#ConnessioniInventive | Il filosofo Giovanni Leghissa parla di vincoli e libertà

“La filosofia è tornata nella piazza” scrive su “Aut Aut” la filosofa Laura Boella e si può trovare anche in “cucina” sotto forma di ottima “ricetta” per lo spirito.

La filosofia sembra essersi alleggerita del suo status “inafferrabile” e oggi si riscopre quale “strumento“ di trasformazione interiore, di terapia per l’anima. Ma non solo. Sembra scalpitare dal desiderio di vivere non più al margine, ma “dentro” il sociale.

Con valenza metaforica appare il celebre dipinto di Michelangelo, il Giudizio Universale della Cappella Sistina, dove Dio sfiora il dito di Abramo per donargli intelligenza.

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Particolare dal Giudizio Universale di Michelangelo – Cappella Sistina 

Anche la filosofia vuole prendersi cura dell’uomo. Trasmettergli mezzi necessari alla sopravvivenza in questo periodo dove l’incertezza, lo smarrimento, la sofferenza tracciano il silenzio surreale delle città deserte.

E domani 16 aprile, alle ore 11, in diretta streaming sul canale Facebook e Instagram del Museo MAN di Nuoro (@museoman) e ICA di Milano (@ica_ milano) il filosofo Giovanni Leghissa professore del Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino, redattore di “Aut Aut” e direttore della rivista di filosofia on line “Philosophy Kitchen” parlerà di alcune tematiche molto attuali: “Il vincolo e la libertà”.

La lecture rientra nel progetto Connessioni Inventive – domani al secondo appuntamento  – a cura di Luigi Fassi direttore del Museo MAN della Provincia di Nuoro e Alberto Salvadori direttore di ICA, Istituto Contemporaneo per le Arti  di Milano.

In un momento in cui tutti siamo obbligati a #stareacasa,  il progetto #connessioniinventive promuove conoscenza umanistica con autorevoli voci della nostra cultura e riabilita la funzione dei social quali validi strumenti di diffusione del sapere.

Si parlerà dei vincoli a cui è soggetta l’azione umana: quello biologico in quanto l’uomo è parte della specie animale,  e quello istituzionale/organizzativo che vede ogni individuo muoversi tra spazi strutturati con regole, consuetudini; e altri, determinati da norme morali.

La domanda d’indagine ruota attorno allo spazio che resta a disposizione dell’uomo affinché possa crearsi una sua esistenza in modo libero e autonomo, senza altre ingerenze. Si parlerà di desideri, di pulsioni per giungere a focalizzarsi sulla libertà.

Se impossibilitati a seguire la lecture in streaming si potrà vedere nel canale You Tube Connessioni Inventive.

Lycia Mele Ligios

©️Riproduzione Riservata

MAN | Arte Sarda nei nuovi percorsi espositivi : Anna MARONGIU e Collezione Permanente

Nelle ultime stagioni espositive, il Museo MAN  ha approfondito il ruolo della Sardegna, crocevia nell’area mediterranea,  “di flussi culturali, sociali e politici”.  Oggi propone due nuovi percorsi museali per riallinearsi a quello spirito che da sempre lo contraddistingue e che possiamo sintetizzare con due parole: indagine/ricerca e valorizzazione, metodi che hanno permesso di implementare la collezione permanente e promuovere opere di talentuosi artisti sardi.

Assistiamo, dunque, ad un nuovo sguardo sulla contemporaneità per mezzo di quel passato che ci definisce, delinea la nostra identità culturale e ne segna l’evoluzione estetica con due mostre dedicate all’arte sarda del Novecento.

La prima, un’importante retrospettiva a cura di Luigi Fassi,  con opening venerdì 8 novembre 2019 fino a domenica 1 marzo 2020, su Anna Marongiu (Cagliari 1907 – Ostia 1941), una grande artista scomparsa prematuramente a soli 34 anni, che ha lasciato un interessante corpus di opere, nonostante la vita abbia reciso troppo presto i suoi sogni.

Anna Marongiu per Il Circolo Pickwick – Courtesy Museo MAN

In esposizione avremo tre cicli di illustrazioni dedicati ad alcuni capolavori della letteratura inglese e italiana: la serie completa delle tavole di Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare del 1930, le illustrazioni de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni del 1926 e le tavole de Il Circolo Pickwick di Charles Dickens  del 1929.

L’elemento più prezioso della retrospettiva è  quest’ultima serie di tavole provenienti dal Charles Dickens Museum di Londra. Esposte per la prima volta in un istituzione museale, dopo ben novant’anni dalla loro realizzazione. Per la gioia di grandi e piccini, le 262 tavole realizzate a inchiostro e acquarello raffigurano le scene e i protagonisti del primo romanzo, capolavoro della letteratura inglese, che il geniale Charles Dickens scrisse nel 1836 “The Pickwick Papers”, pubblicato in fascicoli secondo la consuetudine del tempo.

Oltre all’esposizione è possibile vedere un breve docufilm  sull’artistarealizzato dal MAN e Film Commission Sardegna in collaborazione con il Charles Dickens Museum – con la regia di Gemma Lynch.  Inoltre, correda la  mostra il catalogo edito da Marsilio Editore.

Anna Marongiu

Ma chi era Anna Marongiu? Un’artista molto riservata, come si racconta. Devota alla sua arte, al suo disegnare. Era una persona curiosa e attenta alla realtà che la circondava. Grande osservatrice dei caratteri umani che traduceva in segni definiti, precisi, puliti.

Nelle sue delicate e raffinate illustrazioni,  ogni tratto sembra scorrere fluido senza incertezza,  legato al successivo con una straordinaria lucidità e immediatezza del gesto, del segno, per risultati equilibrati, armonici.

Una plasticità ricercata con resa tonale ben sfumata. Capace di penetrare l’animo dei personaggi raffigurati, si mostra abile nell’introspezione  psicologica sì da definire paradigmi caratteriali del genere umano che traduce con vigore espressivo. L’immediatezza visiva coinvolge e chiarifica le minuziose descrizioni dello scrittore e come per magia ci si ritrova protagonisti del racconto. 

Anna Marongiu si forma presso l’Accademia Inglese di Roma.  Ma fin da subito mostra “grande capacità di sperimentazione alle molteplici tecniche come il disegno, l’acquaforte, l’olio, il bulino. Il suo registro linguistico, caratterizzato da una forte espressività del segno, si muove tra l’umoristico e il drammatico, il comico e il mitologico, trovando originalità e vigore in tutte le tecniche da lei adoperate”.

La Galleria Palladino, importante centro d’arte di Cagliari, ospitò una sua prima mostra personale che in seguito le permise, nel 1940, di partecipare  alla Mostra dell’incisione italiana moderna di Roma.

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Anna Marongiu per Il Circolo Pickwick – Courtesy Museo MAN

Sorprende come oggi questa artista fosse un po’ dimenticata. Purtroppo sembra un destino comune a molti. Ancora tanti gli artisti sardi,  con linguaggi espressivi originali che meritano di esser  valorizzati.

L’ombra del mare sulla collina

La seconda mostra – che inaugura l’8 novembre 2019 ma termina domenica 12 gennaio 2020,  a  cura di Luigi Fassi e Emanuela Manca  presenta un titolo di evocazione surreale che vagamente potrebbe ricordarci l’eccentrico ma incantevole artista Salvador Dalì “L’ombra del mare sulla collina”,  vede esposte alcune opere della ricca e poliedrica Collezione Permanente del MAN tra disegni, pitture, sculture e film.

Il percorso espositivo ricostruisce le vicende artistiche del Novecento sardo attraverso alcune opere, tra le più rappresentative della collezione, e prosegue fino al presente instaurando uno stretto dialogo con diversi autori contemporanei.

La mostra prende nome da un’opera di Mauro Manca (Cagliari 1913 – Sassari 1969), – artista brillante, poliedrico, inquieto, – che segna un preciso momento storico del secondo dopoguerra, quando anche la Sardegna sembra aprirsi  ai linguaggi dell’arte moderna.

 

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Mauro Manca, L’ombra del mare sulla collina, 1957 – Courtesy Museo MAN

L’eterogeneità della storia artistica sarda, si palesa in confluenze e rimandi tra i vecchi linguaggi legati alla tradizione e quelli innovativi più vicini alle nuove forme sperimentali più spirituali, più introspettive, tese verso l’astrattismo. 

In esposizione le vedute di interni di Giacinto Satta e le nuove acquisizioni di Aldo Contini, Anna Marongiu e Mario Paglietti. Inoltre, avremo in mostra opere di artisti dai differenti linguaggi espressivi, divenuti figure chiave della scena artistica sarda: Edina Altara, Italo Antico, Antonio Ballero, Alessandro Bigio, Giuseppe Biasi, Giovanni Campus, Cristian Chironi, Francesco Ciusa, Giovanni Ciusa Romagna, Delitala, Francesca Devoto, Salvatore Fancello, Gino Fogheri, Caterina Lai, Maria Lai, Costantino Nivola, Rosanna Rossi, Vincenzo Satta, Tona Scano, Antonio Secci, Bernardino Palazzi.  A loro il merito di aver elaborato quei codici espressivi caratterizzanti l’arte dell’isola nel secolo scorso, creando contaminazioni presenti in alcuni artisti contemporanei.

Vogliamo, infine, ricordare le parole di una grande collezionista, Peggy Guggenheim: “sostenere e promuovere l’arte e gli artisti è un dovere morale” imprescindibile. L’arte è vita. Un riflesso della società che allude a conoscenza, delinea nuovi percorsi, suggerisce nuovi sguardi/idee.  Lodevole l’impegno delle istituzioni museali o fondazioni private  che promuovono  e valorizzano ciò che il tempo talvolta sembra occultare.

 

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©Riproduzione Riservata

(Articolo apparso su Olbia.it il 27 Ottobre 2019)

 

 

 

 

 

A GAVOI è “Bloomday” | MAN_Museo presenta opera di Miroslaw BALKA che celebra JAMES JOYCE

Non era un giorno qualunque. Era un giorno che diverrà un  punto chiave della nostra modernità. La descrizione di una lunga giornata saltellando dentro e fuori i pensieri dei protagonisti, in un tempo privo di confini, per ritrovarci travolti da fiumi di parole  o meglio definito  “stream of consciousness” – flusso di coscienza – pensieri in libertà come si originano nella coscienza senza ordine logico. E con un viaggio all’interno di se stessi si rifiniva un nuovo abito di scrittura creativa. Si direbbe. In tanti l’avrebbero indossato, minuzzato e adattato a sé. 

Era un giovedì 16 giugno 1904.  Forse, alcuni ricordano questa data oggi divenuta simbolo di modernità, nell’ambito letterario, per la nascita di nuova forma di romanzo non  più soggetta a  rapporto di causa ed effetto come voleva la tradizione precedente. Nasceva il romanzo psicologico del ‘900.

Il giorno, “luogo” di scena che sembra non conoscere confini, è tratto  dal suo romanzo più famoso l’Ulisse dove si raccontano le 24 ore trascorse dal suo antieroe Leopold Bloom.

Lui è lo scrittore più rivoluzionario ed innovativo che la storia  della letteratura ricorda: James Joyce (Dublino 1882 – Zurigo 1941). Un autore che intimorisce per l’esuberanza di una scrittura esplosiva, complessa, a tratti ostica.

Dublino, Città della Letteratura per l’Unesco, rivive l’atmosfera di quel giorno nel Bloomday,  festival letterario frizzante e movimentato a tratti folcloristico, molto coinvolgente.

Anche la Sardegna, sembra idealmente coinvolta. Celebrerà lo scrittore e la sua opera nel “magico” paesino di Gavoi, dove il cielo disegna la sua luce su graniti e gerani rossi, nel Preludio del Festival Letterario “Isola delle Storie” che si svolgerà dal 4 al 7 luglio.

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Al Museo del Fiore Sardo domenica 16 giugno (stesso giorno del romanzo) alle ore 18:00 ci sarà l’opening di una mostra, curata dal Direttore del MAN di Nuoro Luigi Fassi, –  grazie alla Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano,  – vedrà esposta fino a domenica 7 luglio l’opera scultorea  (250 x 280 x 120) “Sweets of Sin”  di Miroslaw Balka  (Varsavia 1958) ispirata a James Joyce e alla sua opera letteraria l’Ulisse.

L’Artista

È prestigioso avere un’opera di Miroslaw Balka in Sardegna. Impegno di un’istituzione museale, il MAN di Nuoro, che orienta le sue ricerche e proposte in un’ottica sempre più internazionale con linguaggi artistici che riflettono la complessità del nostro viver contemporaneo.

Balka è un artista-filosofo di grande rilievo nella scena dell’arte contemporanea che vanta tante presenze alla Biennale di Venezia,  alle  Biennali di Liverpool, di San Paolo, di Sydney e Documenta IX solo per citarne alcune.

Un artista che nelle sue opere non si pone solo finalità estetiche, ma concettuali, intellettuali. Secondo un processo di comprensione dell’opera (specie nell’arte contemporanea) il fruitore non è un semplice osservatore passivo ma colui che partecipa attivamente con il proprio pensiero. Le opere di Balka, inducono  a riflettere e ad analizzare l’opera quasi  fosse un testo letterario.

Le sue indagini sono “in bilico” su precipizi o abissi del nostro viver contemporaneo: superficialità, frivolezza, fragilità, vuoto mediatico, solitudini, sentimenti, memoria storica… “cosa ci rende umani” promuovendo quel “conosci te stesso” caro a Socrate. La sua finalità è definire e recuperare valori sempre più alla deriva.

In quest’opera, una scultura dal titolo 250 x 280 x 120 Sweets of Sin realizzata da Balka nel 2004 per la collettiva “Joyce in Art”, l’artista mediante un’opera simbolica di raffinata e armoniosa sintesi, rimanda ad alcuni elementi dell’universo joyceano per celebrare l’autore e la sua opera più famosa l’ Ulisse.

Opera rivoluzionaria per struttura narrativa e linguaggi, pubblicata nel 1922 a Parigi che fece scandalo e attirò critiche e polemiche. Tre i protagonisti: Leopold Bloom, Molly, moglie fedifraga ma a sua volta tradita dal marito e Stephen Dedalus, alter ego di Joyce.

Balka sintetizza il “fluire” offrendoci una pluralità di “assonanze” con il testo di Joyce.

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Courtesy of Museo MAN

L’opera

L’opera, nell’analisi spaziale, è composta da due elementi uno sopra l’altro o vs., una struttura orizzontale e una verticale con cavità regolare, disposti in maniera armonica quasi fossero un unico blocco di sostegno reciproco nel loro completarsi.

Questo potrebbe rimandare al monologo interiore e/o al flusso di coscienza che caratterizzano la tecnica narrativa dello scrittore, dove i ricordi, gli stati d’animo, i pensieri dei personaggi si rincorrono spontaneamente nella loro coscienza, in apparenza senza un filo logico, intaccando in vari livelli la struttura del romanzo.

Quasi pensieri concatenati seppur in libertà: una struttura orizzontale sembra esser sovrapposta (un po’ come l’accavallarsi delle idee, al pari delle onde)  all’altra verticale dalla quale, come se fosse una fontana, da un piccolo tubicino fuoriesce del whisky; una figura solida “l’accavallarsi” delle idee, al pari del moto ondoso fluido, inarrestabile.

Un elemento che allude alla sua vita. Joyce, infatti, era un gran bevitore di whisky che sembra essere un “valore” costante nei suoi romanzi, gli attribuisce salvazione, diviene “sorgente di vita” al pari dell’acqua. Forse, anche lui, aveva necessità di bere per evidenziare idee su livelli diversi, come diceva Ernest Hemingway riguardo al suo scrivere.

Ma, il fluire continuo di questa sostanza potrebbe simboleggiare lo scorrere delle immagini che rimandano alle idee contrastanti nei monologhi dei suoi personaggi.

Oltre all’utilizzo interscambiabile dei vari registri linguistici, Joyce utilizza la figura retorica della sinestesia: la contaminazione dei sensi su base soggettiva, che oggi è sempre più utilizzata nell’arte contemporanea e dai pubblicitari. Balka la riprende  per indurci verso lo stupore, vuole farci percepire una nuova sensazione. L’odore forte del liquore si propaga attorno alla fontana che profuma di whisky. Un contrasto incisivo che lede la nostra consuetudinaria immaginazione.

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Courtesy of Museo MAN

L’asse orizzontale è fatto di gommapiuma, materiale utilizzato nei materassi, qui appoggiato all’asse verticale potrebbe alludere all’insonnia dei protagonisti; durante la notte il flusso dei pensieri inesorabile continua inarrestabile, irrequieto e tumultuoso.

Ricordando il titolo dell’opera 250 x 280 x 120 Sweets of Sin (Le dolcezze del peccato) si può notare come l’artista abbia ripreso lo stesso titolo del romanzo erotico che leggeva Molly Bloom moglie di Leopold.

Joyce ha sempre temuto di esser stato tradito dalla moglie Nora e riporta questo suo malessere nell’Ulisse. Balka lo ha ripreso è reso universale. Si riaffaccia un certo filone religioso che induce a riflessioni sul peccato e forse possibili rinascite. La scoperta delle lettere di Joyce alla moglie Nora testimoniano la sua predisposizione per contenuti erotici e le allusioni esplicite sono presenti anche nell’Ulisse.

L’Ulisse di Joyce è  un’opera che implica un’indagine nel cammino di un uomo dall’interno della sua coscienza, non più dall’esterno come nel vagabondare “materico” di Ulisse nell’Odissea.

E la stilizzazione del flusso del liquore nell’opera di Balka oltre a riflettere sul continuo fluire della vita, del tempo inarrestabile,  soggiace alla stessa idea di Joyce ovvero la percezione deriva da un’impressione esterna verso la propria interiorità. 

Quasi un corollario all’opera di Balka estremamente raffinata, mimesi di letteratura contemporanea che conferma quel lega/me  inscindibile con l’arte.

©lyciameleligios

(Articolo pubblicato su Olbia.it il 15 Giugno 2019)

 

Nuove acquisizioni del Museo MAN | Le opere di Francesca Devoto

Olbia, 30 Maggio 2019  – “Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo altrimenti non sarà laudabile”. Con queste parole di Leonardo da Vinci, tratte dal celebre  “Trattato di Pittura“,  vogliamo ricordare una pittrice sarda, conosciuta per i suoi intensi ritratti, Francesca Devoto (Nuoro 1912 – 1989), che ben aveva assimilato la lezione leonardesca e di cui otto opere saranno acquisite dal Museo Man di Nuoro, grazie  donazione da parte degli eredi.

E8E89EF2-352D-4035-B59E-6510675D1138Francesca Devoto, Autoritratto dell’artista, 1936 ©Nelly Dietzel

Queste tele si aggiungono alle opere già presenti dell’artista nella Collezione Permanente del museo.

Donazione

La cerimonia ufficiale di donazione, con gli interventi del presidente Tonino Rocca e il direttore del MAN  Luigi Fassi,  si svolgerà domani sabato 1 Giugno alle ore 10.00 e vedrà un percorso espositivo visitabile fino a domenica 9 Giugno. 

Sono opere con velati riferimenti ottocenteschi o echi post-impressionisti. In alcune s’intravvedono delicate affinità a rese pittoriche di Paul Cézanne, – padre dell’arte moderna, – del periodo precedente a quello sintetico e disgregativo dell’immagine.

L’artista sarda mette in luce la sua ricerca di concretezza formale:  la cura attenta della figura resa da equilibrati giochi di colore e luce che conferiscono atemporalità alle sue opere.

L’artista

Francesca Devoto nasce a Nuoro nel 1912. Dopo le scuole elementari continua i suoi studi  in un Collegio di Firenze e,  nel capoluogo toscano, frequenta la prestigiosa scuola d’arte, allora molto conosciuta, di Filadelfo Simi  (1849 – 1923) e di sua figlia Nerina.

Nello studio si respirava un’aria internazionale: Filadelfo Simi era stato a Parigi, la più importante capitale d’arte del tempo, dove aveva acquisito, filtrandole con il suo talento, diverse esperienze artistiche. Inoltre, nel suo viaggio di “apprendistato”, si era spinto fin nella Spagna perché attratto dalla pittura e architettura ispano–moresca.

A Parigi, nella seconda metà dell”800, era visibile una sorta di rinnovata vitalità artistica con la presenza di numerosi Ateliers.  Simi,  pittore d’impostazione classica, ebbe contatti con gli artisti del realismo paesaggistico della Scuola di Barbizon e con pittori italiani residenti a Parigi, come Giuseppe De Nittis.  Mentre, in Italia, Firenze era considerata punto di riferimento e di ricerca per l’arte, e molte ragazze americane,  sceglievano la Scuola d’Arte di Filadelfo e Nerina, per imparare disegno e tecnica pittorica.

La descrizione dell’ambiente artistico si mostra necessaria per capire le influenze, il respiro europeo e la conseguente originalità del linguaggio artistico di Francesca Devoto, che  fin da subito mostra una sua precisa  identità lontana dagli esiti stilistici dei pittori sardi più vicini ad indagini di carattere etnografico e linguaggi espressivi  più classici.

4DBE06E9-49A8-4983-ABEF-C7B915180808Francesca Devoto, Adolescente di profilo, 1938 ©Nelly Dietze

Francesca ama dipingere ritratti, un po’ come cogliere pensieri sospesi o meglio, moti d’animo, se consideriamo il volto come riflesso o specchio di emozioni o  “âme du corp” – così definito da Denis Diderot, – anima del corpo da cui traspare l’atto del pensare.

Ma non realizza solo ritratti, la sua indagine volge verso altri generi: nature morte, marine, paesaggi e interni.

Per immergerci e comprendere il suo linguaggio espressivo sarebbe bene fare una premessa: dopo l’avvento della fotografia, più attenta alla realtà come appare, l’orientamento di alcuni linguaggi artistici converge verso sfumature più soggettive: verso il sentire la realtà, verso l’emozione che lascia segni nell’anima. Perciò la resa dell’opera verterà sul modulare e dosare luce e colore.

Francesca ama questi due elementi che tesse con una raffinata eleganza e armonia cromatica, al fine di creare equilibrismi tra forme, figure, spazi, e giochi chiaroscurali resi dal colore steso con pennellate piccole e piatte.

93147BFB-B901-4947-AFD4-00B7D3B3DD4DFrancesca Devoto, Tina nello studio di via Cavour,1936 – Courtesy of Museo MAN

Mostra indagini pittoriche legate alla semplicità con l’utilizzo di geometrie essenziali, palette dai colori sfumati mai puri, con ricerche tonali che illuminano particolari.

Le opere non alludono a fughe metaforiche,  solitudini e alienazioni, come nella pittura di Edvard Hopper, – celebre per i suoi interni da me definiti icone dello spirito, – ma a “ricerche” di un bene-stare tra i luoghi che più ama.

Ciò infonde nel fruitore sensazioni volte al silenzio, pacatezza, serenità. Il senso del vivere si racchiude nella quotidianità di azioni in cui il pensiero è artefice dell’esistere come nella lettura di un libro, suonare il pianoforte o contemplare il panorama dalla finestra del proprio studio.

Nell’opera “Tina nello studio di via Cavour” – già presente nella Collezione Permanente del MAN – vi è una leggera geometrizzazione degli spazi, strutture  minimaliste che sembrano arredi nordici.  Ogni spazio è soggetto ad un equilibrio armonico che riflette un forte gusto estetico: i  vasettini di fiori sul mobile in ordine crescente, la diagonale disposta su la sedia a sinistra, la poltrona e il tavolino che si congiunge con la linea dei mobili a destra del dipinto. Un punto focale doppio. Infatti, oltre alla figura centrale della lettrice, sembra che si debba considerare un altro punto:  il tavolino tondo con sopra il vaso dei fiori.  Un implicito significato: acquisire saggezza dalla lettura di un libro può essere visto come cogliere un fiore nel fluire della vita. Un rinverdire l’anima.

Il ritratto “Adolescente di profilo”  ci conduce a certa ritrattistica rinascimentale perciò classicheggiante come posizione, ma non come linguaggio pittorico. Le stesure del colore, con sfumature chiaroscurali, conferiscono armonia ed unità al ritratto. Anche in quest’opera tutto è sapientemente equilibrato, perfino il colletto della camiciola sembra  riflettere l’attaccatura dei capelli.

Nel suo grazioso “Autoritratto” in cui mostra fierezza e gioia, si può notare come il mento richiami l’angolo del colletto e a sua volta il braccio del piccolo cavalletto, il busto parallelo alla tela, tutti elementi orchestrati nello spazio che diviene depositario di verità in quanto raffigura Francesca come artista. Il taglio fotografico e le pennellate a chiazze o macchie evocano certa pittura post impressionista e forse la tecnica espressiva dei macchiaioli.

Nei quadri di Francesca Devoto ogni cosa è illuminata, ha una sua giusta collocazione, secondo un rigore simmetrico fatto di giuste prospettive e  proporzioni.

Un’artista “solitaria” ma eccelsa. Una delle prime artiste sarde ad esporre in una solo-exhibition a Cagliari  nella Galleria Palladino a soli 24 anni. Presente in tanti eventi artistici  tra cui la VI Quadriennale di Roma del 1951-52.

Una voce che è riuscita a farsi apprezzare non solo dai suoi colleghi sardi, restii ad accogliere una donna nel loro cenacolo, ma anche dalla critica che ha sempre manifestato entusiasmo e apprezzamento per il suo linguaggio espressivo.

Il Museo MAN

Il Museo MAN, dopo l’acquisizione dell’opera “Sardegna” di François-Xavier Gbré nel febbraio 2019, con questa preziosa donazione delle opere di Francesca Devoto,   continua la sua  crescita  esponenziale ponendosi  depositario e referente di memoria storico-artistica: un patrimonio culturale tra i più significativi e prestigiosi della Sardegna.

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(pubblicato su Olbia.it)

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English Version

New acquisitions of the MAN Museum: The works of Francesca Devoto 

“You will make the figures in this act, which is enough to demonstrate what the figure has in the soul otherwise will not be laudable”.  With these words of Leonardo da Vinci, taken from the famous “Treatise on Painting”, we want to remember a Sardinian painter, known for her intense portraits, Francesca Devoto (Nuoro 1912 1989), who had well assimilated Leonardo’s lesson and of which eight works  will be acquired by the Man Museum of Nuoro, thanks to donation by the heirs.

These canvases are added to the works already present in the museum’s permanent collection.  

Donation 

The official donation ceremony, – with the interventions of the president Tonino Rocca and Luigi Fassi, director of MAN, – will take place tomorrow Saturday 1st June at 10.00 am and will see exhibition hours and a tour that can be visited until Sunday 9 June.  

They are works with veiled nineteenth-century references to post-impressionist echoes.  In some we can glimpse delicate affinities to the pictorial renders of Paul Cézanne, – father of modern art, – of the period preceding the synthetic and disintegrating image.  

The Sardinian artist highlights his search for formal concreteness: the careful care of the figure made by balanced plays of color and light that give timelessness to his works.  

The artist 

Francesca Devoto was born in Nuoro in 1912. After elementary school she continued her studies in a college in Florence and, in the Tuscan capital, she attended the prestigious art school –  then very well known – of Filadelfo Simi (1849 – 1923)  and his daughter Nerina.  

In the studio there was an international scope: Filadelfo Simi had been to Paris, the most important art capital of the time, where he acquired various artistic experiences, filtering them with his talent. Moreover, in his “apprenticeship” journey, he went as far as Spain because he was attracted by Hispano-Moorish painting and architecture.  

In Paris, in the second half of the 19th century, a sort of renewed artistic vitality was visible with the presence of numerous Ateliers. Simi, a painter with a classical setting,  had contacts with the landscape realism artists of the Barbizon School and with resident Italian painters  in Paris, like Giuseppe De Nittis.

In Italy, Florence was considered a point of reference and research for art, and many American girls chose the Filadelfo and Nerina School of Art to learn drawing and painting technique.  

The description of the artistic environment is necessary to understand the influences, the European breath and the consequent originality of the artistic language of Francesca Devoto, who immediately shows her precise identity far from the stylistic results of Sardinian painters closest to investigations of character  ethnographic and more classical expressive languages.

Francesca loves to paint portraits, a bit like capturing suspended thoughts or rather, moods, if we consider the face as a mirror, reflection of emotions or ”  âme du corp “- so defined by Denis Diderot, –  soul of the body from which the act of thinking shines through.  But she doesn’t just make portraits, her investigation of her turns to other genres: still lifes, seascapes, landscapes and interiors.  

To immerse ourselves and understand his expressive language, it would be good to make a premise: after the advent of photography, the orientation of some artistic languages ​​as it appears more attentive to reality converges towards more subjective nuances: towards feeling reality, towards the  emotion that leaves marks in the soul.  

Therefore the rendering of the work will focus on modulating and dosing light and color.  Francesca loves these two elements that she weaves with refined elegance and chromatic harmony, in order to create equilibrium between shapes, figures, spaces, and chiaroscuro effects rendered by the color spread with small and flat brushstrokes.

She shows pictorial investigations linked to simplicity with the use of essential geometries, palettes with never pure shaded colors, with tonal researches that illuminate details.  

The works do not allude to metaphorical escapes, loneliness and alienation, as in the painting of Edvard Hopper, – famous for his interiors defined by me as icons of the spirit, – but to “searches” for a well-being among the places she loves most.  

This instills in the user sensations aimed at silence, calmness, serenity. The sense of living is enclosed in the everyday life of actions in which thought is the creator of existence as in reading a book, playing the piano or contemplating the panorama from the window of one’s study.  

In the work “Tina in the studio in via Cavour” already present in the Permanent Collection of the MAN – there is a slight geometricization of the spaces, minimalist structures that look like Nordic furnishings.  Each space is subject to a harmonious balance that reflects a strong aesthetic taste: the vases of flowers on the cabinet in ascending order, the diagonal placed on the chair on the left, the armchair and the table that joins the line of furniture on the right of the  painting.  A double focal point.  In fact, in addition to the central figure of the reader, it seems that another point must be considered: the round table with the vase of flowers on it.  An implicit meaning: gaining wisdom from reading a book can be seen as picking a flower in the flow of life.  A greening of the soul.  

The portrait “Teenager in profile” leads us to a certain Renaissance portraiture therefore classical as a position, but not as a pictorial language chiaroscuro, give harmony and unity to the portrait. Also in this work everything is wisely balanced, even the collar of the shirt seems to reflect the hairline,  chin recalls the corner of the collar and in turn the arm of the small easel, the bust parallel to the canvas, all elements orchestrated in the space that becomes the repository of truth as it depicts Francesca as an artist, post impressionist painting and perhaps the expressive technique of the Macchiaioli. 

In Francesca Devoto’s paintings everything is illuminated, according to a symmetrical rigor made up of correct perspectives and proportions.  She is an independent but excellent artist.  She is one of the first Sardinian artists to exhibit in a solo-exhibition in Cagliari in the Palladino Gallery at the age of 24. 

She wsa present in many artistic events including the VI Rome Quadrennial of 1951-52.  A voice that has managed to be appreciated not only by her Sardinian colleagues, who are reluctant to welcome a woman into their cenacle, but also by the critics who have always expressed enthusiasm and appreciation for her expressive language.  

The MAN Museum 

The MAN Museum, after the acquisition of the work “Sardegna” by François-Xavier Gbré in February 2019, with this precious donation of the works of Francesca Devoto, continues its exponential growth by placing itself as the depositary and referent of historical memory –  artistic heritage: one of the most significant and prestigious cultural heritage in Sardinia. 

© lyciameleligios 

IN SARDEGNA 1974,2011: al MAN mostra fotografica del fotografo minimalista GUIDO GUIDI

Uno sguardo lirico, attento alla sardità si potrà osservare nella nuova esposizione   che il Museo MAN di Nuoro propone dal 21 giugno al 20 ottobre 2019, dove verrà ospitata la prima grande mostra in un museo italiano – curata da Irina Zucca Alessandrelli – dal titolo “ In Sardegna: 1974, 2011” dedicata a Guido Guidi (Cesena, 1941), uno dei  più rilevanti protagonisti della fotografia minimalista italiana del secondo dopoguerra.

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Sardegna, Maggio 1974 |Stampa ai sali d’argento

La mostra è frutto di un’importante collaborazione tra l’istituzione museale e l’ISRE, Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna. Saranno esposte 250 fotografie inedite – commissionategli dall’ISRE – che testimoniano la relazione di Guido Guidi con il territorio sardo.

Un catalogo composto da tre volumi pubblicato da una casa editrice di Londra – Mack Books – documenterà le opere presenti in mostra che sono state ristampate dall’artista.

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Sardegna, Maggio 1974 | Stampa ai sali d’argento

Un racconto dei mutamenti paesaggistici e antropologici avvenuti in Sardegna dove immagini in bianco e nero degli anni Settanta sembrano colloquiare con le  opere a colori degli anni Duemila tra essenzialità, sottili geometrie, spazi lirici come struttura di storia, tradizione, umanità; la costante ricerca del dettaglio e del valore incommensurabile di ciò che è margine, parte di un tutto inafferrabile, un appiglio a quella realtà che il tempo muta.

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Sardegna, Maggio 1974 | Stampa ai sali d’argento

Tante “micro-storie” che ricamano emozioni e che sanno di origini, di semplicità e di nuove epifanie ed infine inducono riflessioni sulla nostra identità.

“Io non guardo soltanto il paesaggio ma ne faccio esperienza, perché io stesso sono dentro il paesaggio”  dice Guido Guidi, e noi faremo tesoro di questa mostra che privilegia l’interiorità del fotografo espressa con quelle “sfumature” del tempo, che ora ci scrutano e sembrano interrogarci sulla capacità di vedere e percepire la bellezza nell’anima della semplicità.

 

©Lycia Mele Ligios

(pubblicato su Olbia.it)

 

C2302360-8372-4AD0-A5CC-5C4E5B13C3CA.jpegSarule 2011 | Stampa Cromogenica


English Version

A lyrical look, attentive to Sardinian culture, can be seen in the new exhibition that the MAN Museum of Nuoro on display from 21 June to 20 October 2019, where the first major exhibition will be hosted in an Italian museum – curated by Irina Zucca Alessandrelli – entitled “IN SARDEGNA: 1974, 2011” dedicated to Guido Guidi (Cesena, 1941) one of the most important post-war photographers, a forerunner of landscape photography much appreciated in the 70s.

The exhibition is the result of an important collaboration between the museum institution and the ISRE, Regional Ethnographic Institute of Sardinia: 250 unpublished photographs – commissioned by the ISRE – will be exhibited that testify to the relationship of Guido Guidi with the Sardinian territory.

A three-volume catalog published by a London publishing house – MACK BOOKS – will document the works on display that have been reprinted by the artist.

A story of the landscape and anthropological changes that took place in Sardinia where black and white images of the Seventies seem to dialogue with the color photographs of the 2000s between essentiality, subtle geometries, lyrical spaces as a structure of history, tradition and humanity; the constant search for detail and the immeasurable value of what is margin, part of an ungraspable whole, a foothold in that reality that time changes.

Many “micro-stories” that embroider emotions and that smell of origins, simplicity and new epiphanies and finally induce reflections on our identity.

“I do not only look at the landscape but I experience it, because I am inside the landscape” says Guido Guidi, and we will treasure this exhibition that favors the interiority of the photographer expressed with those “nuances” of the time that now scrutinize us and they seem to question us on the ability to see and perceive beauty in the soul of simplicity.

Il profeta della modernità in mostra al MAN di Nuoro: Pierre Puvis De Chavannes

Dopo le celebrazioni per i  vent’anni  della fondazione – che in soli tre giorni hanno registrato oltre 1000 visitatori, – il Museo MAN propone tre  percorsi per la nuova stagione espositiva dal  15 marzo al 9 giugno 2019: una preziosa retrospettiva del grande artista francese del 1800, Pierre Puvis de ChavannesAllori senza fronde”; una mostra dal titolo “Personnages” su un’artista palestinese, amica del grande astrattista Mark Tobey, Maliheh Afnan,  in Italia poco conosciuta che libera significati di universalità, dignità e memoria storica,  un linguaggio visivo, oserei grafico,  dalle tonalità argillose,  bruciate, volti con tratti deformi,  misteriosi, molto espressivi di una sofferenza patita, resa da segni, linee quasi  spezzate che ricordano il dramma della diaspora subita;  infine “Il segno e l’idea”, l’esposizione di alcune opere, dell’inizio ′900, di alcuni artisti sardi della Collezione Permanente del MAN.

I curatori delle mostre sono, oltre al direttore Luigi FassiAlberto Salvadori, storico e critico d’arte,  per l’allestimento “Allori senza fronde” ed Emanuela Manca storica dell’arte del MAN per “Il Segno e l’idea”.

Ogni mostra rimanda a tracce del nostro passato tra riflessi di radici mediterranee, sfumature di intensità espressiva e segni che illuminano percorsi futuri. Ma ho deciso di scrivere tre articoli differenti pur nella consapevolezza che siano da considerare un unicum espositivo.

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Sottobosco c.a. 1870 – 1890 Courtesy Michael Werner Gallery

Avere in Sardegna una mostra del grande artista francese Pierre Puvis De Chavannes (1824-1898) é un evento straordinario per la rarità delle sue piccole opere, per il carattere didattico e antesignano delle stesse, presenti in mostra e soprattutto per aspetti figurativi e talvolta astratti riscontrabili in certi linguaggi visivi moderni e contemporanei.  Molti artisti, infatti, hanno attinto dal maestro tecniche, cromatismi, stesura colore, campiture.  Se andrete a vedere la mostra sarà divertente riconoscere  echi di Picasso, Gauguin, MatisseBalthus e altri artisti del ′900.

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Le Revermont c.a. 1870 – 1890 Courtesy Michael Werner Gallery

Purtroppo é ancora poco conosciuto e, nei testi scolastici, marginale. In Italia l’ultima sua mostra fu realizzata a Venezia nel 2002.  Forse perché il suo nome é legato a grandi opere murali che gli venivano commissionate per istituzioni,  musei e biblioteche, a Lione, Parigi, Marsiglia, ma anche all’estero, a Boston nella Public Library? Oppure  a tele singole ma sempre di grandi dimensioni? O per il suo antiaccademismo, anzi oserei anti ‘ismo’ in genere? Puvis De Chavannes è sempre stato un artista indipendente e coerente con il suo pensiero. Qui risiede quell’unicità e libertà della sua arte che svuota il significato del tempo ma acquisisce forza nell’applicazione e nello studio febbrile. Il suo amore per la pittura era quasi una devozione, come si evince dalle opere in mostra, instancabile e fedele alla ricerca della pura bellezza ed espressività con il colore.

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Bozzetto per lo sfondo di Visioni Antiche, 1884 – 1885Courtesy Michael Werner Gallery

Si avvicinò al mondo dell’arte in modo casuale. Nato a Lione nel 1824, il padre avrebbe desiderato che diventasse ingegnere come lui. Ma inseguito ad alcuni viaggi in Italia, venendo a contatto con gli artisti fiorentini del trecento, del quattrocento, i veneti del cinquecento, Raffaello, i seicentisti, iniziò ad apprezzare la bellezza dell’espressione artistica. Ciò lo spinse ad abbandonare gli studi per dedicarsi completamente all’arte. Fece un secondo viaggio in Italia per  studiare e  approfondire  le tecniche pittoriche, sempre più coinvolto emotivamente dal contemplare i grandi affreschi di Giotto e Piero della Francesca. Rientrato in Francia fu allievo presso gli atelier di vari artisti tra i quali Henri Scheffer, Eugène Delacroix e Thomas Couture ma sempre insofferente. Aveva le sue idee e le indicazioni degli altri non le tollerava. Si dice che con Delacroix spesso discutessero di questioni inerenti alle scelte cromatiche. Puvis amava utilizzare cromatismi tenui, eterei, diafani mentre Deloicroix amava i colori accesi, brillanti, forti e decisi. Alla fine continuò i suoi studi all’École des Beaux Art. Ma ebbe difficoltà ad inserirsi nel mondo artistico del periodo, per uno stile e linguaggio espressivo personale, distante dai canoni imposti dall’Académie française, peraltro molto rigidi. La sua futura moglie, la principessa Cantacouzène riconobbe che aveva del talento e lo aiutò ad affermarsi come artista.

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Schizzo per Il tagliapietra, 1892  – Courtesy Michael Werner Gallery

Iniziò a realizzare grandi opere murali legate a tematiche sociali del periodo storico in cui viveva – la  guerra, la pace, il lavoro. – In un secondo periodo invece, le opere diminuiscono le dimensioni e ciò che viene ritratto sembra ascriversi al di fuori di ogni sfumatura temporale. Si respira una sorta d’immobilismo in presenza di paesaggi bucolici. Quasi una “via di fuga” l’asimetria con rime armoniche e il recupero di una tradizione classica legata alla bellezza, alla purezza, all’eternità. Meno tematiche nazionaliste, ma schemi strutturali che esprimono una sospensione dello scorrere del tempo.

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Rivage, 1870 – 1890 – Courtesy Michael Werner Gallery

Le opere in mostra sono circa una novantina e comprendono disegni, schizzi, bozzetti, oli e acquarelli. Provengono da collezioni pubbliche e private internazionali. Hanno un valore  inestimabile perché ci aiutano a comprendere come il grande Puvis De Chavannes realizzasse le sue opere.  Un po’ stramare il tessuto, per capire la disposizione dei punti e fissarlo nella bellezza di uno studio o di un’intuizione. Vedere il grande talento nella resa finale dell’opera e quindi la capacità di integrarle in un opera architettonica in modo armonioso, che non appesantisse la struttura, che evidenziano una preparazione accurata  e meticolosa e  anche la libertà alla quale l’artista ha sempre aspirato nel realizzare opere su commissione. Era un uomo amato e stimato, molto disponibile con i suoi allievi ai quali insegnava a scrutare la “bellezza nell’anima delle cose”.

Tante le opere che preannunciano correnti più contemporanee quando il disegno scompare e appare il gioco del colore, quei cromatismi che danno forza espressiva. Oppure alcuni volti interpretati soggettivamente e altri che sfiorano un delicato realismo. Le figure solide si staccano da  campiture dense, opache forse di evocazione neobizantina. Una mostra che é una scoperta anzi riscoperta di un’artista dall’animo sensibile e, per utilizzare un verso di Emily Dickinson,  ‘un’anima al cospetto di sé stessa finita infinità’  che ha dato volto al tempo sospeso intriso di solitudini e malinconie. Nostalgia di un passato, dove bellezza è luce d’infinito.

Guazzo per Porta d’Oriente a Marsiglia 1868 – 1870 Courtesy Michael Werner Gallery

Eccellente il format editoriale del catalogo monografico  – dal color  rosa pallido gessoso amato dal maestro De Chavannes – impreziosito dalla cura delle descrizioni  e dalle bellissime ed intense riproduzioni delle opere, edito dal Museo MAN  in collaborazione con Michael Werner, con testi di Louise D’Argencourt,  Bertrand Puvis de Chavannes  e dei curatori, Alberto Salvadori e Luigi Fassi. Un vero gioiello!

©Lycia Mele Ligios

MAN – Museo D’Arte della Provincia di Nuoro

Via Sebastiano Satta 27, Nuoro

Orario continuato: 10 – 19 | lunedì chiuso