“Twelve ee h s nine” un salto nel tempo in[finito] | In mostra al MAN di Nuoro : Olivo Barbieri –

Olivo Barbieri (particolare)

                                        di lycia mele ligios

“Le fotografie non servono a dimostrare un fatto, ma ad offrire una possibilità. […] La fotografia è la disciplina più vicina alla filosofia. Serve ad argomentare sulla percezione delle cose. E la realtà non è altro che percezione”

                                        Olivo Barbieri

Nuoro, 2 5  g i u g n o – “Twelve ee h s nine” sembrano “parole in libertà” di memoria futurista invece, definiscono il titolo originale e ricercato di una mostra esposta (nell’ultima programmazione) al Museo MAN – Museo d’Arte della Provincia di Nuoro – con sottotitolo “Dolmen e Menhir in Sardegna” di un affermato fotografo italiano: Olivo Barbieri.

Olivo Barbieri (particolare)

Olivo Barbieri,  Orroli 2021 | Courtesy of Museo MAN

Le “parole  in libertà” sono le ore 12, 3, 6, 9, di un orologio che ha catturato lo sguardo del fotografo,  rimasto colpito dalla loro bizzarra disposizione sotto un condizionatore.

Forse, un rimando concettuale al suo progetto espositivo: cogliere nella loro superba e primitiva bellezza elementi di pietra intrisi di storia, ora co[nge]l[a]ti / sottratti al fluire del tempo, privo di linee evolutive spazio-temporali, in cui l’istante si rappresenta nel suo esser-ci adesso.

Non c’è presenza dell’essere umano. Grande assente, viene percepito per le numerose testimonianze del suo operato.

Olivo Barbieri

Olivo Barbieri, emiliano di nascita, è uno tra i più celebri fotografi italiani.  Non avrebbe bisogno di presentazioni. Ma, voglio evidenziare alcune qualità che aiutano a capire nell’immediato la sua personalità curiosa, sensibile, introspettiva, poliedrica e raffinata. In una parola creativa.

Artista meticoloso e prolifico come dimostrano i numerosi progetti e collaborazioni intraprese. Per fare un esempio a soli 30 anni collaborava con un grande della fotografia italiana il mitico Luigi Ghirri.

Infinite le pubblicazioni prodotte che si riconoscono per le vesti grafiche: ricercate ed eleganti. Curioso del “mezzo meccanico” in modo irrefrenabile, tanto da inventare suggestivi esiti fotografici come il (geniale) focus selettivo, o gli innumerevoli studi sul colore dove riesce a ricreare originali rimandi a certa pittura espressionista (fauves).

Manifesta una sorta di inquietudine che si esprime nella libertà delle espressioni visuali, sempre alla  ricerca di nuove declinazioni per trasmettere nei fruitori nuove emozioni.  Innovativo sia negli studi sull’illuminazione artificiale, sia nell’utilizzo del disegno e nelle ricontestualizzazioni di opere pittoriche… I suoi lavori sorprendono come nuove epifanie di realtà. Apprezzato per i suoi lavori che riguardano non solo l’Italia, ma anche la Cina, l’India, l’America  e per le sue esperienze cinematografiche.

Olivo Barbieri Villaperuccio, 2021 | Courtesy of Museo MAN

 

La mostra del Museo MAN

La sua mostra al MAN di Nuoro, – su progetto della Fondazione Sardegna con la collaborazione del museo, a cura di Marco Delogu e Chiara Gatti, –  attribuisce inestimabile valore alla conoscenza e agli studi sulla identità culturale dell’isola.

In questo periodo storico segnato da pandemia, disastri ambientali, guerre, alienazioni sociali, il recupero di segni della storia potrebbe infondere più umanità. E su indicazione del filosofo Gianni Vattimo  “diventa umano la cura di ciò che è stato, dei residui, delle tracce del vissuto”.

Ed ecco una necessità come afferma Tonino Rocca, presidente del Museo, perseguire “un’indagine sul territorio, sulle tracce di un passato sopravvissuto e antropizzato dei luoghi.”

La Sardegna, nell’immaginario collettivo, è sempre stata  identificata con il nuraghe emblema della civiltà nuragica, ben visibile e documentato. A rafforzare ciò la comunità  internazionale dell’UNESCO  ha promosso (dopo l’accertamento di criteri rigorosi)  Patrimonio dell’Umanità il complesso nuragico di Barumini.

La presenza nell’isola di altri megaliti, – forse poco valorizzati, spesso confusi con pietre disposte accidentalmente sul terreno – e come questi abbiano orientato il gusto estetico degli abitanti, ispira il nuovo progetto sui dolmen e menhir.
Espressioni di architettura funeraria (risalenti al neolitico) che alludono a civiltà ben organizzate e con intensi rapporti commerciali.

I menhir, con la loro caratteristica forma di parallelepipedo, sono pietre disposte verticalmente nel terreno (in sardo pedras fittas),  mentre i dolmen elementi architettonici più strutturati a forma di pi greco π con una volta tra i due elementi impiantati.
Presenti  in varie zone della Sardegna, – oltre nell’area del Mediterraneo, con la  Corsica e la Francia, anche in Inghilterra, a dimostrazione della fitta rete di scambi tra le comunità, – spesso “protetti” da vegetazione, questi megaliti suscitano curiosità e interesse non solo alla comunità scientifica che li contestualizza e studia, ma anche a profani (come me) per quell’alone di mistero sui riti di sepoltura, e specialmente, secondo  alcune testimonianze della tradizione orale, per l’energia miracolosa che si sprigiona da queste pietre,  che sembra avere funzione terapeutica. 

Olivo Barbieri, Villa Sant’Antonio Oristano | Courtesy of Museo MAN

Le immagini rimandano  alla bellezza di luoghi incontaminati, soggetti alle leggi di una natura invasiva. Talvolta, il granito sembra  dipinto con “tratteggi”  di  licheni che ricoprono  la superficie della pietra e conferiscono quell’impronta unica che evoca  cromatismi  raffigurati da Arnold Böcklin in alcune sue opere. I colori appaiono ora tenui, ora più vividi per saturazione cromatica.  Spesso i megaliti sono nascosti tra la vegetazione, custode di quei luoghi.  Oppure, mancano idonee indicazioni esplicative.

L’immagine Fonni, 2021 sembra rappresentare un’installazione d’arte contemporanea forse un site-specific? o un’opera di Land Art, o ancora una tela astratta che racconta di mondi interiori legate a rinascite? Pur nel suo lieve accento geometrizzante é pura poesia con una natura che plasma l’unico cartello di legno con la sua irruenza dominatrice, mostrando la sua energia vitale che sovrasta quella umana. Elimina scritture. Ammutolisce chi osserva, ridefinendo il valore sacro del luogo preposto a meditazione e silenzio.

E nell’assenza di scrittura si coglie un monito per l’umanità intera che finge il non-ricordo: la natura può distruggere ciò che l’uomo crea, se non la si cura o tutela.

Olivo Barbieri, Fonni 2021 | Courtesy of Museo MAN

Troviamo sguardi in cui le testimonianze identitarie ataviche sono nascoste, ma nello stesso tempo,  si presentano tracce, rubate alla storia, in contesti privati come giardini, case, ovili, nell’inconsapevole  sacralità che avvolge queste pietre che raccontano di età in(de)finite.

Con Barbieri bruciano domande. “Interrogativi” rimbalzano e deflagrano nella nostra coscienza con tutta la loro forza devastante. Ciò che si percepisce diviene possibilità del far-si. Nel divenire acquisisce verità. Si rivedono situazioni limiti che con interventi adeguati potranno esser goduti dalla collettività?

Siamo lontani dai giochi di colore presenti in altri suoi lavori o da geometrie di volti urbani colti sorvolando con l’elicottero, azzurrità.

Con sguardo diretto, orizzontale la sua adesione al paesaggio è totale. Si fa presenza.  Si immerge, proprio come sosteneva  Serge Tisseron per inquadrare anche un frammento di mondo è necessario innanzitutto “sentirsi presi nel mondo”, in quel mondo che si ritrae.

Barbieri trasmette la sua percezione, quasi volesse farci da guida e noi possiamo assecondare il suo punto di vista e riflettere. Ci offre una possibilità come lui stesso dichiara nell’incipit sopra … in una concertazione proficua.

Integrato nella storia dell’isola, ne coglie l’identità regionale. Proprio lui che ama ricercare con  esattezza matematica il minimo comun denominatore dei luoghi che fotografa, nel palesare di aver assimilato la grammatica di certo linguaggio fotografico ( mi riferisco alle iniziali collaborazioni con Luigi Ghirri) o enfatizzare contrasti che stridono per alterità e richiamano il pensiero a nuove riletture e/o riflessioni.

Diversamente da altri lavori che raccontano di interventi architettonici realizzati dall’uomo, – che mutano, se non stravolgono paesaggi, in questo progetto la natura, con il suo riflesso evolutivo, appare libera, altèra, inafferrabile, egocentrica, dominatrice tra i megaliti, dove lo sguardo sfiora la sua fine ridefinendo l’eternità.

In sintesi non ci sono contrasti socioeconomici, né sensibilizzazione a tutela ambientale. Appare la storia vista da uno sguardo contemporaneo che non aggiunge né toglie. Mostra una percezione di realtà che per il fatto stesso che viene percepita è catalogabile come verità, hinc et nunc nel qui e ora.

Olivo Barbieri, Luras 2021 | Courtesy of MAN 

L’asse verticale, più o meno accentuato e imponente dei megaliti (forse in rappresentanza del ceto sociale di appartenenza o forse del ruolo), coglie certe architetture urbane che per assimilazione ricreano prospetti dalle forme allungate.

Oltre ai monumenti sepolcrali ritratti, più statici, lavorati dalla mano dell’uomo e dagli agenti geo-morfologici, altri protagonisti delle scene bucoliche sono gli alberi nel loro aprirsi e abbracciare l’area che li circonda, che raccontano l’operato dell’uomo come il taglio del sughero nelle maestose querce. Ora l’agire umano, lascia segni vividi che solo il tempo attenua. E la scrittura di luce suggella l’istante nell’annodare storie e memoria.

Una riflessione su cui soffermarsi potrebbe esser la durevolezza/solidità dei materiali vs. la caducità della natura. I megaliti sono integrati nel contesto, si mostrano per quel che sono. La natura presenta la sua fragilità nel mutare e nel suo esser inafferrabile. Un riflesso della natura umana?

La luce è quella del sole allo zenit, che rende nitide le immagini. Di trasparenza cristallina. Non c’è alcun elemento che rifletta un dramma. È la raffigurazione di un realtà che avvolge i sensi e infonde potere evocativo alle immagini. Infatti, è possibile percepire il profumo di macchia mediterranea, di terra brulla, arsa dal sole, di ovili, di bestiame che trova riparo all’ombra degli alberi. Assenze percepite da chi conosce quei luoghi che distinguono voci di natura come i grilli che friniscono indisciplinati o che danno forma al silenzio quando sentono i passi dell’uomo sul loro sentiero.

Olivo Barbieri esula da interpretazioni, esegue la commissione come un progetto di fede. Si pone come un ricercatore colto, vuole offrirci emozioni, richiamare sentimenti. Conosce l’isola più di noi sardi. Crea disincanto. E lascia una consapevolezza che già si possiede, ma qui si rimarca: la diversità e ricchezza ancora nascosta della nostra bellissima terra.

“È in te,

spirito mio,

che misuro

il tempo”

Sant’Agostino

©️Riproduzione Riservata

 

 

 

 

Museo MAN Nuoro | Tradizione e avanguardie negli arazzi dello Studio Pratha –

Arazzo Studio Pratha (particolare) All you need, 2022

« I tempi iniziali di tutte le arti sono i più ricchi di poesia, perchè è fatta di primitività e non di esperienza […]  Ogni linea, come ogni forma è un miracolo. Mistero dell’arte. Le linee amano lo spazio, creano dei ritmi, logicamente delle funzioni. Sono immense, autorevoli invitano i nostri occhi a disperdersi tra il susseguirsi di linee, forme e colori. »

Atanasio Soldati

Nuoro | Giugno 2023 – Atanasio Soldati,  pronuncia queste frasi per descrivere la natura delle sue ricerche espressive, segnate da un’intuito creativo non più legato alla rappresentazione della realtà.

Correva l’anno 1935 e l’Italia viveva un irripetibile fermento creativo di respiro europeista. L’arte mutava significati e forme.

Ho citato quelle parole perché ho colto il  linguaggio estetico degli arazzi dello Studio Pratha.

Finalmente sono riuscita a vederli. Sembrava che il tempo avesse ceduto il passo al suo eterno fluire.

Studio Pratha Foto EllEmmE

Courtesy of  Studio Pratha | Museo MAN Nuoro

Lo Studio Pratha è un centro di tessitura a telaio che promuove raffinate sintesi estetiche e mostra di aver assimilato e reinterpretato varie declinazioni e ricerche espressive dell’arte moderna, secondo quella “trasversatilità” (cara a Philippe Daverio) di cui é capace il pensiero umano.

Nasce a Nuoro nel 2017 da un’idea di Graziella Carta, che con capacità imprenditoriale, sensibilità estetica e creativa coinvolge in questo progetto alcune tessitrici del piccolo borgo di Sarule, paese collinare nel cuore della Barbagia.

Donne depositarie di complesse procedure dell’antica tradizione tessile: filano, colorano con prodotti naturali, intrecciano lana di pecora sarda con estrema precisione e accuratezza.  Utilizzano l’antico telaio verticale che “suonano” a quattro mani per una resa espressiva più intensa, con giochi di colore:  esiti cromatici   pulsanti che avvolgono sensi e anima. Un ritmo che definisce il vuoto creativo che per magia apre all’immaginazione e a nuovi pensieri.

Tra gli artisti che hanno realizzato disegni, – legati all’informale, – per i centri di tessitura artigianale, svincolati da patterns  tradizionali, ricordo per la sua originalità creativa Mauro Manca  (1913-1969) che,  – come ricorda Giuliana Altea nell‘opera Tessuti – Tradizione e innovazione della tessitura in Sardegna – “traspone nel tessuto le ricerche che contemporaneamente va conducendo in pittura: nei suoi tappeti troviamo energici tralicci neri su fondo bianco, […] effetti di dripping o di sovrapposizione e “cancellazione” di strati successivi di colore”.

Mauro Manca | Tappeto in lana, Aggius, 1959 | Collezione ISOLA

Accanto a questo progetto avanguardistico  (con rimandi all’espressionismo astratto di Jackson Pollock) Manca coltiva la sua idea di tutela della tradizione seppur rinnovandola. E, proprio per le tessitrici di Sarule, realizza alcuni disegni dove accanto alle caratteristiche tessili del  luogo (le righe)  inserisce elementi innovativi quali la luna e le stelle, accenti simbolici di certa tradizione esoterica.

Oggi, in continuità con l’idea rivoluzionaria di Mauro Manca, che aveva ben compreso come rielaborare la tradizione trasferendovi l’essenza del contemporaneo, l’attenzione agli arazzi dello Studio Pratha – che al momento si possono vedere in una mostra al MAN di Nuoro dal titolo “Pratha – Trame e geometrie”, fino al 25 Giugno, – da parte di operatori e istituzioni museali, nazionali e internazionali,  penso sia da ricercare nelle  suggestioni e corrispondenze che si sviluppano tra queste opere, la tradizione locale e certe tendenze artistiche d’avanguardia che nell’attuale esposizione sono legate all’astrattismo geometrico della prima metà del secolo scorso.

Infatti, distinguiamo esiti del Bauhaus – scuola tedesca d’arte e mestieri, – dell’astrattismo geometrico sviluppato dal Gruppo Como: Mario Radice, con le sue opere più spirituali, nella sua costante ricerca di proporzioni armoniche legate all’idea del divino o di Manlio Rho, Carla Badiali e tanti altri.

Artisti che in rottura con la tradizione, attribuivano nuovi significati a forme e colori con  linguaggi estetici rigorosi, alla ricerca di quella perfezione/verità che inesorabilmente sfugge, legati ad indagini soggettive,  più intime e spirituali.

È innegabile la prima emozione: appena si scorgono le opere appese alle pareti del museo, si viene travolti da una vibrante energia: una cascata di puri colori, intensi, accecanti. Come se d’improvviso, camminando sulla battigia, veniamo trascinati via da onde impetuose.  Una sensazione incredibile. La stessa che provai quando vidi per la prima volta le tele di Jackson Pollock. Tra colore e gestualità. Rimasi ipnotizzata. E  poiché sono opere allover non sapevo più dove guardare. Percepivo solo attrazione per la pluralità di segni e colori. Immaginavo Pollock immerso in una danza tribale che allontanava la sua inquieta malinconia e con le sue bacchette/manici dei pennelli gocciolava vernice sulle tele disposte per terra. Opere immense. 

Dopo il primo momento legato al colore, il rimando è stato al laboratorio di tessitura della scuola Bauhaus. Istituzione fondata a Weimar nel 1919 dall’architetto Walter Gropius, anche se ebbe altre sedi in varie città tedesche. prima della sua chiusura nel 1933.

Nata dalla fusione dell’Accademia di Belle Arti con la Scuola di Arti Applicate, vi si svolgeva la didattica per una  preparazione tecnica, a cui seguiva una creazione artigianale finalizzata ad una produzione industriale.  Contrariamente allo Studio Pratha,  dove la creatività si fonde con la progettualità stessa degli arazzi che sono pezzi unici.

Studio Pratha | foto ©️EllEmmE

New Bauhaus 2022 180×157 cm | Arazzo, Lana di pecora sarda Courtesy of ©️Studio Pratha | Museo MAN Nuoro

L’opera New Bauhaus, 2022 , mostra su una campitura chiara, una resa di trasparenza, una asimmetria armonica in una composizione di figure geometriche realizzate con colori primari, colori simbolo utilizzati da tanti artisti, tra i quali Piet Mondrian nelle sue ricerche neoplastiche a completamento della sua visione geometrico-matematica del mondo di cui cercava di coglierne l’essenza.

Guardando gli elementi di questo arazzo, si può evidenziare una certa staticità.  Le figure sembrano sospese. Galleggiano. È presente una certa profondità di campo (assente nelle opere di Mondrian) che si evince nelle ombre riprodotte; e forzando i significati si nota una relazione. Infatti, le cornici teoriche, sono composte da rette (perpendicolari) che s’incontrano, creando angoli retti.  Quindi comunicano. Sono unite.  Accanto, l’idea di un rettangolo aperto, senza chiusura o barriera che potrebbe alludere a disponibilità, accoglienza. Allusioni  etiche.  Forse inclusione? Una diversità che va com/presa, pur nella unicità e promuove nuove sintesi?

I due semicerchi (con diametro rivolto al centro) uno situato nella parte inferiore, in prossimità della terra, mentre quello blu, rivolto verso l’alto, un riflesso del cielo, con la presenza di un triangolo sulla sinistra, a cui si può attribuire un valore spirituale, – sembrano delimitare e avvolgere, con le loro semi-circonferenze, le figure centrali, quasi ad aspirare a una conciliazione tra forme geometrico-spaziali, ovvero l’arte, e il contenuto sociale del manufatto quindi il lavoro delle tessitrici, che realizzano trama e ordito, segni dell’agire umano, segni di vita.

Viene superata la ricerca di Mondrian tra arte e vita che nelle sue griglie tentava di raffigurare una conciliazione, un’integrazione.

In New Bauhaus, si può  notare un elemento che diversifica: la striscia verticale composta da due rettangoli allungati identici. Posti in continuità. Una perpendicolare, una via di unione alto-basso che sembra procedere oltre l’opera, tra cielo e terra. Forse una chiave di lettura dell’arazzo potrebbe essere che l’arte è essenza della vita, l’una rimanda all’altra. Necessarie per dare senso e contenuti all’esistenza, si alimentano reciprocamente instillate quali parti di una stessa anima, da un essere superiore.

Ecco perché in questi arazzi si percepisce una forte tensione spirituale che rimanda ad un’approccio meditativo, accanto ad una ricerca espressiva e sensibilità estetica per scelte cromatiche e forme geometriche.

Labyrintus 4, 2022 | Arazzo Lana di pecora sarda  | Courtesy of Studio Pratha Museo MAN Nuoro

Nell’opera Labyrintus,  2022, si rappresenta un percorso, con elementi disturbanti ripetitivi, problemi, superamenti, ricadute. Rettangoli e quadrati, alcuni strappati, sfilacciati, incompleti. In posizione centrale è raffigurato un quadrato nero a cui tutto sembra tendere in un movimento rotatorio. Un vuoto che crea distacco, ma che ha il potere di illuminare. La profondità è creata dalla disposizione dei rettangoli; allungati, sottili, alcuni con graziosi patterns decorativi, quasi barriere, come pezzi di nastro adesivo, in una struttura armonica. Nulla è casuale, tutto è consequenziale, elementi di sutura per unire  parti che altrimenti si perderebbero ma che risultano essere  funzionali.

Se forziamo il concetto  di sutura tra i rettangoli si potrebbe evocare l’idea di unione, interrelazione quindi collaborazione. Forse l’esperienza lavorativa che vivono le tessitrici, in cui gli arazzi nascono da una coralità di idee, una sinergia che é la forza  stessa del gruppo?

Altro riferimento ci viene dato dall’espressionismo astratto. E, tra le varie teorie dei colori  qui ricordo quella di Hans Hofmann, esponente di questo movimento americano, che se avesse visto le figure geometriche presenti  negli arazzi dello Studio Pratha le avrebbe definite “superfici pulsanti e luminose che emanano una luce mistica”. Quindi esseri viventi. Il cromatismo, quale espediente espressivo, sembra  riuscire  ad infondere lo spirito vitale. 

Dedalo 3, 2022 140×140 | Arazzo lana di pecora sarda | Courtesy of ©️StudioPratha | Museo MAN Nuoro

Guardando l’arazzo  Dedalo 3 si può percepire un leggero movimento, secondo la teoria  push/pull di Hofmann per la quale alcuni colori “spingono” fuori, emergono, mentre altri sembrano “tirare”, penetrare, allungare lo spazio visivo. Creare distanza.

Particolare Dedalo 3, 2022 ©️Studio Pratha

E precisamente i colori cosiddetti caldi, che si associano  alla luminosità del giorno, quindi il giallo, il rosso, l’arancione…spingono verso di noi, nel nostro spazio visivo. Hanno potere attrattivo. Mentre i colori freddi, legati all’oscurità e alla notte il blu, il marrone, il viola, sono distanti, si allontanano dai nostri occhi. Sono più discreti, meno invasivi. Pacati. Distensivi.

E dall’accostamento dei colori si crea movimento proprio perché il colore riflette sfumature diverse. Vibra.   Avvolge i sensi. Coinvolge. E permette di respirare quell’aria mistica di cui Hofmann parlava.

Rigore e logica mod. 4d, 2022 180×75 | Arazzo lana di pecora sarda | Courtesy of ©️Studio Pratha ! Museo MAN Nuoro

L’opera Rigore e logica,  2022,   mostra un armonioso equilibrio di colori, forme, segni,  in cui è ben visibile la tridimensionalità. Se si guarda con atteggiamento contemplativo,  liberando la mente dai pensieri, si può percepire.

Abbiamo sezioni di colore e strisce nere e bianche, percorsi che si intersecano, collegano, delimitano. Forse si raffigura  la società nella quale si vive? Che ha smarrito queste due categorie: rigore e logica? O riflette l’attuazione dell’opera stessa, tra il rigore della progettazione e la sua realizzazione al telaio, in cui tutto è consequenziale – secondo una linea evolutiva – con la compresenza dell’elemento della tradizione, le righe, che formano il piccolo quadrato?

Avrei desiderato approfondire, poiché non è possibile, spero almeno di aver  suscitato in voi la curiosità di visitare il MAN per vedere questi bellissimi arazzi. Posso solo aggiungere che la vera essenza dell’arte é riposta nell’anima di chi crea.  Lì, dove confluiscono, in ordine sparso, come fogli di libri gettati al vento. Alla rinfusa. Segni del passato e presente. E tra ricordi, cristalli preziosi della memoria, si r/accorda la contemporaneità. Proprio come gli arazzi realizzati  dallo Studio Pratha, in un alone di sincretismo « magico »,  per quella capacità di sintesi mostrata facendo confluire, con delicato lirismo,  tradizione e avanguardia.

©lyciameleligios

#ConnessioniInventive | Il filosofo Giovanni Leghissa parla di vincoli e libertà

“La filosofia è tornata nella piazza” scrive su “Aut Aut” la filosofa Laura Boella e si può trovare anche in “cucina” sotto forma di ottima “ricetta” per lo spirito.

La filosofia sembra essersi alleggerita del suo status “inafferrabile” e oggi si riscopre quale “strumento“ di trasformazione interiore, di terapia per l’anima. Ma non solo. Sembra scalpitare dal desiderio di vivere non più al margine, ma “dentro” il sociale.

Con valenza metaforica appare il celebre dipinto di Michelangelo, il Giudizio Universale della Cappella Sistina, dove Dio sfiora il dito di Abramo per donargli intelligenza.

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Particolare dal Giudizio Universale di Michelangelo – Cappella Sistina 

Anche la filosofia vuole prendersi cura dell’uomo. Trasmettergli mezzi necessari alla sopravvivenza in questo periodo dove l’incertezza, lo smarrimento, la sofferenza tracciano il silenzio surreale delle città deserte.

E domani 16 aprile, alle ore 11, in diretta streaming sul canale Facebook e Instagram del Museo MAN di Nuoro (@museoman) e ICA di Milano (@ica_ milano) il filosofo Giovanni Leghissa professore del Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino, redattore di “Aut Aut” e direttore della rivista di filosofia on line “Philosophy Kitchen” parlerà di alcune tematiche molto attuali: “Il vincolo e la libertà”.

La lecture rientra nel progetto Connessioni Inventive – domani al secondo appuntamento  – a cura di Luigi Fassi direttore del Museo MAN della Provincia di Nuoro e Alberto Salvadori direttore di ICA, Istituto Contemporaneo per le Arti  di Milano.

In un momento in cui tutti siamo obbligati a #stareacasa,  il progetto #connessioniinventive promuove conoscenza umanistica con autorevoli voci della nostra cultura e riabilita la funzione dei social quali validi strumenti di diffusione del sapere.

Si parlerà dei vincoli a cui è soggetta l’azione umana: quello biologico in quanto l’uomo è parte della specie animale,  e quello istituzionale/organizzativo che vede ogni individuo muoversi tra spazi strutturati con regole, consuetudini; e altri, determinati da norme morali.

La domanda d’indagine ruota attorno allo spazio che resta a disposizione dell’uomo affinché possa crearsi una sua esistenza in modo libero e autonomo, senza altre ingerenze. Si parlerà di desideri, di pulsioni per giungere a focalizzarsi sulla libertà.

Se impossibilitati a seguire la lecture in streaming si potrà vedere nel canale You Tube Connessioni Inventive.

Lycia Mele Ligios

©️Riproduzione Riservata

MAN | Arte Sarda nei nuovi percorsi espositivi : Anna MARONGIU e Collezione Permanente

Nelle ultime stagioni espositive, il Museo MAN  ha approfondito il ruolo della Sardegna, crocevia nell’area mediterranea,  “di flussi culturali, sociali e politici”.  Oggi propone due nuovi percorsi museali per riallinearsi a quello spirito che da sempre lo contraddistingue e che possiamo sintetizzare con due parole: indagine/ricerca e valorizzazione, metodi che hanno permesso di implementare la collezione permanente e promuovere opere di talentuosi artisti sardi.

Assistiamo, dunque, ad un nuovo sguardo sulla contemporaneità per mezzo di quel passato che ci definisce, delinea la nostra identità culturale e ne segna l’evoluzione estetica con due mostre dedicate all’arte sarda del Novecento.

La prima, un’importante retrospettiva a cura di Luigi Fassi,  con opening venerdì 8 novembre 2019 fino a domenica 1 marzo 2020, su Anna Marongiu (Cagliari 1907 – Ostia 1941), una grande artista scomparsa prematuramente a soli 34 anni, che ha lasciato un interessante corpus di opere, nonostante la vita abbia reciso troppo presto i suoi sogni.

Anna Marongiu per Il Circolo Pickwick – Courtesy Museo MAN

In esposizione avremo tre cicli di illustrazioni dedicati ad alcuni capolavori della letteratura inglese e italiana: la serie completa delle tavole di Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare del 1930, le illustrazioni de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni del 1926 e le tavole de Il Circolo Pickwick di Charles Dickens  del 1929.

L’elemento più prezioso della retrospettiva è  quest’ultima serie di tavole provenienti dal Charles Dickens Museum di Londra. Esposte per la prima volta in un istituzione museale, dopo ben novant’anni dalla loro realizzazione. Per la gioia di grandi e piccini, le 262 tavole realizzate a inchiostro e acquarello raffigurano le scene e i protagonisti del primo romanzo, capolavoro della letteratura inglese, che il geniale Charles Dickens scrisse nel 1836 “The Pickwick Papers”, pubblicato in fascicoli secondo la consuetudine del tempo.

Oltre all’esposizione è possibile vedere un breve docufilm  sull’artistarealizzato dal MAN e Film Commission Sardegna in collaborazione con il Charles Dickens Museum – con la regia di Gemma Lynch.  Inoltre, correda la  mostra il catalogo edito da Marsilio Editore.

Anna Marongiu

Ma chi era Anna Marongiu? Un’artista molto riservata, come si racconta. Devota alla sua arte, al suo disegnare. Era una persona curiosa e attenta alla realtà che la circondava. Grande osservatrice dei caratteri umani che traduceva in segni definiti, precisi, puliti.

Nelle sue delicate e raffinate illustrazioni,  ogni tratto sembra scorrere fluido senza incertezza,  legato al successivo con una straordinaria lucidità e immediatezza del gesto, del segno, per risultati equilibrati, armonici.

Una plasticità ricercata con resa tonale ben sfumata. Capace di penetrare l’animo dei personaggi raffigurati, si mostra abile nell’introspezione  psicologica sì da definire paradigmi caratteriali del genere umano che traduce con vigore espressivo. L’immediatezza visiva coinvolge e chiarifica le minuziose descrizioni dello scrittore e come per magia ci si ritrova protagonisti del racconto. 

Anna Marongiu si forma presso l’Accademia Inglese di Roma.  Ma fin da subito mostra “grande capacità di sperimentazione alle molteplici tecniche come il disegno, l’acquaforte, l’olio, il bulino. Il suo registro linguistico, caratterizzato da una forte espressività del segno, si muove tra l’umoristico e il drammatico, il comico e il mitologico, trovando originalità e vigore in tutte le tecniche da lei adoperate”.

La Galleria Palladino, importante centro d’arte di Cagliari, ospitò una sua prima mostra personale che in seguito le permise, nel 1940, di partecipare  alla Mostra dell’incisione italiana moderna di Roma.

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Anna Marongiu per Il Circolo Pickwick – Courtesy Museo MAN

Sorprende come oggi questa artista fosse un po’ dimenticata. Purtroppo sembra un destino comune a molti. Ancora tanti gli artisti sardi,  con linguaggi espressivi originali che meritano di esser  valorizzati.

L’ombra del mare sulla collina

La seconda mostra – che inaugura l’8 novembre 2019 ma termina domenica 12 gennaio 2020,  a  cura di Luigi Fassi e Emanuela Manca  presenta un titolo di evocazione surreale che vagamente potrebbe ricordarci l’eccentrico ma incantevole artista Salvador Dalì “L’ombra del mare sulla collina”,  vede esposte alcune opere della ricca e poliedrica Collezione Permanente del MAN tra disegni, pitture, sculture e film.

Il percorso espositivo ricostruisce le vicende artistiche del Novecento sardo attraverso alcune opere, tra le più rappresentative della collezione, e prosegue fino al presente instaurando uno stretto dialogo con diversi autori contemporanei.

La mostra prende nome da un’opera di Mauro Manca (Cagliari 1913 – Sassari 1969), – artista brillante, poliedrico, inquieto, – che segna un preciso momento storico del secondo dopoguerra, quando anche la Sardegna sembra aprirsi  ai linguaggi dell’arte moderna.

 

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Mauro Manca, L’ombra del mare sulla collina, 1957 – Courtesy Museo MAN

L’eterogeneità della storia artistica sarda, si palesa in confluenze e rimandi tra i vecchi linguaggi legati alla tradizione e quelli innovativi più vicini alle nuove forme sperimentali più spirituali, più introspettive, tese verso l’astrattismo. 

In esposizione le vedute di interni di Giacinto Satta e le nuove acquisizioni di Aldo Contini, Anna Marongiu e Mario Paglietti. Inoltre, avremo in mostra opere di artisti dai differenti linguaggi espressivi, divenuti figure chiave della scena artistica sarda: Edina Altara, Italo Antico, Antonio Ballero, Alessandro Bigio, Giuseppe Biasi, Giovanni Campus, Cristian Chironi, Francesco Ciusa, Giovanni Ciusa Romagna, Delitala, Francesca Devoto, Salvatore Fancello, Gino Fogheri, Caterina Lai, Maria Lai, Costantino Nivola, Rosanna Rossi, Vincenzo Satta, Tona Scano, Antonio Secci, Bernardino Palazzi.  A loro il merito di aver elaborato quei codici espressivi caratterizzanti l’arte dell’isola nel secolo scorso, creando contaminazioni presenti in alcuni artisti contemporanei.

Vogliamo, infine, ricordare le parole di una grande collezionista, Peggy Guggenheim: “sostenere e promuovere l’arte e gli artisti è un dovere morale” imprescindibile. L’arte è vita. Un riflesso della società che allude a conoscenza, delinea nuovi percorsi, suggerisce nuovi sguardi/idee.  Lodevole l’impegno delle istituzioni museali o fondazioni private  che promuovono  e valorizzano ciò che il tempo talvolta sembra occultare.

 

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©Riproduzione Riservata

(Articolo apparso su Olbia.it il 27 Ottobre 2019)

 

 

 

 

 

Sardegna | Intervista a Luigi Fassi Direttore del MAN_Museo: l’isola al centro e l’urgenza di condividere cultura

In un clima di fermento culturale per le numerose mostre, ormai diffuse capillarmente in tutta la Sardegna, abbiamo intervistato Luigi Fassi,  direttore del MAN, per conoscere lo stato dell’arte contemporanea nell’isola e le novità della nuova stagione museale.

Luigi Fassi, succeduto nel 2018 a Lorenzo Giusti alla guida dell’istituzione sarda sembra sia riuscito ad implementare visibilità al piccolo museo investendo sulle relazioni, sulla comunicazione e promozione, – merito di un efficiente ufficio stampa, – e  naturalmente su una ricerca estetica e cifra stilistica a tutto tondo:  figurativo, astratto,  scultoreo fino a linguaggi più innovativi come quelli multimediali,  che gli hanno permesso di inserire la Sardegna nel circuito internazionale dell’arte contemporanea.

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Courtesy Archivio Museo MAN ©Confinivisivi

Oltre ad essersi rivelato un direttore intuitivo, si è mostrato dinamico e competente nell’accogliere sempre nuove sfide, nella capacità di diffondere messaggi culturali e farli apprezzare.

Siamo riusciti ad intervistarlo prima della partenza per il Brasile per importante simposio sull’arte contemporanea.

Direttore è reduce da un opening a New York: una mostra legata al MAN con le opere di Sonia Leimer, un’artista di rilievo nel mondo dell’arte contemporanea. Ci vuole parlare del progetto e del significato che assume per il Museo Man?

Nel 2019 il MAN ha accompagnato l’artista italiana Sonia Leimer alla vittoria del quarto bando dell’Italian Council (promosso da MiBAC) con il progetto Via San Gennaro, assieme al centro di arte contemporanea International Studio and Curatorial Program ISCP di New York. A settembre di quest’anno, da pochi giorni si è inaugurata la mostra personale dell’artista all’ISCP e nell’autunno del 2020 la mostra giungerà al MAN – arricchita da una residenza dell’artista in Sardegna (in collaborazione con la Film Commission).

Nel frattempo, a gennaio 2020 uscirà un catalogo monografico su Sonia Leimer, sempre parte del progetto Italian Council, edito da Mousse Publishing e realizzato dal MAN e dall’ISCP di New York.

Per il MAN si tratta di un progetto molto importante. Come da norma dell’Italian Council le opere prodotte dall’artista entreranno infatti nella collezione permanente del MAN, che così continua un periodo intenso di crescita della propria collezione, soprattutto tramite donazioni. Una parte di questi nuovi ingressi è di artisti non sardi e questo è un elemento importante di sviluppo del MAN, una traccia visibile del lavoro istituzionale svolto con le mostre.

Nei prossimi mesi il MAN intende proseguire il supporto alla scena artistica italiana contemporanea anche con una seconda, ulteriore candidatura al bando Italian Council appena inviata.

Lei viene dal Festival Steirischer Herbst (Autunno Stiriano) di Graz. Quanto ha inciso il bagaglio esperienziale acquisito al festival di arte contemporanea sul suo approccio lavorativo al Man di Nuoro?

Lavorare al Festival di Graz è stata un’esperienza fondamentale in quanto incentrata sulla committenza diretta agli artisti di nuove opere e la necessità di seguire tutta la filiera di produzione, avendo un’intera città e una regione, Graz e la Stria, a disposizione come luoghi di riferimento.

Ogni anno il Festival, infatti, si reinventava, invitando artisti a entrare nel vivo del territorio, affrontandone tematiche e peculiarità. La produzione di nuove opere è un tema decisivo oggi tanto per gli artisti che per le istituzioni e ho voluto portare questa priorità al MAN, dove abbiamo avviato progetti di committenza, già dall’autunno del 2018, con le personali di Dor Guez e François-Xavier Gbré.

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Courtesy Archivio Museo MAN ©Confinivisivi

Da esperto di direzione museale e da grande conoscitore delle dinamiche legate ai flussi d’arte contemporanea internazionale, qual è secondo lei lo stato dell’arte in Sardegna? 

La scena artistica istituzionale in Sardegna è vivace, penso ai Musei Civici di Cagliari e a tutto il lavoro che svolgono (citerei ora la bellissima mostra di Arte Povera organizzata da Paola Mura), oppure la Fondazione Nivola, con il suo impegno a studiare la straordinaria figura di Costantino Nivola, e il Macc di Calasetta. Un lavoro notevolissimo per qualità e quantità è portato avanti anche dall’Associazione Cherimus a Perdaxius.

Quali artisti sardi preferisce e perché? Sembra che ci sia un ritorno al figurativo. Condivide?

Credo sia necessario continuare un lavoro di ricerca storica e allo stesso tempo guardare alla vivacità della scena contemporanea. Diversi artisti sardi si stanno muovendo tra il territorio di origine e il mondo globale e ve ne sono di sicuro interesse e avvenire. Penso ad esempio a Montecristo Project.

Ora focalizziamoci sul termine “museo aperto”, di cui lei è un grande sostenitore, tanto da far soggiornare qui artisti di varie nazionalità. Che significato ha per lei (o in generale) la residenza d’artista e quali finalità si pone?

Il progetto di residenze d’artista che abbiamo avviato in collaborazione strategica con la Film Commission Sardegna ha un ruolo importante nell’attività del MAN ed è finalizzato a valorizzare il ruolo della Sardegna come territorio privilegiato di ricerca e produzione per artisti internazionali, guardando con particolare attenzione al mondo del Mediterraneo. La Sardegna è un immenso archivio di ricerca sul mondo mediterraneo e per gli artisti che concepiscono la propria attività come forma di pensiero complesso, è proprio il mondo del Mediterraneo insulare a presentarsi quale luogo particolarmente ricco di suggestioni per il loro lavoro e ricco di formidabili strumenti di lavoro. A Nuoro e in regione ho trovato in tal senso alcuni archivi eccezionali, dall’Archivio di Stato a quelli dell’ente etnografico regionale, l’ISRE, sino alle biblioteche e a fondi privati. Enti e risorse con cui stiamo mettendo in contatto diversi artisti per permettere loro di sviluppare ricerche e produzioni.

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Courtesy Archivio Museo MAN ©Confinivisivi

Parliamo di economia e cultura. Si parla di soft economy legata all’attività museale: fa bene ai territori, tutela il patrimonio artistico e diffonde cultura identitaria.

In Sardegna c’è ancora tanta strada da percorrere, come si potrebbe intervenire?

Si tratta innanzitutto di convincersi che la Sardegna non è ai margini ma al centro del motore della maggior parte dei cambiamenti del nostro tempo in Europa, il Mediterraneo. E che i tesori della Regione, dall’archeologia alla cultura contemporanea, sono poco valorizzati, alcuni addirittura completamente invisibili. Il Distretto Culturale del Nuorese cui noi fortemente aderiamo, sta operando un lavoro brillante per far conoscere tutta la varietà dell’offerta culturale della Provincia di Nuoro e occorre andare avanti con ambizione, superando gli ostacoli dei mille campanili tipici della cultura italiana e anche sarda.

Affinché una struttura museale resista nel tempo, quali elementi dovrebbe possedere?

Una struttura museale vive del rapporto con il proprio territorio e con i propri visitatori, reali e potenziali, in una logica di servizio e di continua offerta. Oggi a ben vedere, una percentuale molto alta nell’occorrenza della parola “Nuoro”, ma anche “Sardegna”, nei giornali nazionali e nella stampa internazionale è legata al MAN, in occasione non solo di recensioni di quotidiani e riviste di settore, ma anche di itinerari turistici per i mesi estivi e focus di scoperta del territorio della Sardegna pubblicati dalla stampa specializzata in turismo e cultura. Questo significa che oggi il MAN è un landmark territoriale, un museo che trasmette un messaggio e un’immagine che include al suo interno buona parte della regione. È una responsabilità civile che il museo ha assunto in modo crescente nei suoi due decenni di attività: quella di interpretare un ruolo guida nell’innovazione sociale e culturale all’interno della provincia di Nuoro e della Sardegna.

Sta per concludersi l’esposizione della stagione estiva: la delicata e malinconica mostra sulla Sardegna del grande artista e fotografo Guido Guidi, celebrata anche dal Financial Times. È possibile conoscere qualche dato qualitativo sui visitatori? 

Ci apprestiamo a chiudere la rassegna stampa prodotta in questi mesi di mostra, e sta assumendo la forma di un dizionario di centinaia di pagine. L’attenzione della stampa e del pubblico è stata enorme, in particolare internazionali. Ma abbiamo avuto un interesse trasversale, locale e straniero, e venduto circa 500 copie di un catalogo impegnativo e ambizioso. Senza contare l’interesse degli addetti ai lavori. Ancora pochi giorni fa dall’Università di Düsseldorf è giunta al MAN una ricercatrice che sta portando avanti un dottorato su Guido Guidi, autore che in Germania ha un seguito attento e ricco di mostre istituzionali.

 

Si potrebbe fare un bilancio sulla sua intensa attività alla direzione del MAN?

Non penso si tratti di fare un bilancio, ma di riflettere sul percorso fatto per meglio interpretare il futuro prossimo. L’obiettivo è continuare a pensare la Sardegna come crocevia di idee nel Mediterraneo, ribaltando la prospettiva geografica, l’asse nord-sud con cui si guarda alla Sardegna. Non un territorio marginale ma un avamposto di elaborazione, un luogo dove percepire in anticipo alcuni dei cambiamenti cruciali del nostro tempo, che passano attraverso il Mediterraneo, per poterli interpretare in maniera diretta.

Nell’anno trascorso è stato fondamentale il rapporto con il territorio, come quello fertile con la Film Commission Sardegna con cui abbiamo avviato il progetto di residenze e coprodotto il workshop con la Quadriennale di Roma che a luglio ha portato a lavorare nell’isola giovani artisti e curatori da tutto Italia con due tutor d’eccezione come Enrico David e Bart Van Der Heide. Sempre con la Film Commission a gennaio abbiamo avviato una collaborazione con la Film Commission di Londra portando sei giovani filmmaker inglesi a trascorrere tre settimane a Nuoro per studiare da vicino i carnevali della Barbagia. Un progetto che rifaremo a breve nel 2020.

Ma penso anche alla collaborazione sempre più forte con l’Isola delle storie di Gavoi con le mostre di Feldmann e Balka, e quella più recente con il Festival della Letteratura di Viaggio, che è approdato a Nuoro per la prima volta l’anno scorso a giugno e che abbiamo voluto far tornare ora a ottobre. Abbiamo poi coprodotto con la casa editrice Arkadia di Cagliari la monografia dell’artista franco-palestinese Maliheh Afnan e strutturato un’importantissima partnership con l’ISRE, culminata in una giornata internazionale di studi su Guido Guidi.

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Courtesy Archivio Museo MAN ©Confinivisivi

Quindi ci sarà in allestimento una mostra sulla Collezione Permanente del Man curata insieme alla Dott.ssa Emanuela Manca, storica dell’arte, può anticipare le tematiche o finalità del progetto espositivo, potrebbe citare qualche autore?

Presentiamo due mostre. Organizzata e curata dal MAN la prima, è una retrospettiva dedicata ad Anna Marongiu (Cagliari 1907 – Ostia 1941) una delle figure più originali e al tempo stesso dimenticate della scena artistica sarda della prima metà del Novecento. Il focus della mostra verte sul suo lavoro illustrativo, proponendo tra altri lavori, la serie completa delle tavole di Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare del 1930 e quella de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni del 1926. La più preziosa opera in mostra e il cuore di tutto il progetto è data dalle 262 tavole de Il Circolo Pickwick di Charles Dickens del 1929 (acquerelli e disegni a penna), in prestito dal Charles Dickens Museum di Londra e oggi per la prima volta visibili in un museo italiano. In occasione della mostra verrà esposto un film di approfondimento sull’artista che stiamo ultimando con la Film Commission Sardegna. La mostra sarà accompagnata da un dettagliato catalogo pubblicato con la Marsilio di Venezia, un libro studio sull’artista e la sua figura.

La seconda mostra è un’articolata esplorazione della collezione del MAN, presentando classici, ma anche opere poco viste e nuove acquisizioni e donazioni. Dopo la mostra al museo comunale di Gavoi nel settembre del 2018 e quella di marzo di quest’anno è la terza mostra di collezione che ho voluto organizzare dal mio arrivo. La collezione del MAN, per la sua bellezza e importanza, è un desiderio per tutto il pubblico del museo ed è sempre una vera gioia poterla condividere e presentarla.

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Courtesy Archivio Museo MAN ©Confinivisivi

Ci saranno laboratori per i più piccini o attività extra come simposi, presentazioni di libri, concerti etc.?

Si. Abbiamo iniziato sabato 12 ottobre con il Festival di Letteratura di Viaggio e  presentato martedì 15 ottobre in anteprima in Sardegna il nuovo romanzo di Marcello Fois, Pietro e Paolo. Seguiranno poi diversi eventi e una continua attività di laboratori per bambini e adulti. Perché il MAN è affollato di scolaresche da tutta la Regione che percorrono il museo ogni giorno (anche oltre mille bambini al mese), di visitatori di tutte le età, tutti con una diversa idea di cosa desiderano vedere e incontrare in un museo. Penso che questa sia una possibile e definizione di museo civico quale il MAN è: un’istituzione che sa rivolgersi a residenti, turisti, studenti, appassionati e anche chi capita per caso e apprezza la sorpresa.

 

È soddisfatto di ciò che ha realizzato? Ha mai avuto timori sulla scelta degli artisti?

Percorrendo le strade di un progetto articolato, come è per me la direzione MAN, non c’è posto per la soddisfazione, ma solo per lo stimolo a continuare a lavorare inseguendo idee, desideri e visioni per un’attività sempre migliore.

 

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(Articolo apparso su Olbia.it il 19 Ottobre 2019)

“Bloomday” a Gavoi | Il MAN_Museo celebra James Joyce con Miroslaw BALKA

Non era un giorno qualunque. Era un giorno che diverrà un  punto chiave della nostra modernità. La descrizione di una lunga giornata saltellando dentro e fuori i pensieri dei protagonisti, in un tempo privo di confini, per ritrovarci travolti da fiumi di parole  o meglio definito  “stream of consciousness” – flusso di coscienza – pensieri in libertà come si originano nella coscienza senza ordine logico. E con un viaggio all’interno di se stessi si rifiniva un nuovo abito di scrittura creativa. Si direbbe. In tanti l’avrebbero indossato, minuzzato e adattato a sé. 

Era un giovedì 16 giugno 1904, una data divenuta simbolo di modernità – almeno in ambito letterario – per la nascita di nuova forma di romanzo non più soggetta a rapporto di causa ed effetto come voleva la tradizione precedente. Nasceva il romanzo psicologico del ‘900.

Il giorno, “luogo” di scena che sembra non conoscere confini, è tratto dal suo romanzo più famoso l’Ulisse dove si raccontano le 24 ore trascorse dal suo antieroe Leopold Bloom.

Lui è lo scrittore più rivoluzionario ed innovativo che la storia  della letteratura ricorda: James Joyce (Dublino 1882 – Zurigo 1941). 

Un autore che intimorisce per l’esuberanza di una scrittura esplosiva, complessa, a tratti ostica.

E mentre Dublino, – luogo di nascita dello scrittore, – Città della Letteratura per l’Unesco, rivive l’atmosfera di quel giorno nel Bloomday,  festival letterario frizzante a tratti folcloristico, molto coinvolgente anche la Sardegna, ne sembra idealmente coinvolta infatti celebrerà lo scrittore e la sua opera nel “magico” paesino di Gavoi, dove il cielo disegna la sua luce su graniti e gerani rossi, nel Preludio del Festival Letterario “Isola delle Storie” che si svolgerà dal 4 al 7 luglio.

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Al Museo del Fiore Sardo domenica 16 giugno (stesso giorno del romanzo) alle ore 18:00 ci sarà l’opening di una mostra, curata dal Direttore del MAN di Nuoro Luigi Fassi, –  grazie alla Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano,  – in cui si esporrà fino a domenica 7 luglio l’opera scultorea  (250 x 280 x 120) “Sweets of Sin”  di Miroslaw Balka  (Varsavia 1958) ispirata a Joyce e alla sua opera letteraria l’Ulisse.

L’Artista

È prestigioso avere un’opera di Miroslaw Balka in Sardegna. Impegno di un’istituzione museale, il MAN di Nuoro, che orienta le sue ricerche e proposte in un’ottica sempre più internazionale con linguaggi artistici che riflettono la complessità del nostro viver contemporaneo.

Balka è un artista-filosofo di grande rilievo nella scena dell’arte contemporanea che vanta tante presenze alla Biennale di Venezia,  alle  Biennali di Liverpool, di San Paolo, di Sydney e Documenta IX solo per citarne alcune.

Un artista che nelle sue opere non si pone solo finalità estetiche, ma concettuali, intellettuali. Secondo un processo di comprensione dell’opera (specie nell’arte contemporanea) il fruitore non è un semplice osservatore passivo ma colui che partecipa attivamente con il proprio pensiero. Le opere di Balka, inducono  a riflettere e ad analizzare l’opera quasi  fosse un testo letterario.

Le sue indagini sono “in bilico” su precipizi o abissi del nostro viver contemporaneo: superficialità, frivolezza, fragilità, vuoto mediatico, solitudini, sentimenti, memoria storica… “cosa ci rende umani” promuovendo quel “conosci te stesso” caro a Socrate. La sua finalità è definire e recuperare valori sempre più alla deriva.

In quest’opera, una scultura dal titolo 250 x 280 x 120 Sweets of Sin realizzata da Balka nel 2004 per la collettiva “Joyce in Art”, l’artista mediante un’opera simbolica di raffinata e armoniosa sintesi, rimanda ad alcuni elementi dell’universo joyceano per celebrare l’autore e la sua opera più famosa l’ Ulisse.

Opera rivoluzionaria per struttura narrativa e linguaggi, pubblicata nel 1922 a Parigi che fece scandalo e attirò critiche e polemiche. Tre i protagonisti: Leopold Bloom, Molly, moglie fedifraga ma a sua volta tradita dal marito e Stephen Dedalus, alter ego di Joyce.

Balka sintetizza il “fluire” offrendoci una pluralità di “assonanze” con il testo di Joyce.

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Courtesy of Museo MAN

L’opera

L’opera, nell’analisi spaziale, è composta da due elementi uno sopra l’altro o vs., una struttura orizzontale e una verticale con cavità regolare, disposti in maniera armonica quasi fossero un unico blocco di sostegno reciproco nel loro completarsi.

Questo potrebbe rimandare al monologo interiore e/o al flusso di coscienza che caratterizzano la tecnica narrativa dello scrittore, dove i ricordi, gli stati d’animo, i pensieri dei personaggi si rincorrono spontaneamente nella loro coscienza, in apparenza senza un filo logico, intaccando in vari livelli la struttura del romanzo.

Quasi pensieri concatenati seppur in libertà: una struttura orizzontale sembra esser sovrapposta (un po’ come l’accavallarsi delle idee, al pari delle onde)  all’altra verticale dalla quale, come se fosse una fontana, da un piccolo tubicino fuoriesce del whisky; una figura solida “l’accavallarsi” delle idee, al pari del moto ondoso fluido, inarrestabile.

Un elemento che allude alla sua vita. Joyce, infatti, era un gran bevitore di whisky che sembra essere un “valore” costante nei suoi romanzi, gli attribuisce salvazione, diviene “sorgente di vita” al pari dell’acqua. Forse, anche lui, aveva necessità di bere per evidenziare idee su livelli diversi, come diceva Ernest Hemingway riguardo al suo scrivere.

Ma, il fluire continuo di questa sostanza potrebbe simboleggiare lo scorrere delle immagini che rimandano alle idee contrastanti nei monologhi dei suoi personaggi.

Oltre all’utilizzo interscambiabile dei vari registri linguistici, Joyce utilizza la figura retorica della sinestesia: la contaminazione dei sensi su base soggettiva, che oggi è sempre più utilizzata nell’arte contemporanea e dai pubblicitari. Balka la riprende  per indurci verso lo stupore, vuole farci percepire una nuova sensazione. L’odore forte del liquore si propaga attorno alla fontana che profuma di whisky. Un contrasto incisivo che lede la nostra consuetudinaria immaginazione.

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Courtesy of Museo MAN

L’asse orizzontale è fatto di gommapiuma, materiale utilizzato nei materassi, qui appoggiato all’asse verticale potrebbe alludere all’insonnia dei protagonisti; durante la notte il flusso dei pensieri inesorabile continua inarrestabile, irrequieto e tumultuoso.

Ricordando il titolo dell’opera 250 x 280 x 120 Sweets of Sin (Le dolcezze del peccato) si può notare come l’artista abbia ripreso lo stesso titolo del romanzo erotico che leggeva Molly Bloom moglie di Leopold.

Joyce ha sempre temuto di esser stato tradito dalla moglie Nora e riporta questo suo malessere nell’Ulisse. Balka lo ha ripreso è reso universale. Si riaffaccia un certo filone religioso che induce a riflessioni sul peccato e forse possibili rinascite. La scoperta delle lettere di Joyce alla moglie Nora testimoniano la sua predisposizione per contenuti erotici e le allusioni esplicite sono presenti anche nell’Ulisse.

L’Ulisse di Joyce è  un’opera che implica un’indagine nel cammino di un uomo dall’interno della sua coscienza, non più dall’esterno come nel vagabondare “materico” di Ulisse nell’Odissea.

E la stilizzazione del flusso del liquore nell’opera di Balka oltre a riflettere sul continuo fluire della vita, del tempo inarrestabile,  soggiace alla stessa idea di Joyce ovvero la percezione deriva da un’impressione esterna verso la propria interiorità. 

Quasi un corollario all’opera di Balka estremamente raffinata, mimesi di letteratura contemporanea che conferma quel lega/me  inscindibile con l’arte.

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(Articolo pubblicato su Olbia.it il 15 Giugno 2019)