All’Archivio Mario Cervo #nonmollaremai di Tommy Rossi : prevenzione oncologica e musica … per mano

Olbia, 24 Maggio 2023 – Ad Olbia esiste un luogo incantato, un piccolo giardino immerso tra stradine affastellate di quartiere. Spazioso. Informale. Ogni angolo respira musica e la memoria sconfigge l’oblìo in eterno silenzio. 

Parlo dell’Archivio Mario Cervo e dell’Associazione Culturale che lo gestisce, sempre più attiva nel promuovere eventi diversificati che lasciano segni indelebili nell’anima dei presenti: sia per le tematiche proposte che per l’atmosfera, densa di energia che si respira.

Alle volte penso sia dovuto alla passione per la musica di Mario Cervo, alla sua inquieta curiosità, alle sue costanti ricerche tangibili per l’immensa mole di musica archiviata.

Ebbene sì, si percepisce una sua “velata presenza”, forse l’intenzione di consenso, riposta in un abbraccio per il lavoro di ricerca, tutela e divulgazione della tradizione musicale sarda, svolto dai suoi famigliari in un continuum con il suo precedente lavoro di raccolta.

Tommy Rossi | Courtesy of ©️archiviomariocervo

In questo tempio della musica sarda si è svolta la serata #nonmollaremai a carattere medico-divulgativo-solidale. Nata da un’idea dello speaker radiofonico Tommy Rossi, con la collaborazione dell’Ass. Culturale “Archivio Mario Cervo” e dei medici del reparto di Oncologia del San Giovanni Paolo II al fine di sensibilizzare le persone alla prevenzione e agli screening oncologici salvavita, a seguire stili di vita più sani per debellare l’insorgenza di forme tumorali.

Agli interventi degli oncologi seguono le esibizioni  (a titolo gratuito) di alcuni artisti sardi: il bluesman Francesco Piu e il gruppo etno-pop dei Tazenda e proprio al loro leader storico, Andrea Parodi, scomparso nel 2006 per un tumore, si dedica l’intera serata.
Inoltre, si promuove un fundraising per acquistare beni primari al reparto di Oncologia.

Il primo a prender parola è il primario di oncologia del GPII, Dott. Salvatore Ortu, che illustra brevemente la nascita del reparto inizialmente integrato nel reparto di Medicina.
Quando giunto ad Olbia nel 1992, dopo aver vinto il concorso di medico oncologo, organizzava un piccolo ambulatorio, grazie alla collaborazione del personale presente.

In seguito, ottenute nuove risorse finanziarie, nuovi spazi e nuove figure professionali riuscì a creare la realtà attuale che avrebbe permesso di seguire e prendersi cura dei pazienti oncologici nelle varie fasi.

Il cancro è una malattia che da un lato impressiona per i dati raccolti (su 160.000 abitanti della ASL Gallura, 1000 circa sono i pazienti oncologici per anno in Gallura, dato parziale perché si escludono le persone in cura presso altre strutture) dall’altra infonde speranza per la costante ricerca di terapie innovative e nuovi protocolli medici.

I pazienti in cura sono 7000, di cui 100 al giorno transitano in reparto per prime visite, follow up e terapie; 60 pazienti fruiscono dell’assistenza a domicilio in varie zone della Gallura; è attivo un hospice con 8 posti letto, pochi per una struttura che ha numeri importanti. (Si spera che arrivino nuove risorse per gli 8 nuovi posti letto promessi).

Dopo questa premessa di carattere organizzativo con allarmanti dati statistici, il Dott. Ortu ringrazia e ricorda il lavoro prezioso svolto dal personale infermieristico, riferimento costante e valido supporto per i medici e pazienti.

Francesco Piu | Courtesy of ©️archiviomariocervo

Ed ecco protagonista la musica con il talentuoso bluesman Francesco Piu che esegue alcuni brani classici del suo repertorio come l’intensa “Trouble So Hard” con una dedica a “Frantziscu,  faro per tutti i musicisti dell’isola”. Con parole di pura riconoscenza Piu ricorda Francesco Pilu, il carismatico musicista dei Cordas et Cannas, frontman, polistrumentista e voce del gruppo, rubato presto alla vita, lasciando sgomenti e increduli, chi lo conosceva.

Ora attinge dal passato leggendario della musica blues, con echi di Robert Johnson, padre fondatore, con sonorità frizzanti proprie dell’incredibile washboard, – strumento “povero” utilizzato fin dalle origini di questo genere musicale – e con la mitica armonica a bocca, che avvolge all’unisono la sua voce graffiante, calda e modula l’allegria sonora del washboard che trasmette vitalità, incoraggia.
Ciò prova come questo genere musicale sia autentica “poetica di sopravvivenza”, ( per citare lo scrittore Massimo Carlotto, che non scrive senza ascoltare blues)  anche se in realtà tutta la musica ha in sé questa potenzialità: aiuta a sopravvivere. È terapia per l’anima.  Lenisce ferite. Consola.  Acchiappa ricordi. Sfiora l’eterno.

Infine, prima di eseguire l’ultimo brano “Hold On” tratto dall’album “Pace e Groove” ripete l‘inno della serata #nonmollaremai perché è importante “resistere”.

Infatti, non bisogna mai perdere la speranza, ma al contrario ci si deve aggrappare per reagire, focalizzare bei ricordi e sensazioni provate e combattere. Ci si deve “incollare”, quasi aderire alle stupende emozioni che offre la vita espresse in tutto ciò che ci circonda: natura, cielo, mare, affetti più cari, animali domestici, tutto ciò che é vivo, che trasmette vita e che ci fa star bene. E, come ricorda lo stesso Piu nella canzone:

“Continua ad andare avanti e non sentirti mai solo […] 

Devi portare i tuoi sogni, i tuoi sogni amico mio 

Lungo ogni strada che percorri, 

in modo che possano prendere il volo”

Tommy Rossi e Teresa Pira | Courtesy of ©️archiviomariocervo

Dopo il breve concerto di Francesco Piu,  intervengono gli oncologi la dott.ssa Teresa Pira e il dott. Alessandro Masala, che espongono, con argomentazioni più tecniche e specifiche, i protocolli di prevenzione e screening; parlano dell’importanza di eliminare i fattori di rischio quali il fumo, l’obesità, la sedentarietà, i rapporti sessuali promiscui non protetti e l’abuso di alcolici (come prevenzione primaria).

Lo screening (detta prevenzione secondaria) comporta una diagnosi e se presenti lesioni precancerose si provvede a terapia o asportazione. 

La dott.ssa Pira esaustivamente parla: del vaccino (gratuito) HPV negli adolescenti sia maschi che femmine che rimuove il Papilloma Virus nel 95 per cento dei casi; dello screening gratuito attivo solo per mammella, colon-retto e collo dell’utero, ciò perché le statistiche hanno evidenziato una notevole riduzione della mortalità.

Dott. Masala continua a parlare di screening del colon-retto che nel 2023 è stato sospeso per mancati accordi con l’azienda farmaceutica che fornisce i dispositivi. Ma, sottolinea un dato infelice nel 2022 su 6000 lettere inviate per lo screening solo 1300 quelle evase e continua con l’approvazione di questo tipo di eventi al fine di sensibilizzare la popolazione a partecipare agli screening gratuiti e seguire i percorsi suggeriti.
Fare prevenzione è determinante perché questa forma tumorale, come riporta Dott. Masala, è la seconda per mortalità. I programmi di screening servono per ridurre questo dato, grazie anche ai “miglioramenti delle tecniche chirurgiche, all’innovazione delle terapie oncologiche”.

Si prosegue citando i markers tumorali spesso inaffidabili, a meno che non si abbia già una diagnosi; dei tumori del ramo encefalico che seppur trattati con terapie sempre più innovative presentano, purtroppo, un’elevata mortalità. Per questi tumori non esistono programmi di screening, ma si possono debellare seguendo sani stili di vita, eliminando i fattori di rischio primario precedentemente elencati e si conclude con un dato statistico sconcertante “l’80 per cento dei tumori cervico-cefalici sono correlati all’abuso di alcohol e sigarette” mentre il 20 per cento esulano da stili di vita impropri e possono esser di natura virale, HPV, virus di Epstein-Barr a ciò si aggiungono esposizioni a solventi, polveri,  etc. in ambito lavorativo che determinano i cosiddetti “processi di carcinogenesi”e sviluppano la malattia.

Interventi illuminanti su cui è bene soffermarsi e riflettere poiché nessuno è immune. Spesso si fugge davanti alla parola tumore,  si respinge perché prevale la paura dell’ignoto.  Gli ammalati si chiudono in loro stessi poiché le priorità rispetto alle persone sane mutano. Si cerca di vivere una vita parallela focalizzata sulle terapie e il recupero delle energie bruciate dalle terapie. Alla fine si sceglie “involontariamente” di parlare e condividere timori e perplessità con le persone  che affrontano lo stesso cammino per affinità e per combattere insieme, ma se si uniscono le forze, in un supporto reciproco, o chiedendo aiuto agli altri senza timore, la battaglia risulta essere meno dura e si ha la possibilità di vincere. 

Tommy Rossi, Alessandro Masala, Teresa Pira | Courtesy of ©️archiviomariocervo

Ecco, l’immenso valore delle tre parole #nonmollaremai, simbolo di  resistenza vitale, per sforzarsi di vedere bagliori, lì dove sembra dominare l’oscurità.

Oltre alla prevenzione, in fase di terapia è bene avere un atteggiamento positivo, liberare la mente da pensieri o situazioni spiacevoli con l’ausilio della meditazione (che io proporrei come disciplina nelle scuole dell’obbligo  al pari dell’insegnamento dell’educazione fisica) e praticare la gratitudine. 

A questo punto, nella notte vestita di musica appaiono i Tazenda, gruppo tra i più innovativi del panorama musicale sardo, che è riuscito a distinguersi per le rielaborazioni sonore, attinte dal patrimonio etnico dell’isola , con il rock e il pop, e per l’alternanza linguistica nelle strofe: sardo – nella variante logudorese – e italiano. 

Appare nella sua formazione attuale: Gino Marielli e Gigi Camedda,  icone della band sarda rispettivamente chitarra del gruppo e voce il primo,   e tastiera, piano e voce il secondo;  Nicola Nite, frontman del gruppo dal 2013, palesemente ben integrato anche nelle canzoni che hanno segnato la storia musicale del gruppo, quando erano presenti Andrea Parodi o Beppe Dettori.

I Tazenda:  Gigi Camedda, Nicola Nite, Gino Marielli | Courtesy of ©️archiviomariocervo

 

In loro compagnia si vive un affascinante e struggente viaggio nel tempo,  in quella memoria storica che amplifica ricordi e allunga la vita. 

Si comincia dal 1992, trionfo sanremese, “Pitzinnos in sa gherra” con le loro armonizzazioni – che ben definiscono la band conferendole unicità o meglio riconoscibilità – e con l’inserimento di due strofe scritte in lingua italiana dal cantautore Fabrizio De André.

Una canzone evergreen, dal tema di un’attualità sconcertante e dolorosa. Protagonisti i bambini che vivono nei territori colpiti da conflitti e guerre infinite, non conosceranno la spensieratezza, la purezza dell’infanzia nel giocare con le armi. Oggetti che annientano vite considerate alla stregua di un nulla.

Poi è la volta di “Carrasecare” del 1988, scritta con la collaborazione di  Piero Marras. L’indistinguibile sound, qui con ritmi più vivaci, racchiude l’essenza del carnevale barbaricino dove la presenza di rituali apotropaici richiama libertà, spensieratezza. Vivere senza limiti.

Un momento di struggente nostalgia si percepisce con “Domo Mea”, del 2007, canzone scritta in ricordo di Andrea Parodi con la  collaborazione di Beppe Dettori (allora solista del gruppo) ed Eros Ramazzotti.  Un brano indimenticabile,  con una melodia raffinata che sapientemente intreccia alla lingua sarda caratterizzanti e distinguibili sonorità del trio.

Si ricorda la collaborazione con i Modà nel brano “Cuore e vento”, scritto da Kekko Silvestri con Gino Marielli. Una lirica dedicata alla Sardegna,  isola di tradizioni millenarie,  dominata da intensi profumi, sapori e da un vento di maestrale che le fa da “corazza”  e da una bellezza quasi ammaliante,  di cui “anche la luna si arrende”e dove la stagione più bella è la primavera.

Il concerto continua attingendo ancora dal passato con Mamoiada, dedicata al piccolo paese omonimo, un brano del 1991 con risvolto sociologico. 

Ora il canto diventa più introspettivo, una delicata dimensione spirituale in La Ricerca di te (2007):  “Portami oltre il pensiero / Aldilà del mistero / Aiuta la mia Essenza ad andare via da ogni idea / Invitami ogni giorno alla ricerca di me”

Quando appare un quadro impressionista con “Spunta la luna dal monte” del 1991 – scritta da Gino Marielli, penna d’oro del gruppo – in collaborazione con Pierangelo Bertoli: una scena notturna tra luci dorate di luna che vibrano e abbracciano bimbi poveri che manifestano gioia pur nei loro semplici giochi di strada.

Infine non poteva mancare la canzone identitaria dei sardi, eseguita da tanti artisti tra i quali i Tazenda “Non potho reposare”.

Finisce con queste note la serata inaugurale di #nonmollaremai di Tommy Rossi and friends nel giardino dell’archivio tra episodi musicali che hanno reso lievi argomenti complessi e dolorosi, hanno nutrito lo spirito per le tante emozioni vissute, con una consapevolezza sempre più crescente: del perché la musica sia priva di confini e funga da antidoto alla nostalgia, nella sua immediatezza di cogliere ricordi e poterli rivivere; e inoltre, di quanto sia, da sempre, la migliore terapia per l’anima.

 

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©️lyciameleligios

Red Wine live | Il Bluegrass, musica che crea spazio al pensiero

 

La musica ha un potere che nessun’altra cosa possiede. Avete mai notato di ritrovarvi a far defluire pensieri e lasciar spazio a nuovi contenuti, quando esausti o di malumore per una situazione vissuta, ascoltate la vostra musica preferita, pop o allegra?

Certa musica, se filtrata con l’anima, permette di rinnovare luoghi della mente. Fa spazio. Crea respiro.  Trasmette stati d’animo sotto forma di contagio — come l’allegria, la gioia, la positività — che si declinano con l’esecuzione di determinate variazioni musicali.
In sintesi ciò che si è vissuto sabato scorso durante la terza serata del Musicultura World Festival 2021: “Musica dalle Finis Terrae” di San Teodoro.

Protagonisti i Red Wine, un quartetto di validi musicisti genovesi di bluegrass: preparati, ironici, coinvolgenti, famosi in Italia e all’estero che hanno reso speciale e indimenticabile, la serata teodorina,  luogo dove trasparenze del mare sfumano orizzonti, senza segnare confini di cielo.

E, sotto la volta stellata, nell’angolo dedicato ai concerti live, si sono esibiti Marco Ferretti alla chitarra, Lucas Bellotti al basso e Silvio Ferretti e Martino Coppo, storici del gruppo , rispettivamente al Banjo e al mandolino, con un vocal range accurato, coeso, armonico che ha conquistato il parterre.

Archivio Musicultura Festival | ©️bruno piccinnu


Durante la serata, hanno eseguito alcuni brani dall’ultimo lavoro, Caroline Red, insieme a testi iconici della storia della musica, arrangiati in stile country, con qualche digressione nella canzone italiana. Uno spettacolo ben dosato, gradevole e soprattutto capace di farci sognare.

Si, il sogno é stato l’ orizzonte verso il quale siamo stati proiettati. Un viaggio immaginario, intessuto di emozioni, nelle terre del “sogno americano” — che mai aderì alla realtà immaginata — almeno per coloro che emigrarono in America, alla ricerca di un benessere socio-economico, proprio negli anni in cui si diffuse il bluegrass.

Nato nel Kentucky, intorno agli anni ‘30 del secolo scorso, il bluegrass è un ramo del genere country che mostra assonanze con la musica inglese e irlandese, inflessioni residuali dei primi colonizzatori europei.

S’inizia con la classica ballata country, “Everything I use to do”, un testo di Ernie Rowell che evoca la fine di un amore. Il giovane protagonista, ancora innamorato della sua amata, riflette un agire distratto dal pensare il suo sentimento. Un tema di carattere universale che ha prodotto le più belle ed eterne canzoni d’amore.

Al contrario del melodico italiano, si può notare come nel genere country, la narrazione di una sofferenza causata dalla fine di un amore, mostra una struttura musicale briosa, allegra, e nella sua velocità sembra scandire il tempo dinamico, incalzante, rapido.
Si ricompone un equilibrio, dove le sonorità sembrano ribellarsi ad una sorta di ripetizione, aspirano ad una nuova stabilità giocando in un susseguirsi di scatti, prossimità, vicinanze, confluenze.

Protagonista il mandolino, in vivace dialogo con gli altri strumenti, quasi la musica volga ad alleggerire pensieri, infondere speranza, e forse invitare ad “ascoltarci”, come diceva il maestro Ezio Bosso, a rimodulare il senso dell’esistenza, vivere il passato, non semplicemente come ricordo ma come ciò che struttura il domani, come anima del nostro futuro in continua evoluzione. Le esperienze formano nel loro “stramarsi” dalla rete dell’esistere.

 Con “Archetto e violino”, brano scritto da un loro amico, ci ritroviamo negli ampi saloni di una tipica festa dai toni irlandesi quale momento per socializzare, da vivere in spensieratezza e innamorarsi. Innegabile l’energia di questa ballata che richiama le atmosfere dell’intenso film Alabama Monroe del regista Felix Van Groeningen. 

©️Archivio Red Wine


Di seguito “Last the old american dream” in cui  la voce narrante è una macchina, costruita nel 1958,   che suggerisce al proprietario di ripararla per ripartire verso nuove mete. 

Sogno americano inteso come libertà, ma anche benessere. Qui si allude  ad una “cura”, una manutenzione per poter continuare a viaggiare.

La macchina ha una sua forza concettuale che trasposta nella condizione degli  esseri umani sembra suggerire la necessità di provvedere alla cura del sé per acquisire quella capacità di fuga dalla staticità che logora, annienta, crea ristagno e involuzione.

Inoltre, si può cogliere un altro riferimento metanarrativo che prende spunto da una temporalità definita, a cui forse si allude, la diffusione del genere country in seguito alla realizzazione, nel 1958, di un film musicale “Country Music Holiday”, che aveva tra gli interpreti la mitica Zsa zsa Gabor, per affermare la dirompente diffusione di questo genere musicale sempre più seguito, seppur con accenti diversi.

Armonizzazioni delicate, accompagnate da un testo fluido, arioso, è la nuova dimensione dove l’esperienza permette di fare musica  “… dancing in the wind” danzando nel vento che viene ripetuto nel ritornello della ballata “Evergreen”, dal CD Caroline Red. 

Questo è il loro manifesto. Tanti sono gli anni trascorsi dall’anno di nascita del gruppo, formatosi nel 1978, che oggi continua a lavorare,  proporre musica con entusiasmo e passione, segnata dalla libertà di creare, come agli inizi della loro carriera. Ieri come oggi, generi musicali intramontabili, fondamenta della musica contemporanea da tutelare, custodire quale patrimonio artistico immateriale dell’umanità.

Rimettendoci in cammino, “chiudiamo gli occhi” e ci ritroviamo in Louisiana nel centrale e frenetico quartiere francese di New Orleans, bagnato dal fiume argentato del Mississippi, tra le vie pullulanti di ogni umanità con graziosi localini in cui si suona il dixieland. Una festa eterna di suoni, colori e umanità. Il pezzo eseguito “The dark times” pur senza fiati, riesce a codificare quel sentimento di accettazione e fiducia presente nella tradizione della musica afroamericana da cui deriva questo filone musicale. 

E dall’America, una breve sosta in Italia con alcune canzoni del nostro repertorio melodico tra le quali  “Oi Marì”, “Malafemmena” di Murolo e ancora “Buonasera signorina” di Buscaglione,  che esaltano il virtuosismo degli strumenti acustici, o ancora, la bellissima canzone scritta da Massimo Bubola e cantata da Fiorella Mannoia “Il cielo d’Irlanda”, una vera poesia che riprende significati universali con luoghi poetici che emozionano per la purezza e profondità delle parole.

Archivio Red Wine | ©️ken voltz

Rientriamo negli USA, nel Tennessee, con “Back to you” un testo d’amore dal tema nostalgico sullo sfondo della Guerra civile, motivo che spesso ricorre nel repertorio country americano.

Il protagonista, un soldato in trincea, ha nostalgia della sua amata e sembra vivere il desiderio di rivederla come una forza spirituale che gli permette di superare la dolorosa realtà vissuta al fronte.

Dagli USA ci spostiamo verso la nazione delle immense distese, dei cromatismi taglienti che “accecano” per bellezza, con quella sana voglia di vivere: il Brasile. Ed ecco le variazioni del mandolino, veloci sulla tastiera, che svuotano oscurità e diffondono gioia nel famoso brano “Tico Tico” del celebre compositore brasiliano Zequinha de Abreu (1880-1935).

Alla fine, lo spettacolo si fa ancora più intenso, con  un momento dedicato a coloro che sono stati grandi pionieri e innovatori, che hanno osato stravolgere musicalità e hanno lasciato segni indelebili. Funamboli del pentagramma.

Il primo artista Tom Petty, — grandissimo cantautore rock americano, creatore geniale, collaboratore e amico del grande Bob Dylan — di cui cantano “American girl”con un arrangiamento country, canzone icona per le future bande rock.
Verso la fine il ricordo dei Grateful Dead, una band che si distinse per la capacità rivoluzionaria di fondere vari generi musicali e dar vita al cosiddetto rock psichedelico. 

Una serata che ci ha fatto riscoprire l’intensità del vivere un concerto, perché esserci richiama esperienza stratificata per la sua totalità di sensazioni che l’web non potrà mai creare, reso possibile dalla bravura dei musicisti, dall’abilità dei tecnici del suono e delle luci e dalla gente che ha condiviso il momento come uno slancio verso il cielo e …ritorno.

©️lyciameleligios

 

Il sito dei Red Wine http://www.redwinemusic.net/band/

 

 

English Version

Red Wine | Bluegrass, the music that creates space for thought

Music has a power that no other thing has. Have you ever noticed that you find yourself letting thoughts flow and leaving room for new contents, when exhausted or in a bad mood for a lived situation, you listen to your favourite music, or pop or cheerful?


Certain music, if filtered with the soul, allows you to renew places of the mind. Make room. Create breath. It transmits states of mind in the form of contagion – for example, cheerfulness, joy, positivity – which are declined with the performance of a certain type of musical variations. This took place last Saturday during the third evening of the Musicultura World Festival 2021: “Musica dalle Finis Terrae” in San Teodoro.
The protagonists are Red Wine, a quartet of good bluegrass musicians: prepared, ironic, engaging, famous in Italy and abroad who made the Theodorine evening special, a place where the transparencies of the sea blur horizons, without marking borders.


And under the starry vault, in the corner dedicated to live concerts, Marco Ferretti on guitar, Lucas Bellotti on bass and Silvio Ferretti and Martino Coppo, historians of the group, respectively at Banjo and mandolin, performed with an accurate vocal range, cohesive, harmonious that has conquered the parterre.
During the evening, the group performed songs from the latest work, Caroline Red, along with some lyrics from the history of music, others arranged in a country style with some digression in the Italian song. A well-dosed, pleasant and above all able to make us dream show.
Yes, the dream was the horizon towards which we were projected. An imaginary journey, interwoven with emotions, in the lands of the “American dream” – never adhered to imagined reality – pursued by those who emigrated to America in search of socio-economic well-being, precisely in those years when bluegrass was spreading.


Born in Kentucky, around the 30s of the last century, bluegrass is a branch of the country genre that shows assonances with English and Irish music, residual variations of the first European colonizers.
It begins with the classic country ballad, “Everything I use to do”, a text by Ernie Rowell that evokes the end of a love. The young protagonist, still in love with his beloved, shows an action distracted by the thought of his feelings. A universal theme that has produced the most beautiful and eternal love songs.

Unlikely the Italian melodic genre, it can be seen that in the country genre, the narration of a suffering caused by the end of a love, shows a lively, cheerful musical structure, and in its speed it seems to mark the dynamic, pressing, rapid time. A vanished equilibrium is recomposed, where the sounds seem to rebel against a sort of repetition, aspire to a new stability by playing in a succession of shots, proximity, proximity, confluences.
The mandolin is the protagonist, in lively dialogue with the other instruments, as if the music wanted to lighten thoughts, instill hope, and perhaps invite us to “listen to us”, as the master Ezio Bosso said, reshape the meaning of existence, live the past, not simply as a memory but as what structures tomorrow, as the soul of our constantly evolving future. Experiences form in their falling away from the web of existence.
With “Bow and violin”, a song written by a friend of theirs, we find ourselves in the large halls of a typical Irish party as a moment to socialize, to live in carefree and fall in love. The energy of this ballad is undeniable, recalling the atmosphere of the intense film Alabama Monroe by director Felix Van Groeningen.
Below is “Last the old american dream” in which the narrator is a car built in 1958, which suggests to the owner to repair it in order to leave for new destinations.
American dream understood as freedom, but also well-being. Here we allude to a care, a maintenance to be able to continue travelling .
The machine has its own conceptual strength and in transposing the meaning on the condition of human beings it seems to suggest the need to take care of the self in order to acquire that capacity to escape from the stillness that wears out, annihilates, creates stagnation and involution.
Furthermore, we can grasp another metanarrative reference that takes its cue from a defined temporality, which is perhaps alluded to, the diffusion of the country genre following the realization, in 1958, of a musical film “Country Music Holiday”, which had among the interpret the legendary Zsa zsa Gabor, to affirm the disruptive diffusion of this increasingly popular musical genre, albeit with different accents.
Delicate harmonizations, accompanied by a fluid, airy text, is the new dimension where the experience allows you to make music “… dancing in the wind” dancing in the wind that is repeated in the chorus of the ballad “Evergreen”, from CD Caroline Red .

This is their manifesto. Many years have passed since the birth of the group, formed in 1978, which today continues to work, proposing music with enthusiasm and passion as if it were at the beginning of their career. Yesterday as today, timeless musical genres, foundations of contemporary music to be protected, to be preserved as an artistic heritage of the world.
Continuing our journey, we “close our eyes” and we find ourselves in Louisiana in the central French quarter of New Orleans, bathed by the silver Mississippi River, among the streets teeming with all humanity with charming little places where Dixieland
is played. An eternal feast of sounds, colours and humanity. The piece performed “The dark times”, even without wind, manages to encode that feeling of acceptance and trust present in the tradition of African American music from which this musical trend derives.


And from America, a brief stop in Italy with some songs from our melodic repertoire including “Oi Marì”, “Malafemmena” by Murolo and “Buonasera signorina” by Buscaglione, which enhance the virtuosity of the instruments, or even the beautiful song written by Massimo Bubola and sung by Fiorella Mannoia “Il cielo d’Irlanda”, a true poem that takes up universal meanings with poetic places that excite for the purity and depth of the words.

We return to the USA, in Tennessee, with a song linked to the sentiment of love, proposed here as a nostalgic theme, recurring in the American country repertoire, in the background the echo of the Civil War: “Back to you”.
The protagonist, a soldier in the trenches, misses his beloved and seems to experience the desire to see her again as a spiritual force that allows him to overcome the painful reality experienced at the front.


From the USA we move towards the nation of immense expanses, sharp colours that prove the sight, for the beauty, and healthy desire to live: Brazil. And here there are the variations of the mandolin, fast on the keyboard, that empty darkness and spread joy in the famous piece “Tico Tico” by the famous Brazilian composer Zequinha de Abreu (1880-1935).


In the end, the show becomes more intense, with a moment dedicated to great pioneers and innovators, who dared to overturn musicality and left indelible marks. Tightrope walkers of the pentagram.

The first artist Tom Petty, a great American rock singer-songwriter, collaborator and friend of the great Bob Dylan, who will follow on his tours . They sing, in a country arrangement, an iconic song for future rock bands “American girl” And finally a piece by the Grateful Dead, a band that stood out for its revolutionary ability to blend various musical genres and give life to the so-called psychedelic rock.

An evening that made us rediscover the intensity of living a concert, because being there recalls a layered experience for its totality of sensations that the web will never be able to create. Made possible by the skill of the musicians, the skill of the sound and lighting technicians and the people who shared the moment as a leap towards the sky and back.

 

 

©lyciameleligios

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

San Teodoro | Grazia Di Michele inaugura il Festival Musica dalle Finis Terrae con ”Poesie di Carta”

Gli eventi dell’estate teodorina continuano con un irrinunciabile appuntamento: il Musicultura World Festival “Musica dalle Finis Terrae”, dal 16 al 19 settembre, organizzato dal Comune di San Teodoro con il patrocinio della Regione Autonoma della Sardegna. 

In Piazza Gallura, giovedì 16 settembre alle 21,30, si esibirà la raffinata cantautrice Grazia Di Michele con lo spettacolo musicale “Poesie di carta”, un tributo a Marisa Sannia: la cantante e attrice di Iglesias  famosa, sulla fine degli anni ‘60, per la sua voce cristallina, inconfondibile.

©️Grazia Di Michele

“Tra noi c’era qualche affinità, – ricorda Grazia Di Michele – la vedevo così altera e coerente, raffinata ed elegante. A un certo punto ho iniziato a scoprire la parte di cantautrice che mi era sfuggita, e poi sono restata folgorata dalla sua maestria nel musicare la poesiaDentro c’è cura, amore, rispetto delle parole, dei suoni e dei mondi poetici a cui si è approcciata, incredibile”.

Negli ultimi anni della sua vita Marisa approfondisce la poesia di Federico Garcìa  Lorca e di autori sardi, Antioco Casula e Ciccittu Masala, declinando musiche per i loro versi alla propria terra, alla vita, all’amore.

I brani eseguiti sono intervallati da testi tradotti, pensieri, frasi estrapolati da copioni che la Sannia scrisse per la presentazione dei suoi spettacoli teatrali. 

Sul palco con Grazia Di Michele,  voce e chitarra,  si esibiscono Marco Piras al pianoforte, Fabiano Lelli alla chitarra,  Fabrizio Fabiano al violoncello e Bruno Piccinnu alle percussioni.

Venerdì 17 settembre vengono proposti due interessanti progetti musicali aperti a sperimentazioni, sempre nell’ambito di sonorità mediterranee, con forti accenti di sardità.

Il primo progetto Fantafolk di Andrea Pisu alle launeddas e Vanni Masala all’organetto, vincitori del Premio Maria Carta (2016) che vantano importanti collaborazioni con musicisti, jazzisti e orchestre di fama internazionale. 

©️Fanfafolk

A seguire, il secondo progetto musicale della serata, denominato “Musicalimba” dello storico gruppo Cordas et Cannas  che si caratterizza come un lungo viaggio “attraverso le radici culturali della musica sarda, attualizzata da armoniosi intarsi sonori presi da altre culture e generi musicali”. 

Un gruppo attento alla sperimentazione etnomusicale, che vanta 40 anni di attività, con numerose produzioni discografiche. 

I musicisti sono Francesco Pilu cantante e polistrumentista, Bruno Piccinnu alle percussioni e voce, Lorenzo Sabattini al basso, Sandro Piccinnu alla batteria, Gianluca Dessì alle chitarre e Alain Pattitoni alla voce, chitarra acustica ed elettrica. 

Sabato 18 settembre è la volta dello spettacolo musicale della band storica Red Wine. Tra i più affermati gruppi di bluegrass europei,  con preziosi riconoscimenti in Italia, in Europa e negli USA, il loro repertorio spazia dal bluegrass tradizionale a quello contemporaneo,  al country,  gospel e swing.

“Dal 1995 Red Wine ha regolarmente effettuato tour negli USA, partecipando al Bean Blossom Uncle Pen’s Memorial Day Bluegrass Festival (IN), Oklahoma International Bluegrass Festival (Guthrie OK), Walnut Valley Festival Winfield (KS), Bluegrass & Chili Festival (Tulsa-Claremore, OK), Strawberry Bluegrass Festival (Camp Mather, CA), Poppy Mountain Bluegrass Festival (Morehead, KY), Mohican Bluegrass Festival (Greer, OH), The Station Inn (Nashville,TN), e alle edizioni del 1995, 2001 e 2008 dell’ International Bluegrass Music Association IBMA “World of Bluegrass” (Owensboro e Louisville, KY, e Nashville,TN), Fan Fest, suonando in svariati Showcase apprezzati dal pubblico e da esperti del settore”.

©️Red Wine

Infine, domenica 19 settembre viene presentato il progetto A-COR-DA della talentuosa cantante brasiliana polistrumentista Carol Mello che da 5 anni vive in Portogallo.

Un progetto raffinato che,  oltre all’interessante voce della cantante  e  al suono caratteristico delle percussioni brasiliane (tamborim, pandeiro), si avvale delle sonorità degli strumenti a corda quali: contrabbasso, banjo, mandolino, cavaquinho e chitarra classica ed elettrica.

Il gruppo vive e lavora in Portogallo.  Sono presenti nei festival World Music brasiliana con la musica che “allontana tristezza”  quindi samba, choro, bossa nova e MPB. Oggi elaborano nuove contaminazioni sonore con trame musicali dei luoghi in cui hanno vissuto e/o suonato. 

La formazione multietnica è composta da musicisti di varia estrazione musicale: Romain Valentino polistrumentista italo-francese, Martin Pridal  con chitarra classica a 8 corde e il contrabbassista Matteo Marongiu. 

Spettacoli diversi per genere ma accomunati dall’elemento che più di ogni altra cosa unisce, dona spensieratezza e indirettamente libertà. E come ben  scrisse Victor Hugo:

“La musica esprime ciò che non può esser espresso a parole e ciò che non può rimanere in silenzio”.

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Musicultura | Cordas et Cannas, uno sguardo oltre l’isola

“Dove il futuro si innalza nel passato e l’oggi è questo
sguardo. È un occhio il presente, tra un battito di ciglia e
l’altro, in un montaggio permanente di visioni”

Davide Nota

Un nome avvolge l’anima della loro musica, creato da due parole.  La prima rappresenta un oggetto, la corda,  simbolo di unione: l’abbraccio della loro musica verso contaminazioni, con rimandi tra tradizione e innovazione. A ciò, si aggiunga la necessità di confronto e condivisione con altre realtà musicali nazionali e internazionali. Infine, il nome di una pianta graminacea, tipica dell’area mediterranea, la canna, apparentemente  esile in realtà molto resistente.  Evoca la fragilità dell’uomo, soggetto ai venti della vita, in  resilienza e adattabilità. Possiamo ben dire che si distingua per longevità, altra caratteristica di questo gruppo. Loro sono i Cordas et Cannas, gruppo di musica etnica, portavoce delle nostra cultura identitaria in Sardegna e all’estero. 

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Cordas et Cannas – by courtesy of ©️Fabrizio Giuffrida

In questi giorni impegnati nel Musicultura World Festival come promotori dell’importante rassegna musicale, li abbiamo intervistati per ripercorrere insieme la loro storia e per ringraziarli del loro impegno e volontà nel proporre progetti musicali, dove l’attenzione è rivolta non solo alle melodie, armonizzazioni tra  sperimentazione e contaminazione, ma ai loro testi che affrontano tematiche di carattere sociale al fine di indurre una maggior consapevolezza e senso civico in tutti: problemi che affliggono la nostra contemporaneità come la guerra, conflitti, mine antiuomo e salvaguardia  dell’ambiente. Una musica pervasa dall’impegno con tonalità contemporanee.

Cominciamo a parlare di origini, quelle che vi hanno fatto incontrare e portare avanti un progetto musicale prezioso,  legato in parte alla nostro patrimonio culturale.

Il gruppo Cordas et Cannas nasce ad Olbia nel 1978-1979 dall’incontro di musicisti con percorsi musicali differenti, ma intenti ben definiti, avvalendosi,  inoltre, di vari ricercatori in campo storico-antropologico ed etnografico. 

La prima formazione era composta da: Andreino Marras, Gesuino Deiana, Francesco Pilu e Bruno Piccinnu. 

Il nostro percorso musicale è segnato dal confronto tra la nostra realtà socio-culturale e quella del mondo intero. A ciò si deve l’uso di alcuni strumenti quali l’organetto diatonico, launeddas, trunfa, sulittu, armonica,  serraggia, tumbarinu di Gavoi,  a cui si sono accostati  strumenti non tipicamente sardi: le percussioni, il violino, la chitarra elettrica e il flauto traverso, provenienti da altre culture musicali quali le percussioni africane, asiatiche e latino americane. Commistione che si ripropone anche nella scelta ed elaborazione dei testi, laddove accanto agli autori della nostra Isola, si riconoscono echi di autori stranieri.

Qual è la vostra formazione attuale? 

Oggi ci presentiamo con una formazione rinnovata e un sound ancora più coinvolgente e adatto ad ogni tipo di pubblico e contesto. Il gruppo è composto dal cantante/polistrumentista Francesco Pilu,  Bruno Piccinnu (percussioni e voce) fondatori storici del gruppo, Lorenzo Sabattini al basso elettrico fretless, Sandro Piccinnu alla batteria, Gianluca Dessì chitarre e mandola e Alain Pattitoni chitarra acustica ed elettrica più voce.

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Francesco Pilu – photo by courtesy of ©️Fabrizio Giuffrida 

La vostra musica colta si misura tra tradizione e innovazione.

Il nostro percorso musicale parte dal patrimonio culturale della tradizione sarda orale con le sue varianti linguistiche logudorese, barbaricino, campidanese, gallurese e con i propri stili popolari: canto a tenore, cantadores a chiterra, launeddas e danze tipiche.  Prosegue nell’esplorazione di generi musicali, che spaziano dall’Africa all’area del Mediterraneo, fino al mondo della cultura celtica, ponendoli insieme in una piattaforma unica, che ha permesso di sviluppare un suono originale e ha conferito al gruppo una distinta connotazione fin dalla sua nascita. 

Il progetto musicale Cordas et Cannas  si definisce  un viaggio attraverso le radici culturali della musica sarda, attualizzata da armoniosi intarsi sonori, presi da altre culture e generi musicali e,  inoltre, con il percorso musicalimba, si materializza l’incontro tra la musica tradizionale e quella moderna, espressa nelle varie lingue del territorio della nostra regione, con sonorità originali, danze coinvolgenti e canzoni di appartenenza. 

Con il video Terra Muda, che presenta un brano di recente realizzazione, si rappresenta la Sardegna enfatizzando la salvaguardia dell’ambiente; un messaggio che nasce e parte dalla nostra isola,  indirizzato verso tutto il pianeta sintetizzato in una frase:  Un suono, un’idea, un messaggio dalla terra del silenzio“, quasi un mantra che anima i nostri concerti con un concetto “distillato” di un rinnovato e praticabile rispetto verso l’ambiente e la bellissima natura che ci circonda.

Come nasce la ricerca delle vostre sonorità? 

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo far riferimento alla nascita del gruppo quarant’anni fa quando si creavano canzoni e brani strumentali attingendo dalla tradizione, come già espresso prima.  Nell’arco di circa dieci anni, si è lavorato alla composizione di musica originale intorno a quella tradizionale,  ma già ponendo basi di esplorazione artistica spesso molto lontana dai canoni tipici della Sardegna.

Spesso i pezzi venivano proposti da qualche componente del gruppo, visti e visionati da tutti con gli strumenti a disposizione e dopo discussioni sul tipo di brano e il suo contesto, veniva abbozzato in una sorta di prova strumentale. Ognuno svolgeva una propria ricerca esecutiva ed espressiva e quando sentivamo fosse completo e soprattutto funzionale, il pezzo veniva blindato in un arrangiamento definitivo.

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Bruno Piccinnu – Photo by Courtesy of ©️Fabrizio Giuffrida

Da quali autori attingete per ricreare quelle particolari atmosfere e sonorità che evocano, pur mostrando “libertà” negli arrangiamenti, la nostra musica etnica?

Gli autori sono tantissimi e sono quelli che fanno parte integrante dei nostri percorsi musicali. Perciò, non faremo esplicitamente dei nomi, potremo dire che ognuno di noi ha vissuto (chi più chi meno), tutta la musica dagli anni sessanta in poi. I fenomeni rock, blues, jazz e musica d’autore sono stati veicoli importanti verso un confronto con la musica sarda per affermare quest’ultima in un una nuova modalità e con un rinnovato stilema artistico. 

In questo panorama musicale, affiora la musica etnica internazionale e inizialmente i nostri modelli di riferimento sono stati i gruppi del Folk Revival, come Fairport Convention e Alan Stivell e altri di fine anni settanta, ma anche gruppi italiani come Nuova Compagnia del Canto Popolare, Canzoniere del Lazio insieme ad altri. Tutti hanno avuto un ruolo importante nel tracciare una nuova via che sarebbe diventata la musica caratterizzante del nostro gruppo.

Dopo i tre lavori discografici dei primi dieci anni, abbiamo dato molta importanza ai concerti e quindi alla musica dal vivo, producendo un disco live seppur completato in studio. Crediamo che ci siano stati brani, da noi composti, che abbiano avuto tantissime contaminazioni artistiche. Infatti abbiamo cercato di mettere insieme testi di poeti contemporanei della Sardegna con musiche originali, con riferimenti al canto a tenore e in qualche occasione alla musica cosidetta progressiva, utilzzando strumenti musicali non convenzionali. In quarant’anni anni di musica, ci  definiscono ancora oggi, gli “innovatori della musica sarda”, crediamo sia un complimento di cui andar fieri.

Tra i temi proposti si evidenziano quelli legati al sociale e alla complessa contemporaneità, come nelle canzoni degli album Fronteras e Ur, dove accanto al recupero della tradizione, intense emozioni s’intrecciano su narrazioni di sofferenze. Un richiamo, una denuncia. 

Il mondo deve prendere coscienza delle ingiustizie gravi che subiscono gli “ultimi e le popolazioni senza futuro” spesso a causa delle politiche di sfruttamento imposte dai grandi della Terra. 

Noi abbiamo sempre sostenuto associazioni umanitarie, quali Emergency, Amnesty International e altre, che operano in luoghi e territori che sono ai confini del rispetto dei diritti umani ed economici, in particolare Emergency, l’organizzazione italiana che offre assistenza medico-chirurgica gratuita e di elevate qualità alle vittime dei conflitti e povertà, nei teatri di guerra.

Crediamo che il senso civico debba sempre essere presente e vivo. Opporsi alle logiche del profitto a tutti i costi, sia una conseguenza naturale, pensiamo che gli interessi economici dei grandi del pianeta attraverso grandi poteri, siano la ragione che sta portando il mondo verso una via di non ritorno; guerre, consumo sfrenato del territorio, sviluppo tecnologico senza fine, insensibiltà concreta verso i cambiamenti climatici, sono temi che abbiamo sempre usato nella nostra attività musicale.

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Lorenzo Sabattini – photo by courtesy of  ©️Fabrizio Giuffrida 

Il vostro stile musicale oggi è sempre alla ricerca di nuove sperimentazioni vicine al jazz… forse una libertà di espressione musicale che la tradizione non concede?

La prima canzone che abbiamo ripreso e arrangiato è stata “S’ora chi no tt’ido“ di Maria Carta. Un brano che non abbiamo mai inciso, che però nei primissimi anni abbiamo sempre suonato. Nel 1983 abbiamo rielaborato “Dillu” dal testo di Peppino Mereu, a “Nanni Sulis” conosciuto come “Nanneddu”, che sono stati elementi identificativi del nostro progetto musicale. 

Da allora ad oggi,  il nostro repertorio si è totalmente evoluto, con incursioni sonore verso tutta la musica, afro, jazz, rock e altro. Abbiamo creato una sorta di piattoforma musicale in cui convivono elementi della tradizione e modelli totalmente differenti. 

Ci sentiamo privilegiati in questo, poichè a distanza di quarant’anni i nostri concerti sono animati da brani che oggi sono diventati tradizionali, ma anche da altri che hanno proiezioni di grande attualità.

Il fatto che abbiamo conservato il DNA degli stili del patrimonio musicale sardo, ci permette e ci dà la possibiltà di spaziare nella musica a trecentosessanta gradi; naturalmente, a nostro rischio e pericolo. Prevale comunque l’idea che la musica made in Sardegna può essere tranquillamente esportata in tutto il mondo, a patto però che nel conservare le proprie radici venga riconosciuta come tale. In questo siamo stati pionieri e perciò ci sentiamo di percorrere un “working in progress” che ci spinge e ispira in continuazione.

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Sandro Piccinnu – photo by courtesy of ©️Fabrizio Giuffrida

Musicultura World Festival è stato per anni un vostro progetto musicale molto seguito. Si ha nostalgia del Festival di dicembre, quando la diversità della musica etnica si fonde in armonia, bellezza, incontro, confronto, rispetto, condivisione. Si rappresenta quell’energia e forza vitale che solo certe espressioni musicali riescono a trasmettere. E quest’anno il via alla 31 edizione con qualche novità. 

Il progetto Musicultura Sardegna, che ricordiamo è sovvenzionato dalla Regione Sardegna, ci permette di diffondere momenti di scambio culturale ed arricchimento vicendevole con altri paesi: Europa, Africa, Asia,  etc. Ogni evento musicale fa  riferimento alle culture etniche diffuse in tutto il mondo, una scelta verso tutti quegli artisti che viaggiano con l’intento di portare a conoscenza le tradizioni culturali e musicali del proprio luogo d’origine.

Quest’anno vogliamo ricordare che la nostra attività Musicultura Sardegna ha realizzato il festival Finis Terrae in collaborazione con il Comune di San Teodoro a settembre, in cui si sono esibiti: LamoriVostri, una formazione femminile che porta in giro per il mondo la musica del sud Italia  e Kilema, musicista del Madagascar, molto conosciuto e vero ambasciatore della sua terra. 

Il Musicultura World Festival che da un paio d’anni si svolge in forma itinerante, per questa 31° edizione sarà presente a Martis, Olbia, San Teodoro e Straula. Questa nuova formula propone eventi culturali in vari luoghi espandendo così l’offerta artistica per un coinvolgimento più diffuso del territorio. L’intento è proprio quello di rappresentare la musica etnica come fusione di “armonia, bellezza, incontro, confronto, rispetto, condivisione”. 

Quando è nata l’idea di ospitare validi musicisti di ogni parte del mondo?

Come gruppo sentivamo l’esigenza di rapportarci con le istituzioni in forma più programmata, ed  essere più attivi nella nostra attività concertistica. Con il festival avremmo avuto l’opportunità di confrontarci con musicisti provenienti da varie parti del mondo. Creavamo, quindi, un movimento culturale che nel corso degli anni si affermò come il più importante nel suo genere. 

Costituivamo l’associazione tra il 1989 e il 1990 e contestualmente alla sua nascita organizzavamo il primo festival di musica etnica e jazz ad Olbia.

Per noi è stato molto costruttivo perché ci ha permesso di viaggiare e di stabilire contatti con organizzazioni musicali in tutto il mondo e  porre al centro la cultura della Sardegna. 

Un esempio rilevante é stato il confronto con Peter Gabriel che ci ha ospitato nei suoi Festivals,  definiti Womad. E’ stata una grande opportunità avere collaborazioni importanti con musicisti jazz come Paolo Fresu, Antonello Salis e Eugenio Colombo e con altri artisti internazionali di musica etnica: Aborigeni Australiani, Michel Heupel (Germania), Cotò (Cuba), Gilla Haorta (Brasile,) Kilema (Madagascar), Brendan Power (Nuova Zelanda), Ravy (Inghilterra.

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Gianluca Dessì – photo by courtesy of ©️Fabrizio Giuffrida

Avete cantato e suonato con artisti di rilievo nel mondo della musica: Peter Gabriel, Paolo Fresu, Andrea Parodi … Quale artista ha lasciato tracce nella vostra storia musicale?  Quali ricordi? 

Partiamo dai ricordi… Partecipare ai festivals di Peter Gabriel è stata una cosa straordinaria. Gli eventi Womad sono dei passaggi molto importanti per qualsiasi musicista del mondo. Aver fatto parte, in qualche occasione, di quelle manifestazioni internazionali è grande motivo di orgoglio per noi e per la Sardegna. 

Il  confronto musicale con Peter Gabriel è stato molto interessante. Un musicista che ha influenzato generazioni di artisti e ha dato un enorme contributo alla vita stessa della musica etnica di tutto il mondo. 

Andrea Parodi é stato un musicista che ha sempre manifestato grandissima stima nei nostri confronti, con cui abbiamo condiviso progetti artistici e ci siamo esibiti negli stessi palchi. 

Voce di straordinaria intensità e bellezza che come musicista ha saputo  sperimentare nuovi percorsi come pochi. Artista che dal pop si è totalmente avvicinato alla musica etnica sarda e mediterranea.

Paolo Fresu, Antonello Salis, Eugenio Colombo e altri validi musicisti hanno dato un valore aggiunto ad alcune nostre registrazioni e verso i quali nutriamo grandissima stima e riconoscenza. In quarant’anni il nostro percorso è stato tracciato da tantissime collaborazioni con artisti jazz e di musica etnica, cementando la nostra configurazione musicale fino ad oggi.

La musica etnica come patrimonio universale va tutelato. È l’anima della nostra identità. Come evitarne la dispersione?

Crediamo che la musica etnica non si spegnerà mai! Potrà non essere presente nei media, nelle televisioni o potrà sembrare fuori moda, ma pensiamo che  sempre saprà affermarsi in tutta la sua forma, perché fa parte della cultura, dell’anima di tutte le popolazioni. 

La musica in generale, ciclicamente attinge dalla musica popolare, specie nei momenti di crisi identitarie. Certo mai abbassare la guardia, si deve tutelare per la sua potenzialità identificativa e di appartenenza. Spesso la sua  folclorizzazione commerciale può sminuirne il valore. Paradossalmente, una sua intellettualizzazione può rappresentare un nuovo interesse per i giovani, spostarsi dagli schemi di rappresentazioni tradizionali può essere motivo di riscoperta  e ciò potrebbe avvicinarli. 

Pensiamo ai festivals dove la musica etnica può convivere e confrontarsi con generi musicali  più moderni, per cui le nuove generazioni possono acquisire  le conoscenze delle proprie radici. Nei paesi anglosassoni questo succede molto spesso.

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Alan Pattitoni – Photo by courtesy of ©Fabrizio Giuffrida 

La musica è cultura da condividere. Potremo pensare alla musica come veicolo d’idee con una potenzialità immensa quella divulgativa. Rientra nelle finalità del vostro gruppo?

Certamente la musica è cultura da condividere. In particolare quella etnica  rappresenta la vita dell’uomo fin dalla sua nascita, perciò va preservata e divulgata. Noi, come gruppo, abbiamo sempre inteso l’arte musicale come un veicolo d’idee. Spesso i nostri testi affrontano tematiche legate al sociale, all’ambiente,  all’amore e all’armonia tra popoli e contro qualsiasi forma di violenza e guerra. 

Il tema identitario della nostra terra comunque ha rappresentato un motore divulgativo che ci ha contraddistinti. In Sardegna, spesso, veniamo identificati come difensori del nostro patrimonio culturale.

Il Mediterraneo luogo di origine, d’incontri, di eclettismo e di originalità intesa come distinzione. Un luogo a cui voi spesso fate riferimento, che importanza gli attribuite?

Il Mediterraneo luogo e crocevia di culture che si mescolano e si rigenerano da millenni in cui la Sardegna ha avuto la fortuna di ritrovarsi proprio nel suo centro,  mantenendo una sua forte connotazione identitaria e di grande originalità che esprime nel suo immenso e originale patrimonio culturale.

Come gruppo abbiamo scelto di cantare i testi utilizzando  idiomi di questa terra, con la musica invece abbiamo attinto da tutto ciò che offre il Mediterraneo. Nei nostri brani si percepiscono influenze arabe, spagnole, africane.

Questa è la ricchezza culturale che deve essere raccolta e portata avanti nei progetti a largo respiro e con prospettive internazionali.

La musica multietnica può insegnare che la diversità può essere vista come una infinita risorsa. Che ne pensate?

La multietnicità è un valore aggiunto in tutte le circostanze sociali e di vita… Ne siamo fermamente convinti, nella musica poi, le mescolanze, le commistioni di generi musicali,  le condivisioni nelle diversità, sono   forze  autentiche  dal potere  aggregante che hanno generato la musica in tutto il mondo.

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Photo by Courtesy of ©Archivio Cordas et Cannas

Una lunga carriera musicale, negli anni avete mostrato coerenza per linguaggi sonori, per significati e temi proposti. Lo scorso anno avete raggiunto un traguardo importante: 40 anni di musica. 

Sì, abbiamo oltre quarant’anni anni di attività live e siamo la più longeva formazione della worldmusic sarda con un’attività concertistica che ha portato la band in varie parti del mondo: Australia, Stati Uniti, Sud America e Nord Europa. È una sensazione indescrivibile per noi.   

La forza, ci viene trasmessa dal pubblico  come energia  che raccogliamo durante i concerti  dove si crea un contatto diretto con chi ci ascolta. 

Il gruppo esiste ancora, in tutti questi anni, grazie alla gente che lo apprezza e gli riconosce: di aver tutelato le nostre radici identitarie e di aver saputo infondere valore aggiunto alla musica sarda con ricerche su sonorità più  moderne ed internazionali.   

Il nostro percorso musicale è stato un crescendo di melodie e arrangiamenti, strumenti e musicisti. Oggi possiamo affermare che abbiamo saputo mantenere una certa coerenza artistica che ci fa sentire in piena armonia con noi stessi. Naturalmente non spetterebbe a noi affermarlo…

Un ultima domanda per concludere, avete in cantiere qualche nuovo progetto musicale?

Terra Muda è un brano di cui abbiamo realizzato un video, pubblicato sul nostro canale You Tube, nell’estate del 2007. Una canzone che parla della necessità di cambiare strada nell’utilizzo delle risorse del nostro pianeta, ma anche di noi stessi che dobbiamo prendere coscienza per la salvaguardia dell’ambiente, per lasciare un luogo vivibile alle future generazioni. Dal progetto video è stato realizzato un cd con altri brani, che ora suoniamo nei palchi dove ci esibiamo, nella speranza di poterlo pubblicare al più presto. 

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©️Riproduzione Riservata 

 

[Articolo pubblicato il 15 Dicembre 2019 su Olbia.it]

Musica | esplode l’anima del rock con i bravissimi Rock Tales

La Sardegna terra di silenzi, stasi e ripetizioni quasi un riflesso del suo mare, presenta esperienze culturali molto antiche di carattere etnografico. Tra queste le feste patronali che esercitano sempre grande fascino, molto suggestive nei riti  e consuetudini, molto sentite da parte dell’intera comunità; anche se alcuni antropologi sostengono che siano destinate a scomparire a causa del dilagante materialismo culturale, della globalizzazione che implica il concetto di appiattimento, di indifferenza, di atipicità, di disuguaglianza. Ma per noi sardi le radici culturali non sono solo ben impiantate, sono disperse nella roccia atavica e nel nostro mare che lambisce le coste. Sarà difficile sradicarle.

Queste feste un tempo erano momenti in cui prevaleva una sensazione di libertà e leggerezza, di distensione e gioia.  Ci si sentiva liberi di socializzare. Anche i piccoli avevano i loro privilegi: poter giocare e rincorrersi davanti al palco, dove si esibivano gli artisti della serata.

Impegno e presenza

Oggi le feste patronali sono organizzate da comitati spontanei delle comunità, dalle classi o in dialetto gallurese “fidali”, nati nello stesso anno. Le Classi/Comitati provvedono a curare ogni particolare organizzativo come ad esempio ricevono le bandiere del Santo o della Santa di cui ricorrono i festeggiamenti e allestiscono la chiesa, organizzano la processione religiosa, provvedono al divertimento della comunità coinvolgendo artisti, dj, cabarettisti etc…

Il lavoro impegnativo e gravoso nella raccolta dei fondi, nel predisporre tutto secondo i severi parametri della sicurezza non sono inezie, richiedono dinamismo, capacità organizzative e spirito di sacrificio.

Un riscontro di presenza da parte del pubblico dovrebbe esserci per  supportare e condividere chi organizza. Altrimenti sembrerebbe una festa privata, priva del significato primario della condivisione collettiva.

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Courtesy  of Rock Tales

Ma la tramontana ha anima rock?

Con un’aria dal sapore di tramontana sferzante, autunnale, sanamente combattuta con birra, buon vino rosso di  produzione locale, sambuca e del filu ferru (l’elisir di lunga vita della gente sarda)  qualche sera fa abbiamo assistito ad un’esibizione che merita di esser scolpita nella memoria.

Sul palco di Berchiddeddu (frazione di Olbia) in occasione della festa patronale 2019 in onore alla Beata Vergine Immacolata si sono esibiti i Rock Tales, una tra le band più apprezzate della Sardegna, in uno spettacolo avvincente sulla storia del rock, dagli anni ‘50 ai ‘90 del secolo scorso, con parallelismi storici e interferenze nella musica italiana.

Oltre due ore di greatest hits dei più grandi cantanti e gruppi rock della storia musicale, suddivisi secondo decadi, a cui si attribuisce un colore e relativo significato per rappresentare gli elementi più cool della musica del periodo.

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Photo ©credits Antonella Mura courtesy of Rock Tales

Con l’ausilio di uno schermo, dove scorrevano immagini e le caratteristiche del periodo musicale presentato, abbiamo riascoltato canzoni di Elvis, Beatles e del gruppo rivale Rolling Stone,  Jimi Hendrix, Jim Morrison e Doors, Janis Joplin, Deep Purple, e ancora Led Zeppelin,  Toto,  Queen, Nirvana e tanti altri artisti.

In scaletta erano presenti  anche canzoni di cantanti italiani per evidenziare le relative assonanze con la storia del rock: come Celentano, con la sua mitica Svalutation, la PFM, Lucio Battisti, Gianna Nannini, Litfiba, Vasco Rossi. A ciò si aggiungevano i continui riferimenti alla storia socio-culturale dei periodi analizzati  mostrando capacità di sintesi  e  ingegno  divulgativo della band.

 

Il progetto musicale Rock Tales

Il progetto  musicale nasce nel 2013 come storia del rock  dalle sue origini blues degli anni ′50, negli Stati Uniti,   fino agli anni ′90  ovvero la sua evoluzione in rock and roll e altre forme.

Da Johnny B. Goode del musicista americano Chuck Berry del 1958 in cui si parla del sogno americano preannunciato dalla madre di un ragazzo semplice, di campagna che pur non sapendo né scrivere né leggere riesce ad aver successo per il suo talento naturale nel suonare la chitarra.

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Photo ©credits Antonella Mura courtesy of Rock Tales

Era un blues rock di riscatto, con implicito riferimento alla  disuguaglianza e differenziazione delle classi sociali americane e al sogno di giustizia e integrazione della popolazione nera nella società americana. Infatti, il brano originale citava un ragazzo di “colore”, che poi Berry sostituì con ragazzo di “campagna” , per timore che il pezzo non venisse pubblicizzato trasmesso in radio. Il talento che uno possiede prescinde dal colore della pelle. Fu questo il vero significato purtroppo celato.

Poi è la volta del rockabilly, la musica dei bianchi. La canzone di Carl Perkins di cui si fece grande interprete Elvis Presley. Una canzone che in sé sembra non aver significato, mentre se approfondiamo la storia si capisce l’intenzione, forse in chiave ironica: lo sconcerto e disapprovazione di chi vede un ospite di una festa preoccuparsi delle sue scarpe di camoscio blu che erano state calpestate, non curandosi della donna che aveva accanto. Un linguaggio allusivo che sembra volerci suggerire che nella vita bisogna dare il giusto valore alle cose.  Perché preoccuparsi di una  cosa marginale e secondaria? Un paio di scarpe!?

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Photo ©credits Antonella Mura courtesy of Rock Tales

E la storia del rock continua con nuove suggestioni, significati, forme, come ad esempio lo struggente rock acustico o quello elettrico e quello più attuale.

Un immenso progetto musicale che unisce tutti.   Oggi appare  sempre  più apprezzato, anche per la genialità del gruppo che riesce a rinnovarlo: annualmente al tour si aggiungono date e vengono inserite nuove canzoni.

Il gruppo composto da eccellenti musicisti professionisti, – insegnanti di musica della zona di Oristano e Medio Campidano, – ha donato ai presenti uno spettacolo che trasudava saggezza, energia, positività. Ma non solo, anche tanta nostalgia di un tempo che ormai vive solo nei ricordi, insito in quelli che lo hanno  vissuto.  Periodi storico-culturali in cui originalità e creatività non erano concetti ma idee che si concretizzavano, si perseguivano, avvincevano e a volte scioccavano per imprevedibilità e spavalderia. Era rabbia e sete di giustizia, desiderio di riscatto,  pace, vita, e ancora erano armonizzazioni musicali quasi frasi ristoratrici dove l’anima trovava riparo dal caos esistenziale d’insanabile inquietudine.

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Photo ©credits Antonella Mura courtesy of Rock Tales

E ora il gruppo:  voce solista potente (Freddy avrà applaudito da lassù!) quella di  Martino  Mereu, insegnante di canto, voce versatile, fresca, che “spacca” (per utilizzare un termine caro alla cantante inglese Skin, giudice in un talent televisivo), Marco Pinna al basso e voce, GianMatteo Zucca chitarra e voce, Giovanni Collu alla batteria, Alberto “Benga” Floris chitarra e voce.

Non solo musica

Da un punto di vista tecnico confrontandoci possiamo considerarli eccellenti musicisti in armonia, senza individuali virtuosismi (possibili visto lo spessore dei musicisti sul palco) ma equilibrati e attenti a ricreare la giusta atmosfera musicale del pezzo suonato. Sembrerebbe una formazione insolita, per la presenza di due chitarre, atte a ricreare la parte armonica e solista, a supporto della melodia cantata. Tutte le parti armoniche delle tastiere sono state minuziosamente ricreate per chitarra, facendoci dimenticare la loro assenza in brani indelebili della nostra memoria musicale.

I due chitarristi si mostrano affiatati e intercambiabili nelle parti soliste e armoniche. La struttura ritmica viene eseguita dall’eccellente batterista di rinomata esperienza Giovanni Collu, supportata in simbiosi dal bassista Marco Pinna. Vanno inoltre menzionate le perfette armonizzazioni corali del gruppo creando un valore aggiunto  all’esecuzione.

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Photo ©credits Antonella Mura courtesy of Rock Tales

Ma sul palco non è solo canto, è presenza scenica non sguaiata. Ci si diverte e si scherza. Si manifesta una velata ironia. Ora sembra impetuosa, ora ha tinte più delicate. D’altronde tanti affermano che bisogna staccarsi dalle cose, con giusta ironia,  planare dall’alto per capire a fondo situazioni ormai legate al tempo.

Ora ci inducono a pensare con estemporanei quiz o riflettere su parole del passato,  allusioni a  incandescenze di vita sociale al di là di ogni logica, come i conflitti armati e la corsa agli armamenti, la globalizzazione, il materialismo ormai erba infestante, libertà di genere.

La musica diventa “struttura” sociale dove ricollocare il pensiero dell’uomo nel suo percorso. Loro l’hanno raccontata rendendola unica dove le differenze di forma sembrano annullarsi per con/temporaneità.

Oggi pur con forme diverse  permangono i significati. La  musica continuerà ad essere l’espressione più democratica, unirà, azzererà il tempo fino ad varcare la soglia dell’eternità. Dove eterna presenza diverrà una bella emozione. Oggi come ieri.

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© Riproduzione Riservata

All Photos ©credits Antonella Mura courtesy of Rock Tales

 

(Articolo apparso su Olbia.it 08 Settembre 2019)

 

 

Archivio Mario Cervo | Duo Mundi, Intorno al pensare l’amore –

La melodia è l’essenza della musica”, una verità che ripeteva spesso il compositore austriaco Arnold Schönberg. È quella che ci arriva al cuore, insieme all’interpretazione e alla potenza dell’estensione vocale, ancor prima del significato delle parole. Ci “inizia” al pensiero musicale che non nasce dalla sola ragione, né dal sentimento. È una sfumatura d’infinito, un’intuizione presa al volo, quasi un dono, se compresa da chi riceve emozioni dopo aver affinato i sensi, con il linguaggio delle note.

Infatti, la sua struttura non si afferra nell’immediato. In alcuni generi è necessario acquisire le giuste conoscenze per comprenderla.

Un elemento che può valutare è il nostro cuore, oltre alla nostra sensibilità, che ci predispone ad accogliere quelle armonizzazioni secondo la nostra soggettiva categoria del bello. Abbiamo percepito un emozione con brividi sulla pelle? O sentito affiorar lacrime negli occhi? Pochi elementi che possono indurci a pensare che siamo stati baciati da un’emozione.

E se la musica non fosse purezza del sentire, scevra da sovrastrutture, non sarebbe musica! La musica è libertà. La musica arriva oltre i suoi confini.

Ieri sera è giunta in un oasi che emanava nuove energie, per la presenza di rigogliosi e verdissimi alberi da frutto, quasi respiri di colore tra le case. Qui nello  spazio   dell’Archivio Mario Cervo in via Grazia Deledda ad Olbia abbiamo assistito ad un insolito concerto.

È andata in scena la signora âgée della musica: la lirica e la sua complessa e struggente melodia che ha appassionato e coinvolto emotivamente il numeroso pubblico presente.

Un genere musicale oggi riscoperto anche dai giovani. E se i puristi preferiscono  ascoltarla immersi nel silenzio, nei teatri, o in luoghi con una discreta acustica, per carpirne  fraseggi ed emozioni,  oggi si riscoprono luoghi alternativi, più semplici, ma non per ciò meno suggestivi. Nel giardino dell’Archivio Cervo ci siamo addentrati in un “cammino” musicale con tanti bei fiori da cogliere: note,  luoghi lontani dal carattere esotico, periodi storici,  e ancora sentimenti, emozioni, luci e oscurità, in compagnia di grandi compositori, scrittori, poeti. Un grazioso sogno dal quale non volevamo risvegliarci, testimoni i numerosi applausi, a fine esibizione, che hanno visto i musicisti concedere altri due brani. 

Il giardino si é così trasformato in un piccolo teatro all’aperto, dove la natura e il delicato e cangiante canto, tra lirico e drammatico, del soprano messicano Jessica Loaiza, accompagnata dal pianista Francesco Saba, sono stati i protagonisti di una serata che ha dissolto pensieri legati al #contebis e destato emozioni con le celebri arie della più importante tradizione lirica. 

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Nella seconda parte, invece, siamo stati presi per mano in un “viaggio immaginario” su onde musicali di luoghi oltre oceano: Messico, Argentina, per rientrare in Europa, in Spagna e in Sardegna, con brani di importante valore etnomusicale, e per finire in Campania con due famose canzoni della tradizione melodica napoletana ‘Torna a Surriento’ scritta da Giambattista ed Ernesto De Curtis nel 1902 su una traccia del 1894,  e ‘O’ Sole mio’  in lingua napoletana, divenuta simbolo identitario degli italiani, di Giovanni Capurro,  Alfredo Mazzucchi e Eduardo Di Capua.

Il titolo del concerto “Dell’amore e di altri demoni”,   appare come un’eccellente intuizione perché ha racchiuso una selezione di brani di vario genere, ma con un tema eterno,  l’Amore, che non conosce età e trascende dalla nostra “finitudine” di uomini on the road.

Sentimento che spesso travalica verso forme irrazionali e incomprensibili, tiene al giogo e distrugge, crea pena e profondo dolore, smarrisce;  e viene espresso dalle variazioni di colore, estensioni vocali, tonalità, ed altri elementi propri del canto soprano, e dal pianista che sembra giocare abilmente sulla tastiera, ora con note sospese, pronto a creare attesa, ora un pensiero, una carezza, una parola d’addio.

Il Duo Mundi, come si fanno chiamare,  ci richiama alla mente il concetto di  dualità, duo, come unità, come idea d’integrazione, di scambio, di confronto.  Sembra alludere a quell’oltre/confine che può creare nuove sinergie. Due mondi o due universi che si abbracciano e si integrano con leggerezza e armonia musicale: quello italiano più strutturato, classico, con la presenza del pianista sardo Francesco Saba, diplomato al Conservatorio di Musica “L. Canepa” di Sassari, e quello oltreoceano malinconico e più versatile, con il soprano messicano Jessica Loaiza, diplomata al Conservatorio di Musica “Santa Cecilia” di Roma. Un pianista e un soprano che sono riusciti a creare il loro punto di forza dal contrasto e diversità delle loro culture. 

L’apertura spetta al celebre “O mio babbino caro” dall’opera comica di Giacomo Puccini:  “Gianni Schicchi”. Un fiorentino  che nel periodo medievale organizzava burle divertenti, alle volte crudeli, conosciuto da Dante che lo mise nel girone dei falsari nella sua Commedia.  

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Accanto ai delicati virtuosismi della cantante, che modula la voce con maestria, incantando i presenti, vi è un momento introspettivo, delicato, con l’esecuzione del solo pianista  del Notturno n.1 Opera 9 di Frederich Chopin (1810-1849) che esprime tutta la creatività e innovazione della musica romantica, dove al rigore del periodo precedente subentra la delicatezza del sentimento, la libertà di nuove variazioni, giochi chiaroscurali filtrati dal sentire, dalla nuova soggettività che soppianta la dea ragione osannata nel ‘700. Ora la musica aspira ad una nuova libertà interiore.

Altro struggente e celebre Lied “Margherita all’arcolaio” o “Grethchen am spinnrade” del celebre e umile compositore Franz Schubert (1797-1828) che musicò un Lied dal Faust di J. Wolfgang von Goethe, (che mai espresse gratitudine nei confronti del compositore al pensiero che la musica oscurasse le sue poesie).  

L’intensità drammatica è legata all’estensione vocale della cantante in un pathos crescente. Immobili e tesi ad ascoltare, anche noi forse, schiaffeggiati dal dolore di Margherita per un amore fatto di trepida attesa, sospiri, ricordi.  “La mia pace è perduta” recita la prima frase del Lied: la furia dell’innamoramento che scardina certezze. Si vive soggetti all’impulsività e impazienza. Una forza cieca, che rasenta la follia abilmente tradotta in musica da Schubert e dalle parole della prima strofa “la testa mi ha dato volta”. L‘amore, nel suo stadio iniziale é disequilibrio,  instabilità,  un lirico giro di tessitura, in musica.

Gli umori umani tra delirio di onnipotenza e limite umano rivivono nei struggenti Lieder di Schubert. Scuotono e creano varchi nel buio dei ricordi o dei sogni. Si rivivono emozioni sull’orlo di abissi come avrebbe detto Baudelaire, lui che aveva scandagliato anime alla deriva. 

Dal repertorio classico con arie famose da W. Amadeus Mozart e Gaetano Donizetti, si   passa ad abbracci di nuove note con i classici della  musica popolare tra i quali “Bésame mucho” della pianista Consuelo Velasquez, (Messico 1916-2015) testo scritto negli anni ‘40. Una promessa di amore eterno tra le più interpretate e riprodotte del XX secolo.

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E ritorniamo al canto spagnolo, arioso a tratti intrigante con echi arabeggianti  “Très Morillias”, canzone folcloristica  del XV sec.  e ancora “El Vito” del XVI secolo. 

Oltre all’amore, si cantano altri demoni come la fragilità di una donna coraggiosa che ha rivendicato i suoi diritti di donna, stimata dai grandi intellettuali e artisti del periodo in cui visse,  e che conobbe durante i suoi viaggi all’estero: la poetessa svizzera ma vissuta in Argentina Alfonsina Storni, che ammalatasi di tumore scelse di morire nel mar de La Plata. Una toccante interpretazione della cantante con “Alfonsina y el mar” scritta da Ariel Ramirez (Argentina 1921- 2010).  

Il ricordo enfatizzato dalle parole e dalla musica riflette lo stato d’animo del compositore, e in noi spettatori s’insinua nella mente con i suoi devastanti “perché”. Una “follia” causata dall’angoscia e dall’inquietudine che affliggevano l’anima  della poetessa.  La scelta del suo gesto estremo che traduce ‘antichi dolori’ taciuti. Il mare la sua conchiglia di libertà dove fuggire e nascondersi. Una fragilità  radicata nell’estremità oscura del pensiero. Una forza irrazionale che forse necessitava di nuovi colori: amore autentico e  sincerità. 

Verso la fine del concerto tra canzoni messicane e la celebre “Granada” di Augustin Lara del 1932, viene eseguita l’immancabile canto d’amore della Sardegna  “No potho riposare”  di Badore Sini e Peppino Rachel  del 1936, divenuto il nostro canto identitario.

Un programma complesso e articolato che ha messo in luce la più grande verità: il valore universale della musica come dell’amore. Tante riflessioni su questo sentimento che oggi sembra aver smarrito le sue radici che questa sera ha prevalso distendendo animi e celebrando forme di amore non solo verso la propria amata/o,  verso il prossimo,  verso la propria terra e verso la vita.

L’amore possiede un suo slancio creativo, si dona senza condizioni e senza vincoli, si lega al concetto di libertà, di rispetto, di gratuità. 

Si dona.

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[Articolo apparso su Olbia.it, 1 Settembre 2019]