Olbia | Arte e tradizioni dal Messico negli spazi dell’Associazione Libere Energie

Novembre 2021 – Aria messicana ad Olbia, negli spazi dell’ Associazione Libere Energie, per una collettiva di artisti di Durango che irrompe nel torpore autunnale e ci induce, in concomitanza della Festività dei Morti, a riflettere sul tema della morte in toni più “luminosi” per la presenza di contrasti cromatici vivaci ed intensi, propri della tradizione messicana.

La curatrice Nuria Metzi Montoya, – di origini messicane e discendente del Montoya muralista, contemporaneo di Diego Rivera, marito della più celebre Frida Kahlo,- propone in mostra opere di alcuni suoi connazionali quali: Manuel Piñon, Alma Santillán, Antonio Díaz Cortés, Armando Montoya, Candelario Vázquez, César Muñoz Carranza, Diana Franco, Tomás Castro Bringas, Juan Rodríguez López, Germán Vallez, Eulene Franzcelia, José Luis Ruiz “el Piípi”, Helder Gandara, Paco Nava, Ricardo Fernández, J.Carlos Mendívil, Manuel Valles Gómez, Milton Navarro, Leonor Chacón Vera, Valentino Salas.

Ma, nella sala espositiva, si percepisce un’insolita energia associata ad un richiamo visivo, che scaturisce dalla varietà cromatica e dalla presenza di una pluralità di oggetti disposti su una struttura triangolare a piccoli gradini: fiori, ceri votivi, arance, frutta secca, specchi, bambole, piccoli teschi, pani, ventagli, marmellate, maschere. È un altare votivo tipico della tradizione popolare messicana che, in questo periodo, numerose famiglie allestiscono in un angolo della casa, in memoria dei propri cari.

Un altare del ricordo per il Dia de Muertos che nello spazio espositivo è dedicato al primo presidente messicano, originario di Durango, Guadalupe Victoria, al pittore realista e muralista Francisco Montoya de la Cruz, allo scultore Benigno Montoya, celebre per le sue stele funerarie e infine alla pittrice Mercedes Burciaga, nonna della curatrice e moglie di Francisco.

Altare domestico

L’allestimento dell’altare domestico come un’installazione artistica, quasi un far confluire l’arte nel quotidiano, oltre al tema della morte – che acquisisce connotati umani da esser identificata nella iconica Catrina (termine coniato da Diego Rivera)* simbolo nazionale, rappresentata con abiti europei come una sposa, – li potremo avvicinare, anche se in maniera semplicistica, alla definizione di “umore nero” che il surrealista, André Breton, vide radicato nella popolazione messicana che tende riconciliare/unire vita e morte.

Un concetto elaborato la cui assimilazione (almeno per noi) risulta complessa, che potremo definire d’avanguardia proprio come quei surrealisti che nei primi del novecento (1920) furono affascinati dalla cultura messicana in cui il linguaggio artistico esprimeva contenuti che stupivano, emozionavano e sconvolgevano.

Ma, sembrerebbe anche un concetto contemporaneo perchè derivato dalla stratificazione, meglio trasversalità, delle varie culture tra le quali: quelle precolombiane associate a culture di varie etnie; quella repressiva e violenta da parte dei colonizzatori spagnoli che tentarono di soffocare usi e costumi autoctoni; la diffusione della religione cristiana; la cultura africana diffusa con la tratta degli schiavi e altri fattori hanno creato un sincretismo originale caratterizzante l’identità culturale messicana, legata al culto dei morti.

Conciliarsi con la morte comporta un elevato grado di atteggiamento riflessivo, di spiritualità, di accettazione, di rassegnazione e implica un esilio dal tangibile, dal materialismo per far emergere tracce di pensiero, azioni, emozioni di coloro che hanno lasciato la terra, convivono nell’anima e si percepiscono come vivi.

La vita accoglie il suo senso con queste “presenze” e la morte diviene più concreta, più umana. Un significato che il poverello d’Assisi ben comprese ed espresse nel suo Cantico delle Creature.

©️Manuel Valles, Attesa, 2012

Osservando le opere esposte, di cui molte legate al Dia de Muertos, si traspone in pittura il sentimento del ricordo, il desiderio di presenza, l’esserci.

Tra gli astratti si colgono urla implose in graffi ripetuti che invadono lo spazio o luoghi dagli esili confini che sembrano sfumare dinanzi al fluire eterno.

Nel figurativo tra surreale, popolare e espressionista troviamo alcuni volti abbozzati, altri profondamente segnati dalla sofferenza dell’assenza – come la bellissima paternità di Tomás Bringas, maestro incisore di Durango – che predispongono ad un’arte figurativa di indagine e di equilibrio nel rappresentare il dolore che rende, inermi dove il colore da struttura, dialoga con gli spazi, emana silente energia o dove la luminosità del bianco illumina e trasfigura quasi alludendo ad una distaccata rassegnazione.

©️Tomás Bringas, Día de los muertos, 1995 | monotipo su cartoncino [particolare]

E ancora figure che diffondono nella spazio della tela la loro consistenza materica in dissoluzione o altre con echi simbolisti che vagano sopra la terra mostrando la nuova natura di angeli che vigilano e proteggono.

La vista è l’organo preposto a seguire pieghe, riflessi taciuti, impercettibili presenze, soccorre dove manca la dimensione, dove accanto alla fissità e piattezza di bizantiniana memoria vi è  sottesa una sorta di bellezza pura che mira all’essenziale senza particolari tecnicismi ma volta ad enfatizzare l’istante creativo nel segno del colore che assume valore semantico.

©️Armando Montoya, Untitled 2005 | vetro, acrilico

S’intravvedono alcune citazioni artistiche, ma la bellezza dell’arte è la capacità di sintesi nell’emulazione inconscia. Ciò apre squarci di cielo per nuove idee.

Una mostra che merita una visita: non solo per vivere un momento di nuove conoscenze etno-antropologiche, riflettere sulla sorella morte per utilizzare le parole di Francesco, gustarsi opere distanti dalla nostra sensibilità estetica ma perché l’evolversi della creatività va di pari passo con quella libertà a cui tutti aneliamo.

©️lyciameleligios

Nuria Mezli Montoya | Sito http://nuriametzli.blogspot.com/

Associazione Libere Energie | via Bramante 55 | h. 18,30 – 20,00 | mostra fino al 12 novembre