Carla Badiali e il Futurismo

In questo articolo voglio parlare della figura della donna nei primi anni del ‘900. Periodo che ha visto l’affermarsi di varie correnti letterarie ed artistiche tra le quali il Futurismo.

Questo movimento da un lato ha permesso di respirare una energia rigeneratrice, dall’altro per certe sue affermazioni contenute nei manifesti, anche se poi ritrattate dal suo stesso fondatore Tommaso Marinetti, ha sfiorato il puro non-sense. Molti i critici che si sono soffermati sul suo desiderio di provocazione.

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Forse nell’uomo di allora incominciava a delinearsi una nuova consapevolezza che vedeva la donna pari a se stesso per intelligenza, capacità, intraprendenza, spirito di adattamento e ancora volontà, determinazione nel portare avanti un progetto e nel vederlo concretizzare. Inevitabilmente ciò creava una sorta di competizione e forse timore di “usurpazione”, probabile retaggio culturale insito nel dna.

Ciò indusse Tommaso Marinetti, acrobata folle e impavido, con grandi capacità di sintesi e forti intuizioni, a scrivere nel suo primo manifesto futurista del 1909, queste pietre-parole: “…Noi vogliamo glorificare …il disprezzo della donna”.

Una frase molto forte che tuona come un fulmine e nel cadere sradica alberi ferendo l’anima della natura. È una frase che cova risentimento, odio… Forse un’amore che lo aveva fatto soffrire? Un’amore folle che gli aveva rubato l’anima e la mente?

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Avvalendomi di tutta la mia razionalità non sono riuscita a penetrare questa frase. Anzi più la leggo più non riesco a capire. Fosse vivo avrei voluto chiedergli cosa pensasse di sua madre e se fosse riuscito a glorificare il suo disprezzo per avergli donato la vita.

Si giustificherà, rettificherà, dirà che è stato frainteso. Ma ormai aveva snaturato natura. Questa macchia gli rimarrà indelebile.

Questa sua avversione nei confronti della donna mi ha ricollegato ad un grande filosofo del I sec. dopo Cristo, Plutarco, che invece era riuscito a definire e capire l’universo femminile dimostrando di esser precursore dei nostri tempi, un nostro contemporaneo. Queste le sue parole:

” è illogico affermare che le donne siano incapaci di virtù. È inutile soffermarci ancora sulla loro saggezza e intelligenza, sulla loro fedeltà e sul senso di giustizia, dato che molte di loro hanno dato prova di grandezza d’animo, di coraggio, di energia virile”.

Per lui il femminile è l’anima del mondo quale immagine della vita impersonificata nella dea Iside. Per questo non può esserci sopraffazione da parte dell’uomo, perché sarebbe compromessa l’essenza della vita stessa.

Plutarco protagonista degli albori del pensiero dimostra  una concezione della donna molto moderna, oserei femminista, al contrario di Marinetti, che pur manifestando pluralità d’interessi,  rasenta con le sue posizioni ristrettezza e ottusità mentale.

Ma la misoginia iniziale veniva ritrattata e nel Primo Congresso Futurista del 1924 furono invitate le donne futuriste. Iniziava così a delinearsi una donna creativa, sensibile, intelligente, non più succube dell’uomo e/o “femme fatale” ma donna indipendente, con propri ideali.

Purtroppo i tempi per un’emancipazione totale e che coinvolgesse tutte le donne non erano ancora maturi. Ma si poté assistere ad un progressivo affermarsi di donne artiste come Eva Khun scrittrice e traduttrice; Benedetta Cappa pittrice e scrittrice, moglie dello stesso Marinetti; Artemisia Zimei scrittrice; Zdenka Podhajska danzatrice… Tante le scrittrici, le cantanti e le pittrici che, abbandonate consuetudini, si imposero con un  forte desiderio di riscatto guidate dalla profonda passione per ciò che facevano.

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Tra le pittrici voglio ricordare l’astrattista Carla Badiali, una donna molto discreta, ma con grande personalità.

Iniziò come disegnatrice di tessuti nelle seterie comasche e nello stesso tempo dipingeva. I suoi disegni attrassero il grande sarto francese Givenchy che le chiese una collaborazione. Aderì al futurismo con il Gruppo Primordiali Futuristi Sant’Elia ed evento importante partecipò unica donna alla biennale di Venezia del 1942.

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I suoi quadri geometrici riflettono l’essenza dell’eleganza ed una grande armonia. Il colore e la forma giocano un ruolo primario non essendoci elementi di congiuntura con il reale. Tutto è ricondotto ad un’essenza. E traspare una purezza dell’anima per la scelta e accostamento delle variabili cromatiche che riflettono un gusto estetico raffinato ed elegante.

Il rigore, la purezza, la nitidezza delle forme mi hanno condotto ad alcune sintesi di Simone Weil e al suo pensiero di umanizzazione delle forme geometriche:

“Quasi tutte le nostre azioni, semplici o sapientemente combinate, sono applicazioni di nozioni geometriche, l’universo in cui viviamo è un tessuto di relazioni geometriche, ed è proprio la necessità geometrica quella cui siamo realmente sottoposti come creature chiuse nello spazio e nel tempo.”
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Il senso di finitezza dell’uomo è racchiuso in questa frase contrariamente alla pluridimensionalità e infinitezza dell’universo. È il risvolto tragico e malinconico che percepisco in queste tele, pur con la presenza di variazioni cromatiche che trasmettono energia e vitalità.
Ma questo rigore mi impaurisce e mi fa percepire l’uomo privo di libertà di azione e pensiero perché subordinato a leggi che esulano dalla sfera esperienziale di cui l’uomo si nutre per avere consapevolezza del vivere.

È per questo che cerco di dare un significato gnoseologico alle sue opere, per avvicinarle al mio percepire la geometria, che come suggerisce Simone Weil ci da gli strumenti quali “rigore e precisione nella ricerca della verità” altrimenti l’uomo sarebbe incompleto. O come definisce Corradetti “il suo volto (della geometria) è la realizzazione suprema della bellezza” si arriva a quella totalità e armonia nell’unicità. La pluridimensionalità del reale viene sintetizzata in un unicum con un linguaggio espressivo semplice e lineare.

Una donna è riuscita a percepirlo e a trasmetterlo seppur riflettendo il linguaggio espressivo del gruppo al quale faceva parte: la donna-artista-futurista Carla Badiali.

Lycia Mele

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