Museo MAN Nuoro | Tradizione e avanguardie negli arazzi dello Studio Pratha –

Arazzo Studio Pratha (particolare) All you need, 2022

« I tempi iniziali di tutte le arti sono i più ricchi di poesia, perchè è fatta di primitività e non di esperienza […]  Ogni linea, come ogni forma è un miracolo. Mistero dell’arte. Le linee amano lo spazio, creano dei ritmi, logicamente delle funzioni. Sono immense, autorevoli invitano i nostri occhi a disperdersi tra il susseguirsi di linee, forme e colori. »

Atanasio Soldati

Nuoro | Giugno 2023 – Atanasio Soldati,  pronuncia queste frasi per descrivere la natura delle sue ricerche espressive, segnate da un’intuito creativo non più legato alla rappresentazione della realtà.

Correva l’anno 1935 e l’Italia viveva un irripetibile fermento creativo di respiro europeista. L’arte mutava significati e forme.

Ho citato quelle parole perché ho colto il  linguaggio estetico degli arazzi dello Studio Pratha.

Finalmente sono riuscita a vederli. Sembrava che il tempo avesse ceduto il passo al suo eterno fluire.

Studio Pratha Foto EllEmmE

Courtesy of  Studio Pratha | Museo MAN Nuoro

Lo Studio Pratha è un centro di tessitura a telaio che promuove raffinate sintesi estetiche e mostra di aver assimilato e reinterpretato varie declinazioni e ricerche espressive dell’arte moderna, secondo quella “trasversatilità” (cara a Philippe Daverio) di cui é capace il pensiero umano.

Nasce a Nuoro nel 2017 da un’idea di Graziella Carta, che con capacità imprenditoriale, sensibilità estetica e creativa coinvolge in questo progetto alcune tessitrici del piccolo borgo di Sarule, paese collinare nel cuore della Barbagia.

Donne depositarie di complesse procedure dell’antica tradizione tessile: filano, colorano con prodotti naturali, intrecciano lana di pecora sarda con estrema precisione e accuratezza.  Utilizzano l’antico telaio verticale che “suonano” a quattro mani per una resa espressiva più intensa, con giochi di colore:  esiti cromatici   pulsanti che avvolgono sensi e anima. Un ritmo che definisce il vuoto creativo che per magia apre all’immaginazione e a nuovi pensieri.

Tra gli artisti che hanno realizzato disegni, – legati all’informale, – per i centri di tessitura artigianale, svincolati da patterns  tradizionali, ricordo per la sua originalità creativa Mauro Manca  (1913-1969) che,  – come ricorda Giuliana Altea nell‘opera Tessuti – Tradizione e innovazione della tessitura in Sardegna – “traspone nel tessuto le ricerche che contemporaneamente va conducendo in pittura: nei suoi tappeti troviamo energici tralicci neri su fondo bianco, […] effetti di dripping o di sovrapposizione e “cancellazione” di strati successivi di colore”.

Mauro Manca | Tappeto in lana, Aggius, 1959 | Collezione ISOLA

Accanto a questo progetto avanguardistico  (con rimandi all’espressionismo astratto di Jackson Pollock) Manca coltiva la sua idea di tutela della tradizione seppur rinnovandola. E, proprio per le tessitrici di Sarule, realizza alcuni disegni dove accanto alle caratteristiche tessili del  luogo (le righe)  inserisce elementi innovativi quali la luna e le stelle, accenti simbolici di certa tradizione esoterica.

Oggi, in continuità con l’idea rivoluzionaria di Mauro Manca, che aveva ben compreso come rielaborare la tradizione trasferendovi l’essenza del contemporaneo, l’attenzione agli arazzi dello Studio Pratha – che al momento si possono vedere in una mostra al MAN di Nuoro dal titolo “Pratha – Trame e geometrie”, fino al 25 Giugno, – da parte di operatori e istituzioni museali, nazionali e internazionali,  penso sia da ricercare nelle  suggestioni e corrispondenze che si sviluppano tra queste opere, la tradizione locale e certe tendenze artistiche d’avanguardia che nell’attuale esposizione sono legate all’astrattismo geometrico della prima metà del secolo scorso.

Infatti, distinguiamo esiti del Bauhaus – scuola tedesca d’arte e mestieri, – dell’astrattismo geometrico sviluppato dal Gruppo Como: Mario Radice, con le sue opere più spirituali, nella sua costante ricerca di proporzioni armoniche legate all’idea del divino o di Manlio Rho, Carla Badiali e tanti altri.

Artisti che in rottura con la tradizione, attribuivano nuovi significati a forme e colori con  linguaggi estetici rigorosi, alla ricerca di quella perfezione/verità che inesorabilmente sfugge, legati ad indagini soggettive,  più intime e spirituali.

È innegabile la prima emozione: appena si scorgono le opere appese alle pareti del museo, si viene travolti da una vibrante energia: una cascata di puri colori, intensi, accecanti. Come se d’improvviso, camminando sulla battigia, veniamo trascinati via da onde impetuose.  Una sensazione incredibile. La stessa che provai quando vidi per la prima volta le tele di Jackson Pollock. Tra colore e gestualità. Rimasi ipnotizzata. E  poiché sono opere allover non sapevo più dove guardare. Percepivo solo attrazione per la pluralità di segni e colori. Immaginavo Pollock immerso in una danza tribale che allontanava la sua inquieta malinconia e con le sue bacchette/manici dei pennelli gocciolava vernice sulle tele disposte per terra. Opere immense. 

Dopo il primo momento legato al colore, il rimando è stato al laboratorio di tessitura della scuola Bauhaus. Istituzione fondata a Weimar nel 1919 dall’architetto Walter Gropius, anche se ebbe altre sedi in varie città tedesche. prima della sua chiusura nel 1933.

Nata dalla fusione dell’Accademia di Belle Arti con la Scuola di Arti Applicate, vi si svolgeva la didattica per una  preparazione tecnica, a cui seguiva una creazione artigianale finalizzata ad una produzione industriale.  Contrariamente allo Studio Pratha,  dove la creatività si fonde con la progettualità stessa degli arazzi che sono pezzi unici.

Studio Pratha | foto ©️EllEmmE

New Bauhaus 2022 180×157 cm | Arazzo, Lana di pecora sarda Courtesy of ©️Studio Pratha | Museo MAN Nuoro

L’opera New Bauhaus, 2022 , mostra su una campitura chiara, una resa di trasparenza, una asimmetria armonica in una composizione di figure geometriche realizzate con colori primari, colori simbolo utilizzati da tanti artisti, tra i quali Piet Mondrian nelle sue ricerche neoplastiche a completamento della sua visione geometrico-matematica del mondo di cui cercava di coglierne l’essenza.

Guardando gli elementi di questo arazzo, si può evidenziare una certa staticità.  Le figure sembrano sospese. Galleggiano. È presente una certa profondità di campo (assente nelle opere di Mondrian) che si evince nelle ombre riprodotte; e forzando i significati si nota una relazione. Infatti, le cornici teoriche, sono composte da rette (perpendicolari) che s’incontrano, creando angoli retti.  Quindi comunicano. Sono unite.  Accanto, l’idea di un rettangolo aperto, senza chiusura o barriera che potrebbe alludere a disponibilità, accoglienza. Allusioni  etiche.  Forse inclusione? Una diversità che va com/presa, pur nella unicità e promuove nuove sintesi?

I due semicerchi (con diametro rivolto al centro) uno situato nella parte inferiore, in prossimità della terra, mentre quello blu, rivolto verso l’alto, un riflesso del cielo, con la presenza di un triangolo sulla sinistra, a cui si può attribuire un valore spirituale, – sembrano delimitare e avvolgere, con le loro semi-circonferenze, le figure centrali, quasi ad aspirare a una conciliazione tra forme geometrico-spaziali, ovvero l’arte, e il contenuto sociale del manufatto quindi il lavoro delle tessitrici, che realizzano trama e ordito, segni dell’agire umano, segni di vita.

Viene superata la ricerca di Mondrian tra arte e vita che nelle sue griglie tentava di raffigurare una conciliazione, un’integrazione.

In New Bauhaus, si può  notare un elemento che diversifica: la striscia verticale composta da due rettangoli allungati identici. Posti in continuità. Una perpendicolare, una via di unione alto-basso che sembra procedere oltre l’opera, tra cielo e terra. Forse una chiave di lettura dell’arazzo potrebbe essere che l’arte è essenza della vita, l’una rimanda all’altra. Necessarie per dare senso e contenuti all’esistenza, si alimentano reciprocamente instillate quali parti di una stessa anima, da un essere superiore.

Ecco perché in questi arazzi si percepisce una forte tensione spirituale che rimanda ad un’approccio meditativo, accanto ad una ricerca espressiva e sensibilità estetica per scelte cromatiche e forme geometriche.

Labyrintus 4, 2022 | Arazzo Lana di pecora sarda  | Courtesy of Studio Pratha Museo MAN Nuoro

Nell’opera Labyrintus,  2022, si rappresenta un percorso, con elementi disturbanti ripetitivi, problemi, superamenti, ricadute. Rettangoli e quadrati, alcuni strappati, sfilacciati, incompleti. In posizione centrale è raffigurato un quadrato nero a cui tutto sembra tendere in un movimento rotatorio. Un vuoto che crea distacco, ma che ha il potere di illuminare. La profondità è creata dalla disposizione dei rettangoli; allungati, sottili, alcuni con graziosi patterns decorativi, quasi barriere, come pezzi di nastro adesivo, in una struttura armonica. Nulla è casuale, tutto è consequenziale, elementi di sutura per unire  parti che altrimenti si perderebbero ma che risultano essere  funzionali.

Se forziamo il concetto  di sutura tra i rettangoli si potrebbe evocare l’idea di unione, interrelazione quindi collaborazione. Forse l’esperienza lavorativa che vivono le tessitrici, in cui gli arazzi nascono da una coralità di idee, una sinergia che é la forza  stessa del gruppo?

Altro riferimento ci viene dato dall’espressionismo astratto. E, tra le varie teorie dei colori  qui ricordo quella di Hans Hofmann, esponente di questo movimento americano, che se avesse visto le figure geometriche presenti  negli arazzi dello Studio Pratha le avrebbe definite “superfici pulsanti e luminose che emanano una luce mistica”. Quindi esseri viventi. Il cromatismo, quale espediente espressivo, sembra  riuscire  ad infondere lo spirito vitale. 

Dedalo 3, 2022 140×140 | Arazzo lana di pecora sarda | Courtesy of ©️StudioPratha | Museo MAN Nuoro

Guardando l’arazzo  Dedalo 3 si può percepire un leggero movimento, secondo la teoria  push/pull di Hofmann per la quale alcuni colori “spingono” fuori, emergono, mentre altri sembrano “tirare”, penetrare, allungare lo spazio visivo. Creare distanza.

Particolare Dedalo 3, 2022 ©️Studio Pratha

E precisamente i colori cosiddetti caldi, che si associano  alla luminosità del giorno, quindi il giallo, il rosso, l’arancione…spingono verso di noi, nel nostro spazio visivo. Hanno potere attrattivo. Mentre i colori freddi, legati all’oscurità e alla notte il blu, il marrone, il viola, sono distanti, si allontanano dai nostri occhi. Sono più discreti, meno invasivi. Pacati. Distensivi.

E dall’accostamento dei colori si crea movimento proprio perché il colore riflette sfumature diverse. Vibra.   Avvolge i sensi. Coinvolge. E permette di respirare quell’aria mistica di cui Hofmann parlava.

Rigore e logica mod. 4d, 2022 180×75 | Arazzo lana di pecora sarda | Courtesy of ©️Studio Pratha ! Museo MAN Nuoro

L’opera Rigore e logica,  2022,   mostra un armonioso equilibrio di colori, forme, segni,  in cui è ben visibile la tridimensionalità. Se si guarda con atteggiamento contemplativo,  liberando la mente dai pensieri, si può percepire.

Abbiamo sezioni di colore e strisce nere e bianche, percorsi che si intersecano, collegano, delimitano. Forse si raffigura  la società nella quale si vive? Che ha smarrito queste due categorie: rigore e logica? O riflette l’attuazione dell’opera stessa, tra il rigore della progettazione e la sua realizzazione al telaio, in cui tutto è consequenziale – secondo una linea evolutiva – con la compresenza dell’elemento della tradizione, le righe, che formano il piccolo quadrato?

Avrei desiderato approfondire, poiché non è possibile, spero almeno di aver  suscitato in voi la curiosità di visitare il MAN per vedere questi bellissimi arazzi. Posso solo aggiungere che la vera essenza dell’arte é riposta nell’anima di chi crea.  Lì, dove confluiscono, in ordine sparso, come fogli di libri gettati al vento. Alla rinfusa. Segni del passato e presente. E tra ricordi, cristalli preziosi della memoria, si r/accorda la contemporaneità. Proprio come gli arazzi realizzati  dallo Studio Pratha, in un alone di sincretismo « magico »,  per quella capacità di sintesi mostrata facendo confluire, con delicato lirismo,  tradizione e avanguardia.

©lyciameleligios

Cagliari | Al via la VIIª Edizione del Festival letterario in ricordo dell’intellettuale sardo Emilio Lussu

«È così figliolo, che deve comportarsi un uomo, e te ne accorgerai sempre di più con l’andar degli anni. […] quel che è necessario è vivere con dignità senza mai aver vergogna di se stessi, e poter sempre guardare tutti negli occhi […] amici e nemici, uomini e donne […] peccato è fingere di essere virtuosi e agire da imbroglioni».

Giovanni Lussu

Queste significative parole del padre di Emilio Lussu ispirarono e impressionarono il pensiero del figlio, Emilio, che assimilò e traspose alla radice delle sue idee di libertà, dignità, identità, giustizia, trasparenza democratica, onestà intellettuale, lealtà, uguaglianza.

Un breve ricordo per introdurre un evento letterario legato al nome di chi la storia non l’ha solo raccontata ma è stato protagonista illuminato.

Dal primo al sei ottobre a Cagliari — tra l’Espace Peacock e la Sala Castello Hotel Regina Margherita — si ricorderà la sua figura di intellettuale e politico nel Festival letterario Premio Emilio Lussu, giunto alla sua settima edizione. Inoltre, saranno protagonisti anche altri autori del panorama letterario quali Leonardo Sciascia, Georges Simenon, José Saramago di cui sarà presente la figlia Violante Matos e il cantautore Claudio Lolli.

Sei giornate con numerosi appuntamenti dedicate a incontri con autori, reading, laboratori di scrittura in cui verranno coinvolte le scuole.

L’evento — sotto la regia di Alessandro Macis, di Gianni Mascia quale direttore artistico della Scuola popolare di poesia di Is Mirrionis e di Patrizia Masala, alla direzione organizzativa — promosso dall’Associazione culturale L’Alambicco con il patrocinio della Camera dei Deputati, della Regione Sardegna, del Comune di Cagliari e in parternariato con enti, università e associazioni.

PROGRAMMA. 

Venerdì 1 ottobre

La manifestazione prende il via venerdì alle ore 11 all’Espace Peacock – Events & Meetings di via Campidano 24/A, con l’incontro tra gli studenti e la Scuola popolare di poesia di Is Mirrionis e il reading poetico “I volti di Cristo” a cura di Gianni Mascia e Mauro Dedoni.

Alle 16.30 si va alla scoperta de “I giornalisti narratori”, accogliendo gli autori di alcuni successi editoriali del momento che si confronteranno con lo scrittore Guido Conti e il giornalista critico letterario Bruno Quaranta

Saranno presentati nell’ordine: “Reo confesso. Un’indagine del commissario Soneri” di Valerio Varesi (Mondadori, 2021); “La confraternita dell’asino” di Bruno Gambarotta (Manni, 2020); “I delitti della salina” di Francesco Abate (Einaudi, 2020); “Hotel Nord America” di Giacomo Mameli (Il Maestrale, 2020). 

Alle 19.30 Bruno Gambarotta propone il reading “Georges Simenon: Intervista impossibile”, in cui Alessandro Macis interpreta il ruolo dell’intervistato non comune.

Sabato 2 ottobre l’evento si trasferisce nella Sala Castello dell’Hotel Regina Margherita, dove alle 10.30 Guido Conti condurrà il “Laboratorio Leggere per imparare a scrivere” rivolto a insegnanti e studenti delle Scuole medie e superiori.

Alle 16.30 Matteo Collura, Daniela Marcheschi, Mario Patané porgeranno uno speciale omaggio al grande scrittore Leonardo Sciascia in occasione del centenario della nascita. 

L’attesissima cerimonia di proclamazione dei vincitori del Premio Lussu si terrà alle 18.30. 

Sono due le sezioni in concorso: La “Narrativa edita”, con una giuria internazionale presieduta da Guido Conti e composta da Bruno Quaranta, Miruna Bulumete, Raniero Speelman, Manuela Ennas; la “Narrativa a fumetti edita”, con una giuria internazionale presieduta da Ángel De La Calle e composta da Mario Greco, Sandro Dessì, Massimo Spiga.

Domenica 3 ottobre, sempre nella Sala Castello la giornata sarà dedicata alla figura di Emilio Lussu tra politica, storia e diritto, all’interno del IV Seminario Internazionale di Studi che, a partire dalle 9 del mattino, vedrà intervenire Gian Giacomo Ortu (coordinare del convegno), Giovanna Granata, Italo Birocchi, Federico Francioni, Luisa Maria Plaisant, Daniela Marcheschi, Luisa Marínho Antunes e Alberto Cabboi.

Nel pomeriggio, alle 17 sarà presentato il libro “Per rileggere Emilio Lussu” a cura di Daniela Marcheschi (Libreria Ticinum Editore, 2021). Il volume è stato realizzato grazie al contributo della Fondazione di Sardegna e contiene gli atti dei seminari internazionali di Studi su Emilio Lussu svolti a Cagliari nel 2018 e ad Armungia nel 2019. Interverranno Daniela Marcheschi, Gian Giacomo Ortu, Alberto Cabboi, Daniela Matronola, Guido Conti, Luisa Marínho Antunes, Alessandro Macis ed Elisabetta Balduzzi.

Subito dopo sarà presentato il libro “Il mio amico” (Manni, 2020) di Daniela Matronola che dialogherà con Caterina Arcangelo

Dalle 18.45 la serata prosegue con l’omaggio a Claudio Lolli “Dal Viaggio in Italia di Claudio Lolli a Ferite&feritoie” a cura di Paolo Capodacqua. Partecipano Marina Stefani, Federico Lolli, Tommaso Lolli, membri del Comitato promotore “Fondazione Claudio Lolli”, partner del Festival Lussu.

Lunedì 4 ottobre la mattinata si apre alle 10 con l’omaggio a Gianni Rodari, un incontro rivolto alle scuole. A illustrare l’opera e leggere alcuni brani di Rodari saranno Daniela Marcheschi, Roberto Randaccio, Guido Conti. Paolo Capodacqua si esibirà nel recital-omaggio a Gianni Rodari “La bella luna a dondolo”.

Alle 17 sarà presentato il libro “Le malizie delle donne” (Marietti 1820, 2021) di Luisa Marínho Antunes che si confronterà con Elisabetta Balduzzi e Daniela Marcheschi. 

Alle 17.45 una presenza molto attesa, quella di Violante Matos Saramago, figlia del grande autore portoghese José Saramago. Assieme a Daniela Marcheschi e Guido Conti, Violante converserà su Cecità, nota pubblicazione del padre edita da Einaudi. In chiusura sarà presentata la rivista letteraria e artistica FuoriAsse (Cooperativa Letteraria, 2021), con l’intervento della direttrice Caterina Arcangelo, in compagnia di Mario Greco, Daniela Marcheschi, Guido Conti, Luisa Marínho Antunes, Alessandro Macis, Elisabetta Randaccio e Patrizia Masala.

Martedì 5 ottobre alle 10 si parte per un viaggio antropologico ideale, alla ricerca delle origini del gioiello della dieta sardo mediterranea: Veronica Matta presenta il volume “Panada on the road” (Ed. Sa Mata. L’albero delle idee, 2019) assieme a Gianni Filippini, Pinhás Ben Abrahamle, Padre Miquel Mascaro’, Don Francisco Juan Salleras, Padre Mario Alonso Aguado.

Alle 17 si terrà la “Festa della Scuola popolare di poesia di Is Mirrionis”, accogliendo come ospite Vito Minoia, presidente del coordinamento nazionale “Teatro in carcere”, che dialogherà con Gianni Mascia

Quindi Walter Falgio, Anna Cristina Serra, Gianni Mascia ricorderanno la figura di Benvenuto Lobina attraverso la presentazione del suo “Po cantu Biddanoa” (Illisso, 2004). 

Chiusura di serata con Poetry Blues and roll, una narrazione poetica che si nutre delle suggestioni del blues e del rock, a cura di Gianni Mascia, Paolo Demontis e Salvatore Amara.

La manifestazione si conclude mercoledì 6 ottobre con un appuntamento tutto pomeridiano dedicato alla letteratura in Sardegna.

Alle 16.30 Giovanni Follesa e Rossana Copez presentano il libro “Cent’anni fa arrivò Lawrence” (Il Maestrale, 2021), assieme a Paolo Lusci.

Alle 17.15 Angelica Grivel Serra propone “L’estate della mia rivoluzione” in compagnia di Manuela Ennas e, alle 18.30, Tonino Cau illustra la sua ultima fatica poetica “Berlinguer. Un’Omine una vida” intervistato da Salvatore Taras, con la partecipazione straordinaria dei Tenores di Neoneli.

In conclusione di serata sarà conferito il Premio Lussu alla Carriera al fumettista, vignettista e regista italiano Sergio Staino

Nel rispetto delle norme di contenimento del Covid-19, l’ingresso libero e gratuito è consentito ai partecipanti fino ad esaurimento posti e solo se muniti di green pass.

sito http://www.festivalpremioemiliolussu.org

Arte | Rosalba Mura, tra lo spazio dell’essere e l’oltre

L’esistenza attiene allo spazio,

e lo spazio emana presenza.

Jorge Eielson

 

“L’arte è una maniera di conoscere, di capire e di rendersi conto cosa è il mondo” – dice Rudolf Arnheim, importante rivoluzionario storico dell’arte, sostenitore del pensiero visuale. 

“Un artista che opera intorno ai problemi dell’esistenza attraverso le immagini inventa, giudica e costruisce – sostiene lo storico –  quando l’immagine raggiunge il suo stato finale egli percepisce in essa il risultato del suo pensare visuale. Un’opera d’arte visuale non è quindi un’illustrazione dei pensieri, ma la manifestazione finale di quello stesso pensare”.

Abbiamo citato il pensiero di Arnheim per affinità con il pensiero e percorso creativo di Rosalba Mura, artista originaria di Barumini ma olbiese di adozione, sempre più presente nella scena artistica italiana ed estera.

Attualmente le sue opere sono esposte fino al 25 Gennaio 2020 a Cagliari nella sede culturale di Hermaea Archeologia e Arte in via Santa Maria Chiara, 24/a,  in una importante retrospettiva dal titolo “StratificAzioni…lo spazio e oltre” a cura di Elisabetta Gaudina e Lucia Putzu. 

Le opere esposte – circa una trentina – rimandano al periodo post Accademia dell’artista, dal 2007  fino  alle più recenti sperimentazioni  vicine a rimodulazioni di Arte Concettuale tra Astrattismo Geometrico, Spazialismo e Minimal Art, dove l’esistere si sintetizza palesando un suo spazio vitale in cui si scandiscono forme, si attuano  scelte monocromatiche, asimmetrie volumetriche, riverberi di luci. Un farsi luogo del tempo teso  a fendersi, a trasmettere, a plasmare, ora a suturare significati che sembrano  rinnovarsi in quella costante temporale  custode e premonitrice nel suo estroflettersi da spazialità disadorna.

Le opere richiamano quella forza impetuosa che trascina inarrestabile al pari della natura: il pensiero e il suo “dinamismo dialogico ininterrotto” come avrebbe suggerito il filosofo Edgar Morin, una frenesia inquieta volta alla ricerca che si spande, si contrae, si dilata, ritorna nel suo esser presente, momento di ri/nascita eterna. 

Oppure le sue indagini si soffermano su quell’oltre dominato da fessure che ora si riempiono, sembrano ripiegarsi, divenire ripetizioni di un sé per riformulare il continuum inafferrabile e imprevedibile, spazio di congiunture, di riflessioni ontologiche ma anche proiezioni interpretative dello scibile.

O forse scelte esistenziali in una contemporaneità di cui si è smarrito il senso, sempre più indecifrabile, che mostra comunque opportunità, alternative di crescita anche se ancora da definirsi ma che esistono nel loro non-essere.

È solo lo sguardo che deve mutar direzione: meno verticale, più  obliquo o meglio trasversale come ci avrebbe suggerito il critico d’arte Philippe Daverio. Uno sguardo più eclettico e com/partecipato che si definirà nel suo divenire.

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©️Rosalba Mura, Compendium 2003 – Acrilico su tavola 10 pz. 

Rosalba Mura viene iniziata all’arte fin da bambina trascorrendo la sua infanzia tra colori, tele e statue che suo padre l’artista Evasio Mura, dipinge e restaura.

I colori, le forme, gli espressivi segni dell’anima nei personaggi ritratti impressionano la piccola Rosalba, dal carattere timido ed introverso, tanto da assimilarne manualità, armonia cromatica e sognare di poter diventare lei stessa una pittrice come lui.

Evasio Mura (1927-2014) un brav’uomo che aveva fatto della sua passione per l’arte una ragione di vita, era un artista/artigiano – secondo l’accezione più rinascimentale del termine – molto affermato. Infatti il clero, principale committente, gli richiedeva opere a tema religioso che oggi è possibile ammirare in vari luoghi di culto della Sardegna: Tuili, Sedilo, Lunamatrona, Barumini, Gesturi e altri.

Ma la vera formazione di Rosalba inizia durante gli anni del Liceo Artistico  dove ebbe come insegnanti alcuni protagonisti dell’arte sarda tra i quali Foiso Fois, Attilio Della Maria e Gaetano Brundu. Mentre Enzo Orti, Giandomenico Semeraro e Clavicembalo Venceslao saranno i suoi professori di riferimento nel Corso di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Sassari, dove nell’approfondimento di tecniche e stilemi della Storia dell’Arte,  inizia a definire il suo percorso artistico  – attratta dal desiderio di “smarrirsi”, percependo un’atmosfera più affine alle sue inclinazioni  – all’interno del prolifico labirinto dell’informale e della sperimentazione, mostrandosi curiosa e partecipe verso le nuove scoperte scientifiche e tecnologiche.

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©️Rosalba Mura, Croce 2005 – foglia oro

Si avvicina all’astrattismo geometrico focalizzando il suo percorso su un elemento, una forma terrena, il quadrato, che al contrario del cerchio con valenza spirituale, rimanda a semplicità espressiva,  purezza e allude  alla volontà dell’uomo a razionalizzare una realtà indecifrabile, sfuggente, mutevole: l’unità di misura dello spazio, su cui molti artisti declinarono i loro linguaggi da Kazimir Malevič a Piet Mondrian,  Giulio Paolini.

La figura ha quattro lati, quattro possibilità di aderenze su superfici diverse o aperture verso l’altro. Avvicinamenti che preannunciano scambi, ri/scoperte, sovrapposizioni, scelte. Rimodulazioni del pensiero che mostra la sua infinita duttilità e valore gnoseologico. La conoscenza assoluta sembra de/comporsi nei suoi elementi formali e l’indagine dell’artista si svolge nel “marcare” una pluralità di punti di vista, nuovi equilibri e prospettive dove significati del reale sembrano  dilatarsi, scivolare in altre territorialità concettuali, o possono venir alterati da fattori socio-temporali.   

La tensione al pensare viene ac/colta, prima che voli come farfalla, per riposarsi su nuovi ed imprevedibili campi semantici.

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©️Rosalba Mura, Working Progress B 2002/2004 – acrilico su legno

L’artista, come Maria Lai, predispone le sue opere verso un’apertura che  pone sullo stesso piano dell’intuizione creativa la tensione ermeneutica consequenziale per colui che l’osserva. Si annullano differenze, e si pone sullo stesso livello chi crea e chi fruisce.

In alcune opere la pluralità di forme sembrano sfaldarsi in un dinamismo fluido, leggero non caotico nel suo ripetersi diseguale. Ma la ripetizione è estranea identità. Lascia intuire che la diversità è il luogo dove ogni possibilità può trovare la sua coerenza.

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©️Rosalba Mura, Sutura 1 2012 – acrilico su tele

Ripercorrendo lo spazialismo di Lucio Fontana oltre la superficie di cui ci narra nei suoi tagli, Rosalba Mura pur vicina al pensiero del maestro argentino, si sofferma nell’approfondire le recenti teorie cosmiche a cui si potrebbe dare un riferimento più esistenziale.

Potremo vedere – avvicinandoci al pensiero di un grande maestro della letteratura  David Foster Wallace, –   i tagli sulle tele come atti di coscienza di ciò che siamo, e forzando nel significato,  la nevrosi esistenziale incisa come uno scalpellino nelle pagine dei suoi libri (penso a Infinite Jest) qui scandita nella tavola dell’esistere con una pluralità d’istanti in cui si afferma, si analizza, si penetra, si sutura, si fa “tasca” si propone un’alternativa o prospettiva/sguardo e poi ancora un’altro, fino all’infinito, come i  mo(n)di a cui sembra voler alludere il linguaggio espressivo di Rosalba Mura.

I tagli di Fontana erano nati da risentimento e il significato che lo stesso artista attribuì fu secondario alla resa formale, semplice intuizione geniale. Alla rabbia e sconforto da parte dell’artista escluso dalla selezione per la realizzazione delle formelle per la porta del duomo di Milano (lavoro che venne assegnato allo scultore Luciano Minguzzi) seguì una reazione: con impeto tagliò la tela con una spatola. La raffigurazione di un oltre con pluralità di declinazioni che precedentemente mai nessuno era riuscito a sintetizzare in un’espressione artistica.

Rosalba interpreta le teorie più recenti sulla teoria convenzionale dell’inflazione eterna sugli universi-tasca molteplici e non solo interrompe lo spazio ma crea una sorta di “tasca”.

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©️Rosalba Mura, Taglio 2 2019 – Acrilico su tele

Se ci distacchiamo da un’ermeneutica dello spazialismo e ripercorriamo riflessi di psicologia emotiva i tagli divengono simboli per ferite, lacerazioni interiori o sociali  e le “tasche”, che ora sembrano coprire le ferite e le fragilità, quali inversioni storiche con una potenzialità, un fieri che implica  superamento proprio per il fatto che è suturato sul limite del vuoto, quindi non più libero. E ci si pone come avvio verso una nuova consapevolezza,  dove il “prima” acquisisce una luce ri/generatrice atta a risanare, ricostruire il “dopo”. 

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©️Rosalba Mura, Working progress 2004  – acrilico su legno 

In alcune opere utilizza doppie tele, o incastra telai in maniera asimmetrica creando una tensione dinamica, quasi fughe verso nuove realtà. Il multiverso oggi prevale allontana, crea divari e disagi e l’artista con un filo chirurgico sutura, chiude ferite. Ricompone, suggerisce nuovi percorsi: la vecchia strada non verrà abbandonata ma rimodulata con nuove idee. I significati soggetti ad usura del tempo possono dissolversi o riplasmarsi.

Il moto perpetuo della modernità divenuto ora fare e disfare, viene rielaborato o riproposto come  curare, riformulare, rimediare quasi a ricordarci che l’oblio di ciò che è stato non salva.

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©️Rosalba Mura, Nike 2003 – acrilico e tecniche miste su tela

In “Nike” (2003) – opera realizzata durante la crisi economica della Grecia – la ricerca formale s’imbastisce su un preciso momento storico. Sottesa una volontà quasi di rimarginare le sofferenze di una nazione sull’orlo della bancarotta, un tempo culla di una delle civiltà più importanti del Mediterraneo. 

Si definisce la temporalità presente/passato con una sovrapposizione, stratificAzione che genera un forte contrasto. Da una parte appare l’oggi (la tela lacerata) nell’atto di esser ri/cucito,  sullo sfondo disegnato a matita un’icona del passato    in cui si evince capacità tecnico-espressiva  – la Vittoria (Nike) di Samotracia (190 a.C) – attribuita a Pitocrito che oggi si può ammirare nella sua straordinaria e ammaliante bellezza al Louvre – in cui s’intravvedono le pieghe della veste increspate dal vento, oggetto di studio di tanti artisti.

La raffigurazione della Nike evoca le grandi vittorie di un tempo che oggi sembrano aver smarrito il senso. Anzi sembrano disancorate dalla realtà lontanissime ed “estranee”. 

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©️Rosalba Mura, Embrione 3 2019 – acrilico su tele e matita 

In “Embrioni” (2013), – di cui analizziamo Embrione 3 –  l’artista esplora con un linguaggio plastico-figurativo l’importanza della geo-metria (misura e proporzione) e delle potenzialità dell’uomo quale unità di misura della realtà. 

La tela presenta alcuni tagli. Una gestualità che ricrea piccole onde, quasi il movimento del pensiero che richiama evoluzione e di cui solo la parte esterna si ricollega alla contemporaneità.

La fessura crea un nuovo spazio in cui è raffigurato l’uomo Vitruviano – homo ad circulum et ad quadratum – di Leonardo Da Vinci (1490), la celebre figura umana elaborata da Leonardo (che dopo aver studiato le proporzioni degli arti nell’uomo arrivò a confermare le teorie di Vitruvio)  diviene metafora dell’uomo come  misura di tutte le cose. Oggi concezione superata dal geomorfismo con il sistema metrico-decimale dallo studio sulla circonferenza della terra. 

Il simbolo dell’uomo vitruviano e delle figure geometriche – quadrato inscritto nel cerchio – allude al superamento del duale, ragione-spirito, verso un nuovo equilibrio, poiché l’uomo stesso “con/tiene” in sé l’universo. Figura ripresa come nuova sintesi concettuale  intorno alla prima metà del novecento e armonia a cui Leonardo aspirava nelle sue infaticabili ricerche.

“Colui che niente ignora mi creò. E io reco in me ogni misura: sia quelle del cielo, sia quelle della terra, sia quelle degli inferi. E chi comprende se stesso ha nella sua mente moltissime cose, e ha nella sua mente il libro degli angeli e della natura” dall’uomo Vitruviano secondo l’interpretazione del Taccola (1381-1458).

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©️Rosalba Mura, SpaceSATOR 2019

Un’altra opera, sempre finalizzata alla sua ricerca spaziale ed estetica, sembra approfondire, ancora una volta, il suo campo d’indagine tra armonia/bellezza ed equilibrio tra parti. Sulla traccia del passato recupera simbologie antiche, enigmi non ancora risolti vicini a riscontri polisemici  come “SpaceSATOR” (2019).

Composta da quattro tele poste una sull’altra, con la presenza di aperture quadrate in ordine crescente dall’interno verso la superficie, in alto a sinistra si  poggia il rettangolo aureo. Centrale leggermente a destra  è posto il quadrato magico del Sator arepo tenet opera rotas, frase che può esser letta in ogni direzione.  La sua presenza è stata rinvenuta in vari elementi architettonici ma anche in luoghi di culto di tradizione cristiana. Diverse le interpretazioni attribuitegli. A noi interessa riportare la pluralità di intuizioni e concezioni, verità che si nascondono dietro a questo quadrato: quasi la difficoltà di cogliere quella definitiva in cui sembra convivere razionalità e spiritualità.

Se osserviamo attentamente l’opera, nella parte inferiore è riscontrabile la sezione aurea o divina proporzione (o numero di Dio) ad esempio riscontrabile in natura (nella conchiglia che tutti conosciamo il  Nautilus) che ingloba con segni di matita il quadrato del SATOR ad enfatizzare il legame tra ragione e lo spirito di Dio presente nella natura e quindi la necessità di dare una interpretazione più spirituale dell’arte.

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©️Rosalba Mura Sinapsi, 2010 – elaborazione e stampa digitale

Un’opera d’arte digitale è “Sinapsi” (2010) dove l’artista definisce la sua interpretazione creativa mostrando la natura dell’intuizione che raffigura come fonte di energia.   

Il primo elemento che emerge è l’affermarsi di una condizione paritaria tra uomo e donna in quanto l’arte non è solo maschile,  ma femminile anche se il cammino di valorizzazione e accettazione è stato molto difficile e spesso incompreso. Inoltre, l’artista immagina l’intuizione creativa al pari dell’energia emessa dal brillamento solare avvenuto nel settembre del 2010.

Come è ben visibile dall’opera, Rosalba riproduce la sua immagine come donna vitruviana, creatrice/artista da cui si genera “l’energia visionaria che si dirama  attraverso le sinapsi” e che investe non solo l’Italia ma si estenderà  al cosmo ad  enfatizzare il legame indissolubile tra il potere creativo e la forza/energia nella realizzazione delle opere non solo pittoriche ma architettoniche, ingegneristiche etc.

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©️Rosalba Mura Qubit 2019 – acrilico su tele

Nell’esplorazione delle varie dimensioni e del multiverso si inseriscono due opere “Qubit” e “Qubit2” con una resa plastica intensa oserei lirica, pur nella loro piccola dimensione. Alla ricerca di  nuovi equilibri l’artista lacera le tele scandendo con appositi spazi il divenire con stratificAzioni che evocano il cammino dell’uomo: frammenti  incollati uno sopra l’altro in un processo evolutivo  su cui il tempo inafferrabile scrive le sue memorie e la luce degli anni s/bianca, cancella per indurre l’uomo a riscrivere. Una tensione concentrica da un interno più piccolo      in seguito sempre più grande, in ordine crescente,  per segnare non solo ciò che è permanenza ma anche ciò che è  innovazione. 

Sono opere vicine alla scultura, aiutano i sensi a librarsi, ad alleggerirsi, a lasciarsi guidare dalla casualità. Il rigore delle opere precedenti sembra superato da un desiderio di espansione, compresenza.

I precedenti equilibri spezzati, sembrano alludere al caos della frammentazione  ma lo spazio creato al centro appare una via di fuga verso una nuova dimensione che permetterà di ritrovare creatività ed elementi da cui ripartire per nuove indagini e percorsi.

Il bianco è il colore dell’inclusione, della polisemia, della ricettività assoluta. È luce che permette di spostarsi tra pluralità. Quella luce che in un’indagine spaziale l’artista rivede quale tunnel spazio-temporale, realtà multipla soggetta a varie forze come ad esempio la velocità che distorce, devia, muta strutture originarie, per accogliere diversità.

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©️Rosalba Mura, Barumini …tracce 2019 acrilico color Barumini su tele

Le digressioni sulle origini affiorano attraverso un linguaggio espressivo vicino all’informale materico. Rosalba rivisita i suoi luoghi in “Barumini … tracce” (2019). Ai tagli disposti secondo una linea diagonale si aggiungono in ordine sparso quadrati di varia grandezza per accentuare il carattere bidimensionale, al pari di una carta topografica.

In alto sulla sinistra il bassorilievo del complesso Nuragico di Barumini situato in un  quel passato che l’artista ricorda ed evidenzia come luogo impregnato di luce, dove le fissure in alto   si aprono verso la pianta del nuraghe alle quali  tende   lo spazio della tela, compresi gli altri tagli in un velato movimento. Ci chiediamo il perché della marginalità, forse si intende enfatizzare quella forza centrifuga che la allontanerà dal suo paese natale? Pensiamo sia per una resa armonica che persegue in ogni sua opera. 

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©️Rosalba Mura, Bimbi Earth 2008 – rielaborazione e stampa digitale

La sfera personale è presente in un’altra opera molto suggestiva “Bimbi earth” (2008) in cui Rosalba scopre la sua maternità ma non desiste dall’idea di creare, di dipingere. Evita l’utilizzo di colori e con la tecnica digitale crea quest’opera in cui sovrappone il mondo alla riproduzione della prima ecografia del suo bambino. 

“Come un ventre materno custodisci e fai crescere la vita. Il mistero sarà mai svelato?” dirà a sé stessa. Ecco che lei diviene forza cosmica e identifica il suo ventre con il mondo che contiene l’essenza pulsante della vita e immagina suo figlio generato “dalla polvere delle stelle” parte/cipe dell’universo, per riprendere un concetto fondante in Jorges Luis Borges.

Rosalba Mura mostra di esser un’artista poliedrica che non conosce confini, attenta a sperimentare sempre nuovi linguaggi espressivi, con un potenziale semantico innovativo e originale, senza tralasciare indagini e rimandi alle  ultime scoperte scientifiche e/o tecnologiche.

La sua arte mai fine a se stessa, votata al dinamismo e alla ricerca, promuove l’essere umano nella sua es/tensione di esperienze, l’immediatezza del percepito, il suo spingersi sempre più lontano fino a sfiorare nuovi orizzonti attraverso un pensare che è per sua natura quell’andare oltre che struttura e dà significato al nostro vivere.

Strofiniamo il buio

per farne luce” 

Franco Arminio

 

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34 Premio Dessì si conferma evento culturale di prestigio | Premiazione

Da qualche anno il tempo faceva sentire la sua voce fredda, pungente, come un’eco che parlava di autunni e creava scompiglio tra gli organizzatori dell’evento di Villacidro, costretti in tutta velocità a predisporre una location alternativa, per la serata di assegnazione del prestigioso Premio Dessì.

Ma quest’anno, finalmente, il tempo si è mostrato  clemente donandoci un’aria di fine estate, e nella piazza che taglia a metà il graziosio paesino, abbarbicato su un lembo di montagna,  tra l’affiorare di scorci poetici: campanili,  tetti, abbaini,  e sul basso stradine segnate dal tempo, il 5 ottobre si è svolta la serata di premiazione del 34° Premio Dessì, intitolato allo scrittore sardo Giuseppe Dessì (Cagliari 1909 -Roma 1977)  vincitore del Premio Strega nel 1972 con il romanzo Paese d’Ombre.

Un classico  della letteratura italiana che presenta una straordinaria forza di contemporaneità per contenuti,  oggi sempre più discussi, legati alla tutela e  salvaguardia dell’ambiente.

Alla serata era presente, oltre al pubblico numerosissimo, quel vento che alle volte disperde, avvicina, rimodula suoni e parole. Dà significato al silenzio come luogo del pensiero.

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 Umberto Broccoli e Francesco Permunian – Courtesy Archivio Fondazione Dessì

Sul piccolo palco che dominava la valle in cui l’orizzonte sembrava disperdersi, vi era una piccola scultura formata da gigantografie di libri, sovrapposti di taglio, che da attenta lettura dei dorsi erano alcuni romanzi dello scrittore. Ma ciò che attirava lo sguardo era la loro disposizione a forma di  x.  Erano tre e seppur alludendo al trentennale del Premio, (in realtà 34°) forzando sul segno grafico, come intersezione di due rette incidenti, sembrava si volesse enfatizzare quel centro del mondo, il paese di Villacidro, luogo di origine, partenza e arrivo di significati, di idee.

Come ricordato anche dal presentatore della serata Umberto Broccoli, archeologo e volto noto della televisione e voce di RadioUno: “Ogni punto dell’universo è anche il centro dell’universo” come diceva Dessì, in cui alludeva all’universalità e nello stesso tempo centralità del suo paese soggetto dei suoi romanzi,  ma prima di ogni cosa dell’uomo nel suo interrelarsi, nel suo stare al mondo.

Dai suoi romanzi, dalle sue inchieste conservate nelle Teche della Rai emerge una necessità di raccontare e raccontarsi nel trapasso dal passato al presente inspiegabile perché avvolto dal mistero e silenzio ancestrale. Dirà che l’uomo sardo anche se vive in continente “porta sempre con sé quell’alone di silenzio” derivato dall’essere abitante di un’isola, quindi isolato, lontano dai clamori della città. Da qui la volontà di reinterpretare, dare forma e significato al silenzio che si palesa in pensiero, in ricordo, in memoria.

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Il presentatore con Gianrico Carofiglio Courtesy Archivio Fondazione Dessì

E Marta Cabriolu, sindaco di Villacidro, nel suo discorso introduttivo sulle orme di Giuseppe Dessì nel suo dar voce al “silenzio”, evidenzia il ruolo degli scrittori “che sentono il mondo che ci circonda in tutte le forme e ne scrivono per suscitare emozioni in chi legge, perché leggere implica una crescita, una conoscenza”.

Ma, le parole non si soffermano a pura descrizione, ora divengono taglienti e dure. Vogliono richiamare l’attenzione sullo stato di abbandono percepito dai docenti e invoca le istituzioni in quanto loro, in primis, dovrebbero “sostenere il diritto assoluto all’istruzione e alla formazione”. Inoltre, possiamo aggiungere che i dati forniti dal MIUR – Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca – sulla dispersione scolastica sono inquietanti: se tra il 2015/2016 l’abbandono nella scuola secondaria di II grado era stato del 3,82%, tra il 2016/2017 è stato del 4,31%. Bisogna sensibilizzare sull’immenso valore della cultura che ha una enorme potere salvifico dalle sabbie mobili in cui sembra arrancare il presente.

“Mai come in questo periodo storico culturale in cui imperversa una triste povertà d’animo di valori e di sentimenti” – dice la Cabriolu – “il nostro paese ha bisogno di un forte richiamo al senso civico al rispetto delle persone, della loro intelligenza, della loro dignità”.

Non può mancare l’attacco ai social e alle realtà virtuali, alle aggressioni verbali, alla maleducazione, all’ignoranza. Un discorso limpido, ben strutturato, che non lascia indifferenti: le istituzioni e chi propone cultura devono impegnarsi per il recupero di una società che sta vacillando e rischia nel cadere di danneggiarsi in modo irreversibile.

Da qui l’urgenza continua la Cabriolu di “ricostruire le nostre identità, quelle delle nostre vite reali fatte di persone, bambini, gente disperata che muore in mare per cercare un futuro migliore”. Un devastante grido di aiuto se si riflette su verità che deflagrano. Fanno male. Arrecano dolore. Bisogna rieducare alla gentilezza, all’ascolto, alla bellezza, al confronto, predisporre luoghi dove potersi incontrare, porsi come esempio nei confronti dei ragazzi e soprattutto trasmettergli il senso del futuro che sarà migliore se verranno approfondite e studiate  l’esperienze del passato, quella memoria storica che è insita nella nostra anima, perché vissuta da chi ci ha preceduto, al fine di non ripetere gli stessi errori.

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Michele Mari e Italo Testa Courtesy Fondazione Dessì

E la vivace settimana culturale, legata ad uno dei premi italiani più longevi,  propone presentazioni di libri, dibattiti, simposi, coinvolgendo anche gli studenti delle scuole. Tra gli obiettivi vi è quello d’infondere l’amore per la lettura, perché leggere è un  ripiegarsi sulla vita stessa, per intuirne le oscure dinamiche. Non è solo raccolta di nozioni ma anche riflessioni. “Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto”  come diceva il nostro caro Antonio Gramsci.

La Giuria

Oltre alla settimana ricca di eventi culturali vengono premiati i testi selezionati da una giuria composta in prevalenza da accademici tra i quali il presidente della giuria Anna Dolfi docente dell’Università di Firenze e socia dell’Accademia Nazionale dei Lincei che nel discorso introduttivo presenta gli altri giurati: Duilio Caocci dell’Università di Cagliari, Giuseppe Langella e Giuseppe Lupo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Gigliola Sulis dell’Università di Leeds (Inghilterra); Gino Ruozzi dell’Università di Bologna; i giornalisti Luigi Mascheroni giornalista culturale de Il Giornale ed editore della collezione artigianale De Piante, Stefano Salis della pagina culturale del Sole 24 Ore; e il Presidente della Fondazione del Premio Dessì Paolo Lusci.

Diamo qualche numero per capire l’importanza e il valore che oggi ha assunto il Premio Dessì nel panorama della cultura italiana. I libri editi esaminati sono stati circa  500  e dopo un’iniziale scrematura di quindici testi, i giurati hanno scelto i tre finalisti.

La  poesia 

Per la sezione poesia sono stati premiati: Michele Mari, voce inconfondibile nel panorama della poesia italiana contemporanea, con un testo edito da Einaudi “Dalla Cripta” dove la parola affonda per struttura in quel passato classico,  che non è percepito solo come formazione necessaria del conoscere e del poetare ma, diviene valore assoluto ed eterno del contemporaneo per l’universalità dei temi trattati: “frammenti di memoria, noi e voi, / precipiti nel nulla a capofitto / perchè il passato è tutto, e siamo suoi”.

Altro poeta vincitore il docente di Filosofia Teoretica dell’Università di Parma Italo Testa, che propone una poetica diafana e trasparente, in cui l’indagine conoscitiva struttura il suo poetare, come sguardo su quella realtà che tutti vediamo ma che non “conosciamo”. Il valore di ciò che non è determinante, fondamentale, che ha una sua forza esistenziale.

Il testo edito da Marcos Y Marcos s’intitola “L’indifferenza naturale”. Una poesia sorta da un’ossessione, cara al poeta, del paesaggio “nel tentativo di precisare lo sguardo sul mondo. La poesia ha il compito di dare un nome alle cose senza nome, rivelarci l’esperienza e vederla sotto un’altro aspetto”.

La terza proposta, vincitrice del Premio Speciale Giuseppe Dessì è Patrizia Valduga.

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Patrizia Valduga e Francesco Permunian Courtesy Fondazione Dessì

Una poetessa lodata da Luigi Baldacci, uno dei più grandi critici del ‘900 e per lunghi tredici anni compagna di Giovanni Raboni, poeta e critico letterario. Il testo edito da Einaudi, s’intitola “Belluno. Andantino Grande fuga” e, se non sapessimo che fosse un testo poetico, dal significato delle parole potremmo pensare ad uno spartito musicale con la presenza di un  tempo leggermente lento e una struttura in musica a più voci. In realtà sono quartine che preparano il saggio finale sulla poesia di Giovanni Raboni.

Nate di getto nell’agosto del 2018 a Belluno, l’editore Einaudi impreziosisce la veste grafica, e propone il testo riportando sulla copertina il volto della poetessa quasi ad evidenziare l’originalità della sua voce poetica e del suo farsi esistenza. La parola crea raccordi  nel suo densificarsi  tra paesaggi, letteratura e amore, un sentimento che la poetessa svela e illumina con la parola.

Il testo si pone “come per raccogliere il testimone del grande poeta […] la poesia di Raboni, dopo 15 anni di speciale frequentazione, oltre la soglia della vita fisica,  attraversa l’intero libro ed è oggetto di considerazione della poetessa. Un saggio che vuole precisare questioni rilevanti della poesia e della poetica di Raboni”. Questa la motivazione della giuria che conferisce il premio “con convinzione al più recente e atipico libro di una delle voci più importanti della letteratura italiana contemporanea”.

La poetessa, (che personalmente, mi ha sempre ricordato l’incedere e l’allure della pittrice del secolo scorso Leonor Fini n.d.r.) si mostra nella sua esile e delicata figura dalla pelle bianchissima, quasi lucente, elegante nel suo abito total black. Sale sul palco, visibilmente felice ed incredula. Inizia a parlare. E con voce intimorita e segnata da commozione racconta la genesi dell’opera  nata da una profonda delusione: il mancato sostegno da parte del Corriere della Sera e del Comune di Milano ad un suo  progetto  : dedicare lo spazio di ciò che rimane del lazzaretto manzoniano a Giovanni Raboni. Luogo che peraltro si trova in prossimità della casa in cui è nato.

E continua la poetessa con la voce spezzata, commossa “così mi è venuta in mente questa cosa strana”. La fine dell’opera è segnata da un toccante appello al Presidente della Repubblica, una lettera: “mio caro Presidente, questo è quanto/ accolga la mia supplica e il mio pianto/ che è senza lacrime / che non si asciuga/ il 10 agosto Belluno Valduga.”

Una supplica accorata quella della poetessa, che speriamo venga accolta. L’opera di Giovanni Raboni, al pari di altri intellettuali e letterati, deve avere un proprio spazio perché la sua opera ha contribuito in modo considerevole alla grandezza della poesia e della critica letteraria in Italia e nel mondo.

La narrativa

Dopo un breve intermezzo musicale, dalla voce di Irene Nonnis, si prosegue con la presentazione dei finalisti per il genere della narrativa. Viene premiato Gianrico Carofiglio, autore per certi versi innovativo che è riuscito sviluppare in Italia un nuovo genere letterario il legal thriller. Scrittore molto conosciuto e stimato per la sua lucidità e coerenza intellettuale. Il romanzo premiato “La versione di Fenoglio” edito da Einaudi.

Ma qui ci si vuole soffermare su una domanda posta dal presentatore della serata, che vede una certa assonanza tra Dessì e l’autore sull’utilizzo della parola “scelta”. Una parola presente nel suo saggio “La manomissione delle parole” una riflessione sulla manomissione del linguaggio pubblico”. La finalità posta era quella di recuperare il significato di parole spesso abusate quale giustizia, ribellione, vergogna, bellezza e scelta. Come? iniziando ad evidenziare i contrari delle parole. Dopo un’attenta ricerca la parola “scelta” è apparsa l’unica a non avere contrari. “La scelta  – dice Carofiglio –  è una virtù e la prerogativa fondamentale più ancora della libertà. È un presupposto dell’esercizio della libertà. Per scegliere bisogna esser consapevoli e l’accento viene posto sulla scelta che implica azione” e coerenza.

Dopo una breve lezione di etica (starei ore e ore ad ascoltare Carofiglio per la semplicità espositiva di temi complessi n.d.r.)  viene premiato “Il Sillabario dell’amor crudele” edito da ChiareLettere di Francesco Permunian a cui verrà assegnato il super premio Dessì. Uno scrittore che mostra subito il suo tessuto esistenziale: sensibile, genuino, si definisce ex-centrico, fuori dal centro, lontano da contesti letterari o giornalistici, ama vivere tra le sue cose e i suoi libri, restio ai viaggi, agli spostamenti:  “Gli unici viaggi sono quelli tra le pareti della mia mente. Nello specchio del Garda si specchia il mondo intero” e continua dicendo che non amavano spostarsi tanti altri autori e cita carlo Emilio Gadda, Andrea Zanzotto e poi Vitaliano Brancati che pur avendo viaggiato “vedeva” tutto nel suo paese Zero Branco, in provincia di Treviso. Lì riusciva a vedere la Cina persino l’Olanda. Permunian si rivela una persona che nonostante tanta sofferenza ha raggiunto la sua “misura” della vita, adattando il suo universo creativo alla  scrittura.

La giuria nella motivazione evidenzia la capacità dello scrittore di abbracciare una narrativa ricca di tante sfumature che vanno dal grottesco al comico che “si proietta oltre il racconto di provincia volendo legare dialetto, antropologia, memorie del territorio con le contaminazioni di un’Europa laica e illuminista.”

Il suo stile narrativo, che è stato avvicinato a quello di Calvino e Sciascia, “svela uno scrittore coraggioso, appartato poco incline alle mode letterarie inconfondibile nella voce e nella fisionomia.”

Lo scrittore ama il genere comico, per lui è fondamentale. E per definirne l’importanza cita una frase di un suo autore preferito il filosofo Ralph Waldo Emerson: La comicità è la signora del dolore. Continua in un’irrefrenabile loquacità a parlare dei suoi autori di formazione tra i quali ci sono le “righe” del Cardinale Martini e alcuni autori visionari come Sergio Quinzio, il fotografo Mario Giacomelli che pur avendo la quinta elementare “aveva una capacità fotografica e visionaria in cui mi sono riconosciuto” specialmente nelle tematiche legate all’età dell’infanzia o della vecchiaia.

Si mostra felice di esser ritornato in Sardegna. Quando venne 13 anni fa, aveva trovato una terra simile al suo Polesine, povero e travolto dall’alluvione del Po degli anni ’50. Oggi desiderava rivedere Villacidro. Ma la commozione per il premio diviene tangibile, più intensa quando parla della sua famiglia, della sua storia, della necessità di scrivere quasi per superare un dolore abissale e il suo viso accoglie lacrime e con voce labile, debole parla della figlia Benedetta, alla quale dedica il premio. “Io ho potuto scrivere perché ho avuto accanto una figlia meravigliosa che mi ha sostenuto sempre nella mia vedovanza. Oggi lei ha 40 anni e mi fa da sorella, madre, amica. Mia moglie è morta giovanissima 39 anni fa. Questo premio è per le donne della mia vita. Loro mi hanno dato quel microclima mentale da monaco della scrittura, come lo era Flaubert”.

Il dolore di un vedovo con la figlia di un anno da aiutare nella crescita è incommensurabile. Non ci sono parole. Solo chi vive quell’istante ne percepisce l’abisso.

Dopo questo ricordo struggente che suscita commozione e applausi in tutti i presenti Permunian continua a parlare dei suoi maestri e cita i maestri del Nord Europa, Franz Kafka, Thomas Bernhard, Antonio Lobo Antunes tra i più importanti autori portoghesi con il quale lo scrittore ebbe uno scambio epistolare quando Antunes, medico specializzato in psichiatria, dirigeva l’ospedale Miguel Bombarda di Lisbona. Ora cita i poeti che più preferisce Philippe Jaccottet e Giovanni Raboni.  Loro gli hanno insegnato “cos’è la scrittura, la pulizia, la parola assoluta che ti dà l’esercizio della poesia”. Instancabile e con quell’entusiasmo di un bimbo che affronta la vita con curiosità irrefrenabile per poi raccontare con slancio vitale le esperienze positive vissute, continua a raccontarsi.

“Quando ero studentello  a Padova si credeva che la parte più alta della letteratura fosse la poesia. I miti di allora erano Andrea Zanzotto, Diego Valeri, Ezra Pound ormai chiuso nel suo mutismo. Io mi sono laureato con una tesi su un poeta Vittorio Sereni. Cominciavo a scrivere versi che portavo a Pieve di Soligo da Zanzotto.”

L’autore ricorda che aveva 35 anni era rimasto vedovo da pochissimo tempo. Scriveva poesie che esprimevano la disperazione e il dolore per ciò che aveva vissuto. Tanto che un giorno il poeta lo prese da parte e gli disse ” devi smettere di scrivere con le lacrime agli occhi perché le lacrime escono e cadono sulla pagina e sporcano tutto. Devi scrivere con il ricordo delle lacrime e mi diede la Recherche di Proust e le opere di Raboni”. L’inquietudine, la profondità, la nobiltà d’animo di  Francesco Permunian rimarranno  indelebili nei ricordi dei presenti.

E ora parliamo del terzo vincitore, Matteo Terzaghi, con il suo libro edito da Quidlibet “La terra e il suo satellite”.

Matteo Terzaghi parla della sua incapacità a divagare e dell’importanza della sintesi nella sua opera. Testo conciso, impregnato di significato “come se altre forme non fossero possibili”[…] aggiunge di non esser capace a scrivere un romanzo. “Forse  c’è una corrispondenza tra la forma mentis e la forma dei testi che scriviamo”.

Questa osservazione rimane sospesa, meriterebbe approfondimenti, ma per esigenze di spazio siamo costretti a ricordare le altre importanti premiazioni: Premio speciale della giuria a Claudio Magris uno dei più autentici intellettuali del nostro tempo, autore di libri indimenticabili tra i quali Microcosmi con il quale vinse il Premio Strega nel 1997. Con questo premio si vuole evidenziare “il valore della cultura, dell’intelligenza, dell’impegno, della passione letteraria e civile che ha guidato la sua vita […] un modello di intellettuale” da porsi come esempio. Mentre il Premio Speciale Fondazione di Sardegna viene consegnato: a  Tullio Pericoli, scrittore e disegnatore che sembra render giustizia all’indecifrabilità, la sua è “un’arte della precisione e della visione, […] una pittura che sembra calligrafia dell’anima e del territorio”; altro Premio Speciale Fondazione di Sardegna a Lina Bolzoni, critica letteraria, che ha insegnato alla Scuola Normale di Pisa per il suo lavoro divulgativo inerente alle numerose pubblicazioni e saggi editi sulla Letteratura”.

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Una serata piacevole a tratti divertente ma che ha toccato momenti di pura commozione, scandita e impreziosita dalle letture estrapolate dai testi e da spazi musicali. Intarsi armonici che hanno donato bellezza all’evento.

Si sono valorizzate le opere senza tralasciare i messaggi di portata etica e per certi versi antropologica dello scrittore sardo. Un Premio che continua ad allinearsi con una propria fisionomia tra i più importanti del panorama letterario italiano.

”Quale occasione migliore per offrire una rassegna di scrittori impegnati a riflettere sulla nostra condizione storica, sui nostri problemi, senza che si perdano di vista i problemi più generali del mondo intero… “ Parole di Giuseppe Dessì e Nicola Tanda poste nella prefazione dell’antologia Narratori di Sardegna, una significativa premonizione (anche se nel caso sopracitato gli autori si riferivano agli autori sardi presenti nell’antologia) sugli obiettivi, finalità  e portanza di contenuti del Premio Dessì.

I libri cosa sono in definitiva? sono conchiglie che poggiate all’orecchio per ascoltare il rumore del mare/mondo fanno confluire in noi diverse sonorità/ significati / esperienze   e luoghi di pensiero, stanze da cui non vorremmo andar via.

 

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A Nuoro per ISREAL 2019, il regista vincitore del David di Donatello, ROBERTO MINERVINI

 

In questi giorni a Nuoro,  l’ISRE – Istituto Superiore Regionale Etnografico con il suo direttore artistico Alessandro Stellino –  promuove in collaborazione con SIEFF – Sardinia International Ethnographic Film Festival – ed insieme ai contributi della Fondazione Sardegna Film Commission e della Fondazione Sardegna la quarta edizione di un importante rassegna di docu-film di autore ISREAL – Festival di cinema del reale che ha come tema: sguardi sul Mediterraneo.

All’Auditorium Giovanni Lilliu fino al 12 maggio saranno proiettati circa una trentina di film, opere realizzate nell’area del bacino del Mediterraneo, di cui 9 film – che participano al concorso legato all’evento –  rappresentano le nostre tradizioni e le trasformazioni sociali, un presente contemporaneo con percorsi evolutivi indissolubili dalla nostra identità.

Non ci si focalizza solo sulla Sardegna o sull’Europa, ma con un più ampio respiro, si volge lo sguardo anche all’altra parte del mondo. 

E con la presenza di Roberto Minervini, pluripremiato regista, vincitore del David di Donatello (2014) si guarda agli Stati Uniti, che attualmente con la presidenza di Trump vivono un clima di incessanti cambiamenti socio-economici con una recrudescenza dei fenomeni razziali.

 

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La città di Nuoro propone questo festival in cui si riafferma il principio posto nello statuto dell’ISRE ovvero quello di creare ponti, abbattere barriere, al fine di costruire e condividere conoscenze, nuovi sguardi orientati verso una crescita di consapevolezza etica, verso  un  futuro credibile, migliore.

Sul sito IsReal è possibile scaricare il programma e l’interessante catalogo.

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In these days in Nuoro the ISRE – Regional Ethnographic Higher Institute  with its artistic director Alessandro Stellino – promotes in collaboration with SIEFF – Sardinia International Ethnographic Film Festival – and the contributions of the Sardinia Film Commission Foundation and the Sardinia Foundation the fourth edition of an important review of docu-films  IsReal  – Film festival of the real which has as its theme: looks on the Mediterranean.

At the Giovanni Lilliu Auditorium until May 12, around thirty films will be screened, works created in the Mediterranean area, of which 9 films – which participate in the contest linked to the event – represent our traditions and social transformations, a contemporary present with indissoluble evolutionary paths from our identity.

We don’t just focus on Sardinia or Europe, but with a broader focus, we also look to the other side of the world. And with the presence of Roberto Minervini, award-winning director, winner of the David di Donatello (2014), the United States is looked at, which currently with the presidency of Trump live a climate of incessant socio-economic changes with a resurgence of racial phenomena.

Nuoro’s city proposes this festival which reaffirms the principle set in the statute of the ISRE: to create bridges, break down barriers in order to build and share knowledge, new looks oriented towards an increase in ethical awareness, towards a  credible and better future.

On the site it is possible to download the interesting and curated catalog and the program of the days.

Carnevale di Tempio Pausania 2019: “edizione storica” tra esperienza e innovazione

Durante l’inverno nella graziosa cittadina di Tempio Pausania,  situata ai piedi del monte Limbara nel centro della Gallura, si organizza un Carnevale, per un periodo di  sei giorni, da giovedi grasso a martedi, tra i più divertenti e coinvolgenti della Sardegna.

È una festa mobile che si svolge generalmente tra febbraio e marzo, legata alla ricorrenza cristiana della Pasqua. Mesi di freddo intenso nei quali spesso nevica, rendendo il paesaggio più onirico che reale. Un vero incanto.

Ma lo stato del tempo poco incide sulla manifestazione per la caparbietà e la determinazione che caratterizza i tempiesi.   Infatti sorprende e contraddistingue lo spirito degli abitanti: un’energia che non conosce fatica, una vitalità mista a frenesia, un desiderio di divertimento sfrenato. Sentono e vivono questa festa come un rito dal quale  non ci si può astenere, anzi, tutta la popolazione ne rimane coinvolta.

Una ritualità che evoca antiche tradizioni. Troviamo echi del Carnevale nell’antica Grecia con le Dionisie in onore a Dioniso, dio del vino e della vita – intesa come vitalità, forza creatrice –  in cui tutta la comunità si fermava per partecipare attivamente e si abbandonava ad una sorta di euforia.

DSC_7074Re Giorgio, il re del Carnevale Tempiese 2019 – ph. ©LML

Successivamente nell’antica Roma si celebravano le  Saturnali in onore di  Saturno,     – divinità legata al ciclo vita-morte corrispondente alla divinità greca Cronos, dio del tempo –  di cui Marziale, Ovidio e altri autori latini scrissero nelle loro opere. Queste feste erano caratterizzate da un gran caos, confusione, dall’articolarsi di un mondo alla rovescia. I divieti o imposizioni ai quali fino a quel momento si ubbidiva,  venivano revocati. Si abbandonavano sovrastrutture che creavano malcontento e disagio. La libertà si esprimeva in ogni sua forma. Anche la struttura sociale veniva ribaltata. La società si armonizzava, si annullavano differenze di classe anzi alle volte si assisteva ad uno scambio dei ruoli. Si diveniva più solidali, più socievoli.

Il tema “Confusione” è stato scelto per il Carnevale di Tempio 2019.  Ho apprezzato molto questa scelta perché la parola, come significato/simbolo, rafforza il legame con la più antica tradizione ovvero con le antiche feste pagane  greco-romane,  le cui sfumature sono ancora ben visibili nella tradizione del Carnevale Tempiese. La parola di derivazione latina:   “con” insieme “fusus” fuso implica l’effetto del mischiare insieme. E questo è lo spirito che contraddistingue, per tutta la sei giorni, il carnevale: le differenze svaniscono in nome della libertà di pensiero, di ceto sociale, di genere. Una sorta di follia collettiva che in apparenza potrebbe sembrare priva di  senso, ma in alcuni casi, come vedremo dalle significative allegorie dei carri, è legata a pura razionalità e concretezza.

DSC_7109Mannena, moglie di Re Giorgio –  ph.©LML

I maestri carrascialai hanno svolto il tema con competenza. La realizzazione dei carri allegorici è stata lunga e impegnativa:  il disegno,  la struttura, la preparazione dei calchi,  la cartapesta,  le parti  meccaniche,  la decorazione e la finitura. L’abilità tecnica acquisita da anni di esperienza si evince nella ricerca di una tridimensionalità tipica della scultura, con intagli e sbalzi realizzati con molta attenzione, una lavorazione certosina, meticolosa. Il linguaggio cromatico è armonico, luminoso, vellutato. L’esito finale delle opere lascia spazio ad un equilibrio di proporzioni, di gradevolezza nelle forme e nelle palette scelte dai decoratori. I carri allegorici appaiono esteticamente molto curati. Oggi l’esperienza dei maestri carrascialai maturata negli anni è divenuta più completa e strutturata. Inoltre si assiste al passaggio di eredità delle conoscenze acquisite. I figli dei maestri proseguono il lavoro dei “padri” arricchendolo con nuove idee, nuove ricerche. Un lavoro encomiabile. Tutti volontari, ogni anno migliorano i propri linguaggi artistici. Non ci si inventa carrascialai, sono necessari tanti lunghi anni di apprendistato, di esperienza, di applicazione, senza tralasciare manualità e creatività.

Quest’anno sotto la direzione artistica del creativo Alessandro Achenza, – uomo scrupoloso e attento nel curare i più piccoli dettagli, di grande simpatia e umanità, con un’esperienza pluriennale nell’organizzazione di eventi   –  abbiamo assistito ad un Carnevale che merita di esser ricordato per la bellezza dei carri allegorici, per la puntuale  organizzazione e per la satira frizzante e intelligente.

Infatti la satira è un altro elemento che contraddistingue il Carnevale. Si ha una presa di coscienza collettiva dei problemi che affliggono la società.  Si elaborano  con ironia e  si denunciano proprio per quello spirito di ribellione, caratteristico del carnevale, in cui tutto è concesso. Il desiderio, nascosto sotto quel velo di sottile follia è  quello di cambiare e migliorare la qualità di vita di tutti. Dai latini ancora una volta un grande insegnamento “Ridentem dicere verum: quid velat?” Chi vieta di dire la verità scherzando? come scriveva Orazio nelle Satire.

Tanti i carri e i gruppi mascherati che hanno espresso con interessanti allegorie uno dei più gravi problemi che affligge il nord Sardegna legato alla Sanità. Con  l’apertura di un secondo ospedale ad Olbia,  il Mater,  altri ospedali rischiano di chiudere o ridimensionare il numero dei reparti; il numero del personale, – con grave disagio per gli utenti che devono percorrere lunghe distanze per un semplice esame diagnostico; – i ricoveri in cui si rende obbligatorio il trasferimento per mancanza di posti letto. Purtroppo,  tra questi c’è l’ospedale di Tempio Pausania.

Tra i vari gruppi “Mater Qatarru” si è distinto per satira e  creatività. Nel carro     figurativo c’era un viso sorridente, forse di chi ha appena commesso qualche furbata, vestito da emiro, seguito dalla sua corte con costumi molto belli e  curati.  Lo stesso gruppo ha realizzato una canzone che si può ascoltare su You Tube, inoltre, una ballata in rima che riporto integralmente perchè divertente, ben scritta che implica grande impegno nella scrittura. Con poche parole si è cercato di sintetizzare il malessere dei cittadini tempiesi, ormai, stremati da una situazione divenuta  insostenibile. Un brutto incubo di memoria kafkiana a cui è difficile credere.

Han sottratto posti letto/ senza minimo intelletto/ Han donato ai Qatarini/ tanti nostri bei soldini/ Arru il gran devastatore/ ha lasciato un gran fetore/ Mater Olbia ormai una reggia/ gli altri solo una scorreggia/ se ti ammali son dolori/ non si trovano dottori/ ma se hai un bel conto in banca/ l’assistenza non ti manca/ ci hanno tolto un gran diritto/ in virtù del gran profitto/ sul qatarru ruota tutto chi ha deciso è un farabutto.”

Il riferimento alla politica cittadina, subordinata ad una certa incompatibilità tra gli abitanti dello stesso palazzo, viene evidenziata nel carro Tempio Horror Circus – Lo show dei fenomeni –  in cui seguendo una satira che riflette il luogo comune del Carnevale, quale mondo alla rovescia troviamo il palazzo comunale divenuto un circo in cui gli animali hanno sembianze umane ma  enfatizzate forme caricaturali, che alla stregua degli animali si “esibiscono” in pericolosi giochi di potere. La figura femminile che sgambetta con tre gambe in posizione capovolta, sembra dimenarsi perché vorrebbe occupare la pedana più alta. Se i politici vengono definiti da natura animalesca di predominio e prevaricazione, in contrapposizione il popolo prende in mano la situazione e insorge perché stremato, e tutti s’improvvisano domatori di fenomeni da baraccone.

DSC_7333Tempio Horror Circus – ph.©LML

Un carro allegorico ben decorato che evidenzia l’antico sapere – con la presenza di libri rilegati in pelle a ricordare vecchi tomi di biblioteche storiche, – e alcuni simboli degli anni 90, è stato realizzato da Quelli del Karnevale. Il tema scelto La storia degli anni 90. Ho avuto modo di intervistare il rappresentante del carro e sono rimasta piacevolmente sorpresa dalle sue parole:

“Il sapere degli anni 90 non era su internet bensì sui libri. Sono nato nel 1988 e ricordo che quando ero piccolo con i miei amici giocavamo in piazza, all’aria aperta. La tecnologia ci ha distrutti, abbiamo perso la semplicità e i valori di una volta. A quei tempi c’era la lira come moneta ufficiale, il potere d’acquisto era maggiore. Si stava meglio. Tutti stavano meglio. Abbiamo pensato di ristamparla”.

DSC_7218DSC_7213La storia degli anni ’90 – ph.©LML

Parole che esprimono nostalgia, consapevolezza di una svolta epocale, che non ritornerà più. Internet ha permesso la globalizzazione, annullando le distanze, velocizzando l’acquisizione di nuove idee, ottimizzando conoscenze ma ha creato tanta solitudine, smarrimento e tanta insofferenza nei giovani. È necessario dare un orientamento ai più piccini, valutare tempi e modi di utilizzo per evitare l assuefazione e rimanere intrappolati nella rete. La stoffa dei costumi coloratissimi riflette la Pop Art con un fumetto le cui parole raddoppiate rafforzano la probabilità del desiderio/sogno di un passato che magicamente possa ritornare:  “Edizione straordinaria, edizione straordinaria sono tornati gli anni ’90”.

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La Storia degli anni ’90 – ph. ©LML

Dopo questo flash back – che induce a riflettere sulla capacità di analisi, sulla consapevolezza dell’evoluzione socio-economica  e sulla  maturità mostrata dai ragazzi, tutti giovanissimi, che hanno raffigurato uno spaccato di vita degli anni ’90, peraltro in modo molto realistico, – un’altro carro The Crazy Carnival  allude alla teoria della femminista Donna Haraway e propone come significati Il manifesto cyborg. Il riferimento penso sia legato alla nostra contemporaneità in cui il dualismo per esempio di genere viene superato in quanto tutto è riconducibile all’unità. Tra echi ermeneutici e filosofici questo carro induce a profonde riflessioni. I nostri confini di esseri umani sono stati modificati dalla scienza e dalla tecnologia. La studiosa analizza nella sua teoria il superamento uomo/macchina. L’uomo è divenuto un Cyborg. Anche il genere unificato prende atto di questa trasformazione. Un tema legato alla fantascienza a cui forse si contrappone il desiderio di semplicità, autenticità, valori, propri delle comunità  di altri tempi.

DSC_7704Il manifesto Cyborg (particolare) – ph. ©LML

Un carro molto curato nei dettagli. Al centro una figura irreale, un volto con lineamenti androgini, che evoca un robot. Una maschera che ha perso l’anima con gli occhi accecati dall’irrealtà dei suoi stessi sogni. La nostra società ci sta  trasformando in esseri irriconoscibili.  Non abbiamo più sembianze umane, subordinati alla forza travolgente di ciò che sta limitando le nostre capacità intellettive e disgregando società. Un tema antropo-sociologico interessante che denota originalità e ricerca.

Un gruppo storico, tra i maestri carrascialai, è quello de ‘La Cionfra’. Un termine dialettale che esprime quella satira arguta, spiritosa propria del Carnevale. Il tema proposto ‘È arrivata la mamma di lu solisi focalizza sul ruolo dell’antropomorfismo proprio delle tradizioni popolari.  Il tema rappresentato dal carro esprime energia e positività, allude al desiderio di un cambiamento. Ovvero, se la situazione politica locale non cambia, si provvederà a far un bel falò del palazzo comunale e di tutti i suoi abitanti. Dalla tradizione popolare si evoca la leggenda  “la mamma di lu soli”, raccontata ai  bambini quando la vita sociale si svolgeva “in carrera” – ovvero nelle strade – e  nelle piazze. Una consuetudine, ormai caduta in disuso, era quella di riposare dopo pranzo, specialmente durante l’estate, per recuperare energia e affrontare il resto della giornata. Per evitare che i bambini giocassero per strada con urla e schiamazzi si intimava loro il divieto di uscire. Infatti si raccontava che  per le strade si aggirava la terribile mamma del Sole che avrebbe bruciato o rapito tutti i bambini che avrebbe incontrato  per la via. In questo carro è concettualizzata la finalità del Carnevale quando alla fine della sei giorni, tutto il malessere cittadino viene attribuito al Re del Carnevale e, non prima di esser processato, verrà mandato al rogo. La mamma di lu soli interverrà bruciando tutto, per ricominciare un nuovo periodo più felice,  mentre  a Re Giorgio  si attribuiscono tutte le colpe diventando capro espiatorio dell’intera comunità. Il fuoco è quell’elemento che permette alla comunità di salvarsi, di riprendere la vita nella sua quotidianità e  prepararsi per la prossima festa.

DSC_7561È arrivata la mamma di lu soli – Ph. ©LML

Il carro è scenograficamente molto bello. Assistiamo ad una visione frontale che invade i nostri sensi, in particolare la vista, per una gradazione cromatica vivace. Nella palette dall’arancio al giallo si vedono altre sfumature che danno leggerezza e corposità alle pieghe del vestito. Con la raffigurazione dei raggi solari prevale l’asse verticale. Il linguaggio visivo esprime l’antropomorfizzazione del sole e di sua madre: una fantasia di personaggi inventati.  Si sente l’esigenza di sdoppiare il sole –  o forse suo fratello? – quasi per rafforzarne l’intensità dei refoli di vento caldo che provocheranno la fine di un disordine non più tollerato.

DSC_7596È arrivata la mamma di lu soli – Ph. ©LML

Il gruppo I Vampiri, ha preferito vagar per mare con il tema “I pirati del governatore” e hanno realizzato un  carro che allude alla speranza, alla voglia di superare le vicissitudini di una vita politica regionale alla deriva. E così con il neo eletto governatore della Sardegna al centro di un veliero molto colorato forse ci si illude di raggiungere il tanto sospirato Eden in cui l’amore trionfa e “dove scorrono fiumi di latte e miele” o forse fiele?

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I pirati del governatore – ph.©LML

La caricatura del personaggio riflette un’estetica buonista? Chi governa sembrerebbe un uomo affascinante, con un sorriso che ammalia. Vedremo se i nostri pirati arriveranno alla loro meta. Il gruppo aveva come protagonisti tantissimi bambini che hanno eseguito le coreografie in modo eccellente, ben preparati. Anche i costumi erano molto belli e curati.

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I pirati del governatore – ph.©LML

Spesso i temi dei carri rimandano a personaggi della politica locale o nazionale. Oppure, rivisitano situazioni di vario carattere legate alla contemporaneità. Tra questi si è distinto il carro del Gruppo Folk Città di Tempio con il tema Missione Monna Lisa. Il riferimento culturale  potrebbe prender spunto dall’anniversario della morte del grande Leonardo. Per i 500 anni dalla sua  scomparsa in tutta Italia si allestiscono mostre, si organizzano eventi e simposi per celebrare le sue scoperte, i suoi disegni, le sue opere pittoriche, la sua infinita creatività.   Così  sulla scia di questi eventi si desidera recarsi in Francia per riprendere il celebre dipinto – che lo stesso Leonardo aveva venduto a Francesco I insieme ad altre sue opere. – Sul carro della spedizione abbiamo un bel busto di Leonardo Da Vinci con elementi di alcuni suoi progetti:  una ruota, un prototipo di ala   e  in primo piano il quadro in cui è ritratta Mona Lisa che per l’occasione ha perso quel mistero che avvolge il suo viso,  sguardo fisso, nessun accenno al sorriso enigmatico, un’atteggiamento di sfida, mentre Leonardo esprime visivamente la sua grande preoccupazione. Una missione irrealizzabile ma una bella idea, concepita con arte: dalla meticolosità con cui è stato realizzato il carro all’abilità sartoriale nel confezionare costumi rinascimentali.

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Missione Monna Lisa – Courtesy ph. Carnevale di Tempio 

Anche l’Amore è stato protagonista del Carnevale con un carro che inneggiava all’amore universale, presenti i simboli delle più importanti religioni del mondo. Un carro  molto articolato dal titolo The Gospel Voice organizzato dal New Group. Le protagoniste raffigurate, donne di diverse religioni, cantano Gospel con Aretha Franklin contro la violenza sulle donne. Carnevale quindi può essere un momento di riflessione e di sensibilizzazione su temi che disorientano, sfuggono a logiche incomprensibili, come il femminicidio. Ecco l’urgenza di proporre un tema legato all’amore, che implica il rispetto totale nonché la libertà. L’Amore non è possessione, nè violenza, ma condivisione, confronto, dialogo, apertura. Nel retro del carro è disposta una scalinata con tante scarpe rosse. Pur essendo piccola, suggestiona, scalfigge sensibilità.  Una presenza/assenza che fa vacillare e cadere, per un contraccolpo di dolore. Intenso. Un intimare che l’amore non è uno scherzo ma un dono datoci dalla divinità che va tutelato sempre, per riflesso di quella scintilla di sacralità che è insita in noi.

DSC_7410The Gospel Voice – ph. ©LML

L’Amore unisce, si lega al concetto di uguaglianza, non contempla differenze. Davanti a Dio siamo tutti uguali. Sono legata ad una frase del Talmud che esprime l’importanza che ognuno di noi ha per il prossimo: “Chiunque salvi una singola vita, è come se avesse salvato il mondo intero; chiunque distrugga una singola vita, è come se avesse distrutto il mondo intero”. Il femminicidio è un uccisione di massa. Bisogna arginarlo con tutti gli strumenti che si hanno a disposizione. Un bel tema, è lodevole che questo coro gospel lo abbia evidenziato. Un ricordo per i tanti angeli andati via da questa terra troppo, troppo presto.

DSC_7415DSC_7412DSC_7421The Gospel Voice – ph. ©LML

Ogni anno partecipano nuovi gruppi con idee sempre più originali e ben elaborate.  Organizzare un Carnevale è un’arte che, oltre alla vena creativa, si deve avvalere di tanta esperienza.

Per motivi di spazio non posso scrivere di tutti i gruppi  ma voglio menzionarli, perché tutti hanno permesso che questa edizione sia stata veramente FANTASTICA. Desidero sottolineare che senza l’impegno, il sacrificio, le idee creative si sarebbe fatto ben  poco. Inoltre, voglio pensare che anche dal cielo sia stato dato qualche valido aiuto, con la “presenza” di tanti carrascialai che il Carnevale lo custodivano nella loro anima.

Ecco i nomi di altri gruppi partecipanti con il tema proposto: La Tribù:  Due galli in un pollaio;  La Vecchia Guardia : I giullari;   Compagnia di San Giuseppe:  Gli egiziani: la maledizione di Tutankamon;   La gioventù del Carnevale; Per il viaggio;   I fantastici 5Gruppo last minute; Li scasciati :Mamma Disney ;  Li ciuanotti; Quattro mori; Pijamas’ world; Gli anomalia. Carri ospiti di altri comuni galluresi: Comitato carrasciali trinitaiesu; B-team Badesi : Eternal Playboy; Comitato di Vignola:  transformer la vendetta del caduto; Carnival passion : temenos l’inconscio.

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©ph. LML

I costumi realizzati con cura e  attenzione ai dettagli rappresentano una ricostruzione storica non opinabile, né superficiale ma riflettono autenticità e realismo. Un altro elemento da considerare è l’abilità dei figuranti, grandi e piccini, nel cimentarsi in coreografie a volte  complesse. Un risultato che richiede impegno ed esercizio. È lodevole la creatività applicata sul significato, sulla satira che si vuole comunicare, sul disegno del carro, sui costumi, sulle performance.

Nel complesso è stato un carnevale che ricorderemo, ma, vorrei esprimere un desiderio nella speranza che venga raccolto e trasformato in una “stella”: un Carnevale che sia un momento di distensione e riavvicinamento per tutti gli abitanti della Gallura. Un po’ come accade nella provincia di Nuoro. La concertazione aiuta a raggiungere risultati inaspettati. Impariamo a rispettarci e a collaborare. Così finalmente potremo parlare di Provincia Gallura e realizzare tutto ciò che resta solo parola.

©️Lycia Mele Ligios