di letterato tesa verso l’eternità.
L’universo dantesco viene rivisitato e sintetizzato con luci, poesia e musica. Le luci giocano sulle imponenti colonne e superfici definendo paradisi, inferni, numeri, tradizioni, credenze. Sembrano intrecciarsi su tessuti damascati che avvolgono le facciate. La luce viene modulata, plasmata, modificata in rifrazione. Ricami di bagliori quali strati di sapere su oggetti creati dall’uomo che per sentire il vivere ha necessità di liberare la mente ed inseguire sogni. E come sottolinea Rotelli “la mente di ogni uomo,ogni poeta, guarda verso il cielo”. Un cielo infinito che racchiude lo spazio del tempo. Un tempo in cui il sapere stratificato ha contribuito all’evoluzione e al determinarsi della nostra consapevolezza critica.

Installazione di MNRotelli Chicago Installazione di MNRotelli Chicago

Molti poeti leggeranno le loro opere. I contenuti, scelti da realtà drammatiche, ripercorrono tematiche d’ispirazione dantesca: il problema della guerra, della distruzione, della morte d’innocenti, della perdita, dell’avidità, della corruzione in politica, non mancano riferimenti all’attuale situazione siriana e turca.

Installazione di MNRotelli Installazione di MNRotelli Chicago

MNRotelli, in questa sua installazione, ha realizzato sintesi titaniche realizzando arte non solo finalizzata all’estetica e all’espressività ma arte-politica, arte-sapere, arte-conoscenza.
È riuscito nell’intento caro ad un altro grande artista del 900 Joseph Beuys che intervistato da Achille Bonito Oliva diceva “prima non si analizzava la natura, Dio o la materia, si accettava il tutto come un insieme coerente, e mancava la forza per un analisi individuale, cioè libera. Questa è la presa di coscienza dell’uomo occidentale, da Platone fino ai nostri giorni: la conquista di questa forza di analisi, di critica”. Dante affida alla sua Commedia il disagio del suo tempo, con una capacità critica e di analisi, che lo fece soffrire ma che generò un profondo riscatto quello di essere l’uomo più contemporaneo di tutti i tempi. MNRotelli, con la sua sintesi, aiuta l’uomo a prender coscienza del proprio tempo con uno sguardo rivolto verso il cielo, che conduce alla libertà ma che ugualmente permette di rivedersi con distacco, inseguendo speranza e creatività.

Lycia Mele
© Riproduzione riservata

Installazione di MNRotelli Installazione di MNRotelli Chicago

 


 

 

Per #scritturebrevi un mio ricordo del progetto Underwood di Marco Nereo Rotelli e Fernanda Pivano, inserito nell’evento “Parole sull’acqua”, organizzato  per i 75 anni di attività della Biblioteca di Ascona.

Marco Nereo Rotelli e Fernanda Pivano
Marco Nereo Rotelli e Fernanda Pivano

Veneziano d’origini, Marco Nereo Rotelli è un artista conosciuto in tutto il mondo per le sue originali installazioni: Parigi, Seoul, Cina, America. Adora la poesia e la utilizza per le suoi suggestivi lavori. Ne recupera i significati “altri”da un reale codificato ma che viene modificato nell’essenza, inserendo poesie, frammenti di poesie, #scritturebrevi.

La poesia gli ha permesso di avere tra gli amici più cari i più importanti nomi della poesia italiana ma anche straniera, tra i quali ricordo Elio Pecora, Mario Luzi, Edoardo Sanguineti, Maria Luisa Spaziani, Giuseppe Conte, ed altri.

Installazione di Marco Nereo Rotelli
Installazione di Marco Nereo Rotelli

#scritturebrevi ” I n o i d i a l l o r a”

Il linguaggio poetico utilizzato nelle installazioni d’arte contemporanea di MNRotelli sembra un divenire liquido. Plasma e modella. Al pari di un fluido inarrestabile si insinua tra interstizi definendo nuovi pensieri e risvegliando i sensi.

L’elemento estetico scardina e disorienta. Le parole scritte, scolpite sui materiali riflettono  una dimensione a-temporale. Esistono subordinate ai fasci di luci che giocano un ruolo primario.Si conferisce unità agli oggetti nell’esaltazione dei sensi che percepiscono la fusione del significante con il significato.

Vari  i materiali che utilizza ed insolite le location che sceglie: dal legno tarlato di una vecchia porta al più nobile vetro di Murano, a suggestivi giochi di grafemi e luci nelle facciate d’importanti palazzi storici, a #scritturebrevi #poesie scolpite sui marmi di una cava abbandonata di Carrara. La parola scritta/contenuto nella forma di #scritturabreve dilata coscienze per ricevere nuovi significati.

Installazione di MNRotelli
Installazione di MNRotelli

Ero a casa quando squillò il telefono e una voce sconosciuta mi salutava.  Raccoglievo parole. Dovevo ridare un senso. Impossibile. Chiedeva una mia poesia, scelta insieme a Nanda, una sua cara amica, meglio  conosciuta come Fernanda Pivano, per un’installazione ad Ascona intitolata Underwood.

Una poesia #scritturabreve incisa su una piastra in alluminio sotto un albero, nei pressi del lago Maggiore, accanto ad altri alberi con altre piastre e poesie di poeti contemporanei quali Zanzotto, Luzi, Spaziani, Raboni, Sanguineti. Fernanda Pivano, si cibava di poesia quotidianamente.

Era fusa con la sua anima. Ricordo la traduzione dell’antologia di Edgar Lee Master, Spoon River, opera suggeritale da Cesare Pavese, suo insegnante di Liceo. Le traduzioni delle poesie dei poeti Beat, di Bukowski, di Miller ed altri. Amava parole in libertà, sperimentazioni linguistiche e #scritturebrevi.

Installazione di  MNRotelli
Installazione di MNRotelli

#scritturebrevi “A d e s s o  i o   v o l o,  a d e s s o,  i n t a n t o”

A distanza di tempo incontro una docente di linguistica Francesca Chiusaroli e il suo blog #scritturebrevi aperto a nuove sperimentazioni linguistiche e alla ricerca di nuovi stimoli per sentire la libertà nella scrittura e nella “parole” per usare un termine caro a Ferdinand de Saussure, forse tra i primi linguisti ad aver enfatizzato l’umanizzazione di un codice linguistico.

Rifletto sulle due persone susseguitesi nel mio cammino di vita, e non posso non considerare, in primis, il loro amore per la lingua, oggetto dei loro studi, la sperimentazione, la capacità di cogliere le novità presenti, evidenti segni di futuri cambiamenti.

Inoltre, mi soffermo sulle lettere che compongono i due nomi Francesca e Fernanda, l’iniziale è una “effe” consonante [f] fricativa labiodentale sorda che considero un fonema che porta con se l’inizio e la fine. È il fonema della totalità, della completezza d’analisi. Permette di arrivare a nuove sintesi o ricominciare con nuovi stimoli ed osservazioni in un continuum con #scritturebrevi, #osservatorio dello scrivere. Così la #scrittura continua libera nei sentieri dell’esistere.

Lycia Mele
© Riproduzione riservata

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