Palau | La fotografia di Fausto GIACCONE tra testimonianza e conoscenza

“Per un fotografo produrre immagini, che si reggano su un avvenimento, può essere molto facile. Molto difficile è produrre immagini su cui l’avvenimento stesso si regga. Rimanga impresso nella nostra memoria. Costruisca la nostra memoria. […] ma “forse, anche l’anima è tessuta di immagini. Una volta realizzate vivono per conto loro. Non hanno più tempo, possono parlare a tutti, anche a mille vite di distanza.” 

Queste frasi del fotografo Tano D’Amico esprimono alcune linee guida, nonché il valore di eterna contemporaneità della fotografia e sintetizzano le finalità del lavoro fotografico di un grande fotoreporter italiano, Fausto Giaccone, in mostra a Palau con una suggestiva e commovènte retrospettiva dal titolo “Sardegna e altri continenti (1967-1977)” visibile fino al 30 Settembre 2019, presso il Centro di Documentazione del Territorio di Palau e inserita tra gli eventi del XXXIII Festival  “Isole che parlano” di Fotografia.

Dopo la mostra fotografica sulla Sardegna al MAN_Museo d’Arte Provincia di Nuoro del pioniere del minimalismo italiano, il fotografo Guido Guidi – con un allestimento curato da Irina Zucca Alessandrelli: “Guido Guidi in Sardegna: 1974,2011” visitabile fino al 20 ottobre – anche a Palau, è possibile cogliere riflessi di una Sardegna al suo risveglio insieme ad altre interessanti storie di vita.

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Piazza Navona, 1966 Courtesy by ©Fausto Giaccone

Una mostra da visitare per significati e riflessioni che scaturiscono dalle immagini, tutte in un rigoroso bianco e nero, che fanno il miracolo di rendere più cristallina l’anima di un passato, passaggio obbligato verso il nostro presente.

Nelle fotografie esposte si da valore al momento vissuto,  senza il quale non saremo in grado di capire il nostro oggi. Si percepisce l’anima del fotografo nel suo “smarrirsi”, per documentare istanti di vita e ritrovarsi più consapevole nel suo racconto, progetto di conoscenza, per sensibilizzare e dare “giustizia” ai protagonisti dei complessi eventi, materie prescelte per le sue ricerche ed indagini antropocentriche.

Il suo sguardo cattura l’oltre fotografico, non si sofferma solo su spazi e superfici: riesce a cogliere quegli elementi che “impressionano” e irrompono fluidi dando luogo a molteplici tonalità emotive quali sgomento, rabbia, speranza, incredulità, tristezza, apprensione e ancora orgoglio, dignità.

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Proteste pacifiste contro la base Usa di Santo Stefano La Maddalena 1976 Courtesy by ©Fausto Giaccone

Le fotografie, circa una settantina, comprendono un lungo arco temporale intessuto da  tante storie segnate da disagio sociale, sofferenza, malessere, privazioni. Ma, ciò che colpisce è la rappresentazione di un gran numero di persone che manifestano, s’incontrano per condividere un progetto, un’idea. Lottano e non sono intimorite, sono guidate dalla loro forza interiore e dal loro pensiero.  Una stanchezza che improvvisamente diviene azione pura verso una destinazione senza più cedimenti né fermate.  Giaccone, come Italo Calvino direbbe che alla fine “contano sempre gli uomini prima delle idee. […] Le idee hanno sempre avuto occhi, naso, bocca, braccia, gambe”. Prima di ogni cosa, ciò che conta è la presenza umana. Le idee arrivano. Sono consequenziali.

Un altro elemento che le distingue, almeno per le foto esposte, è un alone di spontaneità di ripresa: sono poche le figure in posa. Inoltre, è indubbio che l’approccio estetico sia subordinato a certi orientamenti artistici approfonditi durante gli studi sulla storia dell’arte o al filone della fotografia di strada statunitense – agli albori sostenuta dal governo –  di cui ricordiamo Dorothea Lange,  Walker Evans, e ancora Berenice Abbott… 

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Terremoto Valle del Belice, 1968 Courtesy by ©Fausto Giaccone

Oltre alla presenza di influssi estetici d’impronta neorealista, si evidenziano le  inquadrature “composte ed equilibrate” che alla “figura umana danno dignità e solennità”, come ad esempio in questa intensa immagine della mamma con il bimbo, per composizione si potrebbe ricordare l’arte sacra. La coperta che li avvolge evoca il velo della Santa Vergine conferendo all’immagine un alone di sacralità, mentre il viso ricorda tratti più umani: incredulità, incertezza, smarrimento.

In altre foto della mostra se volessimo scegliere una contaminazione artistica si potrebbe scorgere quella forza e intensità che richiama  un’opera di Pellizza da Volpedo il Quarto Stato, come segnalato anche  dal  critico Giovanni Chiaramonte.

Il fotoreporter 

Fausto Giaccone nasce in Toscana (San Vincenzo, 1943) tuttavia cresce a Palermo. Nella solare città siciliana si iscrive alla Facoltà di Architettura ma, in seguito  prosegue i suoi studi nella sede di Valle Giulia a Roma. Intanto, inizia a percepire che l’architettura, non sarebbe stata la sua strada,  forse perché rigorosa e razionale.

Mentre fin da adolescente la fotografia gli si mostra inseparabile compagna di avventura che permette di raccogliere ricordi e definire nuovi sguardi e nuove luci. Un “sostegno”  a cui aggrapparsi durante il suo inquieto vagare alla ricerca di una propria identità. Un punto del suo stare al mondo nel fluire dell’esistenza, uno spazio per definir/si.

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Campo dei profughi palestinesi nei pressi di Amman, 1968 Courtesy by ©Fausto Giaccone

Una vocazione che affiora in lui come desiderio di autenticità, di verità, di libertà da cui la volontà di rappresentare “moti” d’animo, collettivi e individuali, che avrebbero segnato un’epoca e la necessità di documentare la trasformazione sociale in atto, presagio di profondi mutamenti. 

Erano gli agguerriti, ma stimolanti e creativi anni ‘60. Giaccone rimase coinvolto nella loro “trasfigurazione”:  a Roma, nel ‘67, con i cortei di protesta, come le manifestazioni pacifiste contro la guerra del Vietnam –  era l’anno in cui a New York il corteo antimilitarista aveva riunito 500.000 partecipanti – un atto di presenza sentito, dovuto, urgente;  nel 68’ – anno che ha scardinato modi di vivere e di  pensiero, che si voglia o no – con i movimenti studenteschi, le rivolte dei pastori sardi, la rivendicazione di diritti sociali e civili… Si assisteva ad un “risveglio” sociale, una presa di coscienza collettiva di persone diverse per censo o origini, che richiamava la necessità di condividere, di agire insieme, di confrontarsi, di fare politica. 

Nell’ambito della fotografia, la politica iniziava a palesarsi all’interno dei reportage, e come ci ricorda Roberto Mutti – nella prefazione del Photo Book “68 ALTROVE”  – il ‘68 evidenziava  “una svolta rispetto al passato, anche più recente, perché la fotografia cosiddetta neorealista, era stata poetica, lirica e spesso sociale ma non così direttamente politica.”

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Roma – Corteo studentesco 1968 Courtesy by ©Fausto Giaccone

L’energia di quegli anni spinse il fotografo a porsi come  testimone visivo,  sottrarre al tempo quegli eventi straordinari per riallinearli all’eternità. Come altri grandi fotografi del periodo si avvalse di questa intuizione: fotografare coincide con il  vivere.

L’autunno rosso dei pastori

Giaccone giunse la prima volta in Sardegna nel ‘68,  come inviato del settimanale Astrolabio, dove raccolse materiale per il servizio di Pietro Petrucci intitolato “L’autunno rosso dei pastori” .

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Articolo che raccontava la ribellione  diffusa tra operai, studenti, pastori in vari comuni barbaricini contro “la violenza dello stato e l’inettitudine della classe dirigente regionale”.

In copertina dal colore blu l’immagine di donne e uomini attenti ad ascoltare un comizio. Una foto diversa, originale perché mostrava la presenza degli studenti e delle donne. L’insofferenza aveva colpito ogni strato sociale. Una coesione mia vista prima. Anche nel numero successivo Petrucci scrisse un’altro articolo “La colonia Sardegna: Bilancio della Repressione” corredato sempre da fotografie di Giaccone. 

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 Orgosolo 1968 Courtesy by ©Fausto Giaccone

Dalle foto in mostra traspare  dignità e fierezza dei volti che implicano inarrendevolezza, determinazione. Le assemblee studentesche o le riunioni nel circolo Rosa Luxemburg ritratte erano situazioni dove condividere opinioni, cercare soluzioni, scrivere manifesti  “comunicati stampa” si affiggevano sui muri dei paesi. Sguardi fieri, di sfida, spavaldi e attenti. Erano richieste di attenzioni da parte di comunità che erano state trascurate.

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Circolo giovanile Orgosolo 1968 Courtesy by ©Fausto Giaccone

Nel ‘69, interessato al cambiamento dell’isola, compie un secondo viaggio per realizzare un servizio sull’industria petrolchimica di Porto Torres, nata intorno alla metà degli anni sessanta. Tra le foto c’è un bel ritratto di una giovane operaia per enfatizzare il diritto di uguaglianza tra donne e uomini all’interno della realtà industriale. Nella fotografia appare (in 3/4) il mezzo busto dell’operaia con metà volto sfiorato da una luce intensa e l’altra in totale oscurità. Quasi il presagio del tortuoso cammino che le donne dovranno affrontare per giungere ad una vera parità di diritti.

Dopo un periodo in Africa ritorna in Sardegna nel ‘75 illuminato da un testo che trova per caso in una libreria. Era un libro di Elio Vittorini “Sardegna come un’infanzia”. Rapito dai racconti e dalle immagini – dettati da stupore e avidità di sapere del giovane Vittorini, appena ventiquattrenne –  desidera ritornare nell’isola e indagare su elementi più etnografici come la festa della tosatura delle pecore, con dei rituali ben definiti, oppure la fiera dei cavalli a San Leonardo de Siete Fuentes nei pressi di Santu Lussurgiu, dove sono rappresentati momenti di distensione, di festa, di  convivialità  e condivisione che mettono in luce tradizioni e memoria immateriale della Sardegna.

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Banchetto dopo la tosatura Sa Serra Nuoro 1975 Courtesy by ©Fausto Giaccone

Gli anni ‘70 sono caratterizzati dai viaggi in Africa e in America Latina. Oltre a ciò Giaccone aderisce ad un collettivo di fotografi tra i quali c’è Tano D’Amico, Tatiano Majore e altri.

Tuttavia nel 1976  giunge ancora in Sardegna per documentare la manifestazione anti militare contro la base USAF che deteneva sottomarini atomici nell’isola di Santo Stefano. Inseguito si reca  ad Orgosolo per la  festa patronale dell’Assunta.

Altre foto presenti nella mostra si riferiscono al 1975, quando si reca in Portogallo per documentare la  “rivoluzione dei garofani”  e in particolare l’occupazione dei latifondi situati a sud della nazione da parte dei braccianti agricoli senza terra. Volti stanchi, per il lungo peregrinare ma sorridenti per la vittoria. Le foto accrescono quel senso di giustizia che sembra animare i volti. Uomini e donne a piedi o sui  carri con una luce di speranza nei loro occhi: il desiderio di ricominciare.

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Occupazione dei latifondi in Ribatejo Portogallo 1975 Courtesy by ©Fausto Giaccone

Come ricorda Giovanni Chiaramonte nel saggio critico allegato al bellissimo photo book Macondo Il mondo di Gabriel Garcìa Márquez:”Giaccone ha sempre cercato di operare nel nome di una giustizia dell’immagine, nella raggiunta consapevolezza che è l’uomo stesso ad essere per natura immagine, egli ha sempre cercato di far sì che la sua visione fosse un prendersi cura dell’uomo e del suo mondo”.

Negli anni ‘80 lavora per i settimanali Epoca e Panorama. Ma non trascura la sua essenza per raccontare di uomini. Fino a quando quel senso di libertà lo porterà a lasciare il fotogiornalismo e ad occuparsi solo dei suoi progetti.

Colombia e Gabo

Tra il 2016 e il 2010 attratto dal mondo di Gabriel Garcìa Márquez si reca in Colombia. Giaccone è sempre stato affascinato da Gabo e dal suo aggrovigliato ma struggente mondo che ruota attorno al libro “Cent’anni di solitudine” letto durante il periodo militare.

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Courtesy by ©Fausto Giaccone

Un anno di solitudine, di insofferenza lavorativa, di tristezza e tanta nostalgia della sua vita quotidiana, dei suoi affetti, dei suoi luoghi. Nel testo dell’autore colombiano Giaccone trova assonanze con la sua vita. In Colombia ricerca i luoghi descritti nelle opere di Gabo alla ricerca dell’anima del grande romanziere e forse della sua stessa anima.

E nel suo narrare  visiva dà volto ai personaggi che richiamano quel mondo di semplicità, povertà, di confini e tumulti tra sentimento e ragione in pieghe dell’animo umano che mutano come il trascorrere delle ore. Soggetti a morte ma anche a nuove rinascite.

Un fotografo che ha acquisito la realtà come fonte di conoscenza e si è posto l’ obiettivo  di  trasmetterla, documentarla,  perché ne ha compreso il valore.

 

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©️Riproduzione Riservata

 

 

Angelo Lauria : le “impressioni” di un fotografo

Sono una lastra fotografica
impressionabile all’infinito
Ogni dettaglio si stampa
dentro di me in un tutto.
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La Sardegna è un’isola che ammalia da sempre: sia per la sua natura incontaminata che per il suo mare cristallino con una varietà di colori e sfumature. In una sola parola è emozione. Riflette emozioni. Inoltre ha potere taumaturgico. Distende gli animi, rasserena menti. Si riscopre il valore del tempo. Dei ritmi di vita scanditi dal fluire del giorno. Gli istanti si dilatano. Le cose sembrano avere un proprio senso, una propria storia, se rapportate ad un inizio. Ad una fine. L’alba e il tramonto che danno ritmo all’agire. Dove la Storia e il Tempo non compaiono. E Tutto diviene contemporanea (com)presenza: Passato intriso di tradizioni e Presente. L’istante sospeso.

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©Angelo Lauria, Punta MolaraCapo Coda Cavallo

Questa magia che attrae l’anima dei visitatori, crea una sorta di dipendenza. Infatti sempre più persone scelgono la Sardegna come luogo di vacanza e vi ritornano negli anni successivi. Alcuni abbandonano il “continente” per vivere definitivamente nell’isola. Tra questi ricordo il cantante Fabrizio De André che scelse di vivere insieme alla sua compagna Dori Ghezzi ai piedi del monte Limbara, nei pressi della città di Tempio Pausania. Luogo di silenzi e meditazione ma anche di “spuntini” condivisi con i locali. Fonti di ispirazione per le sue canzoni che integrato con lo studio del dialetto e delle tradizioni popolari gli permise di assimilare “l’anima gallurese”.

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©Angelo Lauria,  Cala Brandinchi [San Teodoro]

L’isola sembra esser vista come una grande madre, i cui teneri abbracci distendono, rasserenano, riconciliano. Donano energia. E’ il ritorno a casa di Ulisse dopo le peripezie del viaggio. È voler ricolmare i vuoti di frenetiche città che sfiancano, in cui l’individuo diviene forma plasmata da eventi. Dove l’interiorità viene triturata dai grimaldelli del tempo. Dove tante le strade offerte ma poche le verità autentiche.

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©Angelo Lauria, Capo Comino [Siniscola]

La Sardegna, faro luminoso che allontana dai pericoli e salva, ha incantato per i suoi colori, profumi e sapori un fotografo lombardo che, lasciata la terra ferma come il poeta De André ha deciso di vivere stabilmente nell’isola scegliendo di vivere nella campagna di Torpè, nei pressi di una località tra le più suggestive del nord Sardegna, Posada.

LYC11©Angelo Lauria, Posada

Il suo nome è Angelo Lauria nato a Tripoli in Libia ma con un’isola nel cuore, la Sicilia, di cui erano originari i nonni. Negli anni dell’adolescenza si trasferisce con tutta la famiglia a Milano. E richiamato dalla semplicità e dalla straordinaria bellezza della natura, nella zona dei laghi, si trasferisce nei pressi del Lago di Varese.

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©Angelo Lauria, Airone Rosso [Lago di Varese]

I riflessi, i silenzi, la natura del luogo lo impressionano ed emozionano da sentire il desiderio di donare eternità all’istante sospeso in un fotogramma che continuerà a trasmettere emozioni.

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©Angelo Lauria,  Svasso [Lago di Varese]

E per scoprire questi luoghi incontaminati sceglie il Kayak. Mezzo che gli permette di  raggiungerli con facilità e immergersi in quei silenzi che fanno sfiorare l’eterno divenire.  Teso ad ascoltare i versi dei vari esemplari di fauna, i fruscii delle canne, i gorgoglii dell’acqua. Un orizzonte che ha dato senso alla sua vita. E le bellissime immagini raccolte hanno permesso la realizzazione della mostra “Il lago di Varese: Emozioni in kayak”, con la campagna di sensibilizzazione a salvaguardia della flora e fauna della zona lacustre, coinvolgendo scolaresche della zona.

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©Angelo Lauria, Cigni [Lago di Varese]

Intense e struggenti. Le fotografie commuovono per la loro bellezza. La natura si offre e dona. Una sintesi di quanto affermava il grande naturalista John Muir “In ogni passeggiata nella natura, l’uomo riceve molto più di ciò che cerca“. La natura ha permesso a Lauria di perfezionarsi nella tecnica e racconto fotografico.

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©Angelo Lauria, Tartaruga  e Folaga con i suoi piccoli [Lago di Varese]

Ma negli ultimi anni, quasi in segno di gratitudine verso la terra che lo ha adottato o forse per pura devozione, ha realizzato una serie di ritratti fotografici: volti di donne e uomini con il costume tradizionale, utilizzato nelle varie sagre o feste religiose che animano un’isola dove la tradizione, riscoperta e sostenuta negli ultimi decenni, da significato all’agire e ammalia. Come ad esempio rapiscono per rara bellezza i tessuti preziosi, i colori brillanti, i ricami e i decori sugli scialli. Superfici e forme che emettono sonorità. Melodie d’intensità.

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©Angelo Lauria Costume di Desulo

Seguire la tradizione è ricercare l’anima sarda e quell’elemento universale che caratterizza i sardi e che si riscopre nella bellezza, nelle forme e nel carattere. La bellezza eterna che traspare dalla perfezione e da un cromatismo armonico dei preziosi abiti ha colpito la sensibilità di Angelo Lauria. Alla bellezza della natura contrappone quella dei pregiati manufatti e dei volti alla ricerca di quello spirito di sardità che contraddistingue il sardo da qualsiasi connazionale.

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©Angelo Lauria, Costume di Osilo

Inizia a seguire le più importanti Sagre della Sardegna: la Sagra del Redentore, la Cavalcata Sarda, la Sagra di Sant’Efisio raccogliendo tantissimi scatti che dopo una attenta selezione sono esposti a Posada in una Mostra dal titolo “Il costume sardo: Volti e colori della tradizione popolare” e presentati ad Olbia nel Festival della Fotografia Popolare #Storie di un Attimo  a cura dell’Associazione Culturale Gli Argonauti.

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©Angelo Lauria, Costume di Nuoro

È in questa occasione che ho conosciuto il fotografo. Ed ebbra di colori, forme e richiami alla mia tradizione, decisi di intervistarlo. Una persona umile, entusiasta della sua grande passione per la fotografia. Mi parlò dei suoi iniziali obiettivi: ritrarre per trasmettere emozioni della natura, in particolare della fauna e flora lacustri. Un ritorno alle origini, alla semplicità per ritrovarsi o forse (r)accogliersi e proseguire il suo cammino  da apolide.

Una svolta nelle sue ricerche e racconti fotografici di carattere documentaristico sarà data dal suo trasferimento in Sardegna. Amore per il mare e per il moto perpetuo delle onde. Una musica dell’eterno presente che si annida nell’anima. Il soggetto muta ma l’elemento primordiale c’è, è presente. Perché l’acqua unisce e fortifica. Infonde coraggio. Salva.

I silenzi del lago ora diventano espressione / parola nei volti ritratti. L’anima di un popolo che lo incuriosisce e lo affascina.

Così continua il suo cammino. Alla ricerca di nuove emozioni. All’eterna ricerca del suo sé. Il segno della vita, da sempre.

Lycia Mele
©Riproduzione Riservata

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©Angelo Lauria, Costume di Ittiri

Mostre

LAGO DI VARESE – Emozioni in kayak

2010 Badia di Ganna 

2011 Lavena Ponte Tresa
2011 Valmorea

IL COSTUME SARDO – Volti e Colori Della Tradizione Popolare

2015    Posada 

2015    Torpè
2015    Olbia

●Contatti:
E-mail angelolauria52@gmail.com
ITTIRI
©Angelo Lauria, Costume di Ittiri
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Evocazioni : l’immaginario nella fotografia di Franco Donaggio

Franco Donaggio è uno dei fotografi italiani professionisti e graphic designer più apprezzati. Tralascerò di parlare della sua biografia. Qui vorrei inseguire e raccontare solo le emozioni che dalle sue opere si librano nell’aria e avvolgono i nostri sensi. Come farfalle variopinte che volteggiano in armonia su un cielo impressionista.

Opera di Franco Donaggio

Le sue foto tracciano profonde emozioni colme di significante estetico di rara bellezza. Ci si avvicina e talvolta si penetra il significato in un’armonia di forme da sospendere i nostri pensieri e rigenerarli “altri”. Si plasmano le vecchie sovrastrutture e si scava annullando i silenzi e privilegiando il decantare dell’anima avvolta nella contemplazione.

Opera di Franco Donaggio

Le foto sulla silente laguna di Venezia, in cui la riflessa immobilità apparente trasmette un senso di quiete evidenziano quasi una necessità di ritrovarsi e fermarsi per sentire e dare valore al vero scorrer del tempo, evaso dalla scena. La Natura protagonista coinvolge con una tale forza emotiva da dimenticare il nostro esistere. Si recupera l’io più profondo, scevro da limiti, si assapora il momento per rigenerarsi nella consapevolezza di vivere quel preciso istante ritratto.

Opera di Franco Donaggio

Sembra questa la strada che l’artista propone come ri-scoperta. Non lontano dai suggerimenti del filosofo Bertrand Russel, invita gli uomini ad inseguire e contemplare i ritmi della natura, senza corse affannate, ma privilegiando silenzio e tranquillità. È un ritrovare il proprio sé  allontanando le inquietudini del presente.

Opera di F. Donaggio

In altre sue opere,  nelle quali utilizza con maestria e delicatezza il foto ritocco, ritrae pavimenti irregolari di città dell’es dove avanzano sagome di uomini in miniatura. Quasi invisibili in un lento procedere. Percepiscono l'”infinitudine” del tempo ma il loro limite non permette di coglierlo nella totalità.

Opera di F. Donaggio

Soli, parti infinitesime di mondi quasi privi di  confini. Esseri alla deriva che vagano inseguendo l’ignoto dei loro pensieri. Il movimento in potenza può dar sostanza all’azione. Si enfatizza e si scolpisce la superficie che sembra riflettere un oltre. In alcune foto vi è la presenza di un fascio di luce che avvolge l’uomo. Sembra propagarsi dal cielo. Il soprannaturale è presente, vigila ed  interferisce sull’agire anche quando ovunque c’è vuoto e desolazione.

Opera di Franco Donaggio

L’umanità è così subordinata ad un’azione estranea. Traspare un’intensa sofferenza interiore e struggimento malinconico. Non solo rappresentazioni del reale filtrate da occhi poetici ma vortici abissali in cui l’anima cade, volteggiando e sfiorando pareti  alla ricerca di risposte-finestre sull’esistere. Il lirismo poetico che traspare dalle opere di Franco Donaggio conduce la mia mente a varie riflessioni. L’individualismo ha creato baratri umani impedendo la salvaguardia di una giusta e consapevole società civile. I diritti acquisiti  quotidianamente vengono modificati disintegrando volontà  di chi li aveva sostenuti e definiti. L’uomo ha perso i riferimenti, la strada dell’esistenza è sconnessa, con voragini improvvise. Tutto sembra avvolto da quel mistero e da quello straniamento radicato nell’arte e nella  letteratura  dei primi del 900 e che vede la pittura metafisica di Giorgio de Chirico e del fratello Alberto Savinio, portavoce di un  profondo disagio dell’uomo. Ma nelle opere di Donaggio è presente l’essere umano. Anche se avanza in solitudine è il vero protagonista delle opere. Dovrà ritrovare la forza partendo dal proprio se e coinvolgendo i suoi simili verso obbiettivi comuni che vedono la salvaguardia delle tradizioni e dei valori del passato, il recupero dell’individuo come persona, il rispetto per la vita per una rinascita socio-globale in armonia con l’ambiente.

Lycia Mele
© Riproduzione riservata

Foto Archivio ©Franco Donaggio

Opera di F. Donaggio


Gli spazi di Morfeo

“I ragazzi geniali hanno sempre fatto cose strane”. Queste parole di Alda Merini ben definiscono la creatività priva di confini che riscopro nelle immagini di Franco Donaggio.

Il suo ultimo Quaderno s’intitola “Gli spazi di Morfeo” dal nome del personaggio mitologico, dio del sogno. Luogo in cui, secondo la leggenda,   appare con sembianze umane.

Ma i sogni evocati dalle immagini di Franco Donaggio abbondano di simbolizzazioni dove traspare l’esigenza di dar “voce espressiva” ad un immaginario riflesso nel reale.

Franco Donaggio Riavvio 2013
Franco Donaggio
Riavvio 2013

All’origine del nome Morfeo, dal greco μορϕή “forma” o figura, associo il desiderio di ri-definizione della figura/corpo della donna, protagonista assoluta delle immagini. Esulando da concettualizzazioni meramente estetiche, il progetto molto ambizioso desidera ripercorrere simbologie legate all’eterno femminino e riscattare quel corpo, dono di Natura, oggi sempre più violato, vituperato, intriso di significati di colpevolezza. La figura/corpo appare centrale nello spazio con un “agire” dal significato metafisico. Sembra “significare” il reale nel suo palesarsi corpo armoniosamente perfetto.

Franco Donaggio Salita al Crepuscolo 2012
Franco Donaggio
Salita al Crepuscolo 2012

Ma i giochi intellettuali dell’artista ci inducono a varcare la soglia del pensiero, alla ricerca di nuove catarsi, che evidenziano valori racchiusi in valenze polisemiche. Ed ecco apparire il corpo che “significa” l’agire della donna in colei che genera, crea, combatte, ispira, salva e redime. Donaggio predilige giochi chiaroscurali della scala cromatica dei grigi e sembra teso verso sintesi intellettuali che ci conducono a guardare l’oltre. E utilizzerà il proprio linguaggio espressivo di dimensione onirica per ri-definire significati antropologici. Nei bellissimi corpi si concettualizza l’agire talvolta scandito dal tempo. Un’agire da cui si possono percepire sofferenze, vicissitudini ai margini, riscatti di vita, in cui la fatica di esistere determina solitudini di “non- ritorno”.

Franco Donaggio Adamo ed Eva 2013
Franco Donaggio
Adamo ed Eva 2013

Come quel corpo privo di testa, accanto ad un’altra donna, ci conduce ad una dolorosa mancanza. Si è persa la consapevolezza dell’essere donna diversa dall’uomo eppur simile. La donna corpo, universo fragile incompreso, schernito, deriso presente nell’immaginario collettivo, desidera riscatto. Al pari di una rete vischiosa da cui vuole liberarsi. Ma più si muove e più viene avvolta. Donaggio dispone di nuovi contenuti l’essere donna. Sfiora il corpo scultoreo talvolta etereo ma ne avvolge la sua anima. Donna ingegno, mente, sogno di un reale che alla deriva insegue il tempo e lo definisce. Le immagini sono apologetiche: si celebra la donna nella fusione di significato-significante, mente-corpo.

Franco Donaggio La nave 2013
Franco Donaggio
La nave 2013

Il sodalizio tra mente-corpo lo rivedo nella Nave, in cui sono presenti cedimenti strutturali. È la tempesta della quotidianità che stordisce per intensità e inibisce forze. Ma la donna ritratta, dimostra che pur nell’avversità, non abbandona il luogo di comando. Determinata e saggia affronta imprevisti con intuizione e tempestività.

Nell’antica Grecia ricorre la figura della donna-guerriera, l’amazzone, in piccole società gestite esclusivamente da donne. L’uomo era relegato ad assolvere i compiti femminili. Curava la casa e si occupava dei figli.

Lisia (440 a.C.) ci racconta che erano donne bellissime, molto coraggiose e valorose. E dava significato al loro essere donna il modo in cui affrontavano i pericoli e non il loro splendido corpo.

Dalle immagini sembra che si desideri enfatizzare la dignità della donna che è anche corpo. Dignità che essendo identica a quella dell’uomo, deve esser riconosciuta e rispettata.

Franco Donaggio Bagno Costruttivista 2013
Franco Donaggio
Bagno Costruttivista 2013

La contemporaneità ha imposto immagini stereotipate che hanno “reciso” il valore della donna. Qui vengono raffigurate solo le gambe. Gambe che fanno presagire un movimento. Una via di fuga dalla vischiosità del reale, ma la presenza dell’acqua richiama la purificazione, evoca riscatto e salvazione, una rinascita. Le gambe sono vita: camminano, saltano, danzano, corrono, nuotano.

Voglio ricordare le parole di Alda Merini che diceva “le gambe nella donna sono il perfezionamento della sua volontà…sono occhi e labbra che cercano l’amore sì, ma soprattutto la vita dell’amore”.

Osservando le immagini qui presentate è possibile percepire il rumore del mare, il silenzio del contemplare o l’urto delle chiglie o ancora il cigolamento delle impalcature. Sono immagini polisensoriali.

Benjamin avrebbe detto che la fotografia procede verso un modo “tattile”, sembra fuoriuscire dallo spazio e induce chi contempla a sfiorarla anzi a sostituirsi protagonista.

Franco Donaggio Estrema Domanda 2012
Franco Donaggio
Estrema Domanda 2012

La donna qui rappresentata cerca di proteggersi davanti agli eventi, gigantografie di prore che silenziose avanzano nel caos della vita. Contempla cieli stellati e si rinchiude in se stessa, scrutando le giuste energie che le permettono di ri-trovarsi. Solo il silenzio potrà rigenerare lontano dai rumori della quotidianità.

Le prore delle navi sembrano avanzare. Si possono toccare. Si desidera salvare la donna che sembra abbandonarsi al proprio destino. È un’immagine di un lirismo elevato denso di dolore, solitudini, desideri mancati, abbandoni.

Franco Donaggio Il Muro del desiderio 2013
Franco Donaggio Il Muro del desiderio 2013

Il “Muro del desiderio” è un’immagine molto suggestiva. Il titolo forse evoca un amore impossibile? Ho focalizzato la mia attenzione sul fuoco e sul muro. Ripercorrendo il tempo a ritroso, ho pensato alla paura nei confronti della donna durante il  ‘600. Infatti se manifestava difformità con il pensiero dominante, veniva arsa viva. La donna iniziava a prender coscienza della sua individualità e della sua forza, osteggiando volontà e codici di una società maschilista.

Franco Donaggio dilata la memoria collettiva e con i suoi continui rimandi ed evocazioni da valore alla historia magistra vitae. Le sue opere sembrano viaggi di conoscenza, dove il linguaggio espressivo permea il sapere sintetizzando forme sorrette da memoria alla ricerca di significati fautori di nuove “verità”.

English version

“Brilliant kids have always done strange things.” These words by Alda Merini well define creativity without limits and which I rediscover in the images of Franco Donaggio.

His latest Book entitled “The spaces of Morpheus” was named after the mythological god of dreams. Place which, according to legend, appears in human form.

But dreams evoked by images of Franco Donaggio abound symbolizations which reflected the need to give “expressive voice” to an imaginary reflection in reality.

The origin of the name Morpheus, from the greek μορφή “form” or figure associate the desire to re-definition of the figure / body of the woman, the absolute protagonist of the images.

Deviating from purely aesthetic conceptualizations, the very ambitious project wants to trace symbols connected to the eternal feminine and redeem her body, a gift of Nature, today more and more violated, reviled, full of meanings of guilt.

The figure / body appears in space with a central act of the metaphysical significance. It seems “to mean” the real in its manifestation of his harmoniously perfect body.

But the intellectual games of Donaggio lead us to cross the threshold of thinking, searching for new catharsis, which show values ​​contained in the polysemic meanings.

And behold, the body “means” the act of the woman in her who generates, creates, fights, inspires, saves and redeems.

Donaggio, with his melancholy artist’s predilection for the chiaroscuro of the chromatic scale of grays, seems tense towards intellectual synthesis that lead us to look beyond. He will use the expressive language of dream-like dimension to re-define the anthropological meanings.

In the beautiful bodies the act sometimes punctuated by time is conceptualized. A doing from which you can perceive pain, ups and downs on the edge, surrenders of life, in which the effort to exist determines solitudes of “non-return”.

As the body without the head, next to another woman, leads us to a painful lack. We have lost the awareness of being a woman different from man and yet similar. The woman body, fragile universe misunderstood, mocked, ridiculed in the collective, wants to ransom. Like a sticky network which wants to break free. But the more she moves and the more she is wrapped.

Donaggio has new contents to being a woman. Nearly sculptural body sometimes ethereal but it wraps up its soul. Woman wit, mind, dream of a real drift tracks time and defines it. The images are apologetic: it celebrates the woman in the fusion of meaning-meaning, mind and body.

I can see the association between body-mind in the ship, in which there are structural failures. It is the storm of everyday life that stuns intensity and inhibits forces. But the woman portrayed, shows that even in adversity, she does not leave the place of command. Determined and wise she faces the unexpected with insight and timeliness.

In ancient Greece, bearing the figure of the woman-warrior, the Amazon, in small communities which were managed exclusively by women. The man was relegated to performing the duties of women. Kept the house and took care of the children.

Lysias (440 BC), tells us that women were beautiful, very courageous and brave. It gave meaning to their being a woman the way they faced the dangers and not their gorgeous body.

From the pictures it seems that you want to emphasize the dignity of the woman who is also the body. Dignity that being identical to that of a man, must be recognized and respected.

The contemporary world has imposed stereotypical images that have “cut” the value of women. Only the legs are displayed here. Legs that are precursors to a movement. An escape from the stickiness of the real, but the presence of water refers to the purification, evokes redemption and salvation, a rebirth. The legs are life: they walk, jump, dance, run, swim.

I want to remember the words of Alda Merini who said that “the legs in women are the perfection of his will … eyes and lips are seeking love, yes, but above all the life of love.”

Looking at the images presented here it is possible to perceive the sound of the sea, the silence of contemplation or the brunt of keels, or even the cigolamento of scaffolding. They are multi-sensory images.

Benjamin would say that photography is a way to proceed “tactile”, since it seems to protrude from its causes and who contemplates to brush indeed to replace the protagonist.

The woman represented here seeks to protect itself before the events of giant bows that silent progress through the chaos of life. Split up into the starry heavens, to be contained in itself, scrutinizing all the energy that allows it to re-find oneself. It regenerates the silence away from the hustle of everyday life.

The prows of ships seem to move forward. You can touch them. You want to save the woman who seems to abandon herself to her fate. It is an image of a high dense lyricism of pain, loneliness, lack of desires, dropouts.

The “Wall of desire” is very suggestive. The title evokes perhaps an impossible love? I focused my attention on the stove and the wall. Going back in time, I thought about the fear of women in 1600. Infact if she showed differences with the dominant thought, she was burned alive. The woman began to become aware of her individuality, her strength and went against wills and codes of a male-dominated society.

Franco Donaggio expands the collective memory and his constant references and evocations value to historia magistra vitae. His works seem to travel for knowledge, where the expressive language permeates the knowledge synthesizing forms supported by memory for new meanings proponents of new and desirable truths.

Lycia Mele
© Riproduzione riservata

SITO dell’ARTISTA per approfondimenti: http://www.donaggioart.it/quaderni.html
MODELLE: Arianna Grimoldi e Giovanna Lacedra.

Franco Donaggio Il giudizio 2013
Franco Donaggio
Il giudizio 2013