All’Archivio Mario Cervo #nonmollaremai di Tommy Rossi : prevenzione oncologica e musica … per mano

Olbia, 24 Maggio 2023 – Ad Olbia esiste un luogo incantato, un piccolo giardino immerso tra stradine affastellate di quartiere. Spazioso. Informale. Ogni angolo respira musica e la memoria sconfigge l’oblìo in eterno silenzio. 

Parlo dell’Archivio Mario Cervo e dell’Associazione Culturale che lo gestisce, sempre più attiva nel promuovere eventi diversificati che lasciano segni indelebili nell’anima dei presenti: sia per le tematiche proposte che per l’atmosfera, densa di energia che si respira.

Alle volte penso sia dovuto alla passione per la musica di Mario Cervo, alla sua inquieta curiosità, alle sue costanti ricerche tangibili per l’immensa mole di musica archiviata.

Ebbene sì, si percepisce una sua “velata presenza”, forse l’intenzione di consenso, riposta in un abbraccio per il lavoro di ricerca, tutela e divulgazione della tradizione musicale sarda, svolto dai suoi famigliari in un continuum con il suo precedente lavoro di raccolta.

Tommy Rossi | Courtesy of ©️archiviomariocervo

In questo tempio della musica sarda si è svolta la serata #nonmollaremai a carattere medico-divulgativo-solidale. Nata da un’idea dello speaker radiofonico Tommy Rossi, con la collaborazione dell’Ass. Culturale “Archivio Mario Cervo” e dei medici del reparto di Oncologia del San Giovanni Paolo II al fine di sensibilizzare le persone alla prevenzione e agli screening oncologici salvavita, a seguire stili di vita più sani per debellare l’insorgenza di forme tumorali.

Agli interventi degli oncologi seguono le esibizioni  (a titolo gratuito) di alcuni artisti sardi: il bluesman Francesco Piu e il gruppo etno-pop dei Tazenda e proprio al loro leader storico, Andrea Parodi, scomparso nel 2006 per un tumore, si dedica l’intera serata.
Inoltre, si promuove un fundraising per acquistare beni primari al reparto di Oncologia.

Il primo a prender parola è il primario di oncologia del GPII, Dott. Salvatore Ortu, che illustra brevemente la nascita del reparto inizialmente integrato nel reparto di Medicina.
Quando giunto ad Olbia nel 1992, dopo aver vinto il concorso di medico oncologo, organizzava un piccolo ambulatorio, grazie alla collaborazione del personale presente.

In seguito, ottenute nuove risorse finanziarie, nuovi spazi e nuove figure professionali riuscì a creare la realtà attuale che avrebbe permesso di seguire e prendersi cura dei pazienti oncologici nelle varie fasi.

Il cancro è una malattia che da un lato impressiona per i dati raccolti (su 160.000 abitanti della ASL Gallura, 1000 circa sono i pazienti oncologici per anno in Gallura, dato parziale perché si escludono le persone in cura presso altre strutture) dall’altra infonde speranza per la costante ricerca di terapie innovative e nuovi protocolli medici.

I pazienti in cura sono 7000, di cui 100 al giorno transitano in reparto per prime visite, follow up e terapie; 60 pazienti fruiscono dell’assistenza a domicilio in varie zone della Gallura; è attivo un hospice con 8 posti letto, pochi per una struttura che ha numeri importanti. (Si spera che arrivino nuove risorse per gli 8 nuovi posti letto promessi).

Dopo questa premessa di carattere organizzativo con allarmanti dati statistici, il Dott. Ortu ringrazia e ricorda il lavoro prezioso svolto dal personale infermieristico, riferimento costante e valido supporto per i medici e pazienti.

Francesco Piu | Courtesy of ©️archiviomariocervo

Ed ecco protagonista la musica con il talentuoso bluesman Francesco Piu che esegue alcuni brani classici del suo repertorio come l’intensa “Trouble So Hard” con una dedica a “Frantziscu,  faro per tutti i musicisti dell’isola”. Con parole di pura riconoscenza Piu ricorda Francesco Pilu, il carismatico musicista dei Cordas et Cannas, frontman, polistrumentista e voce del gruppo, rubato presto alla vita, lasciando sgomenti e increduli, chi lo conosceva.

Ora attinge dal passato leggendario della musica blues, con echi di Robert Johnson, padre fondatore, con sonorità frizzanti proprie dell’incredibile washboard, – strumento “povero” utilizzato fin dalle origini di questo genere musicale – e con la mitica armonica a bocca, che avvolge all’unisono la sua voce graffiante, calda e modula l’allegria sonora del washboard che trasmette vitalità, incoraggia.
Ciò prova come questo genere musicale sia autentica “poetica di sopravvivenza”, ( per citare lo scrittore Massimo Carlotto, che non scrive senza ascoltare blues)  anche se in realtà tutta la musica ha in sé questa potenzialità: aiuta a sopravvivere. È terapia per l’anima.  Lenisce ferite. Consola.  Acchiappa ricordi. Sfiora l’eterno.

Infine, prima di eseguire l’ultimo brano “Hold On” tratto dall’album “Pace e Groove” ripete l‘inno della serata #nonmollaremai perché è importante “resistere”.

Infatti, non bisogna mai perdere la speranza, ma al contrario ci si deve aggrappare per reagire, focalizzare bei ricordi e sensazioni provate e combattere. Ci si deve “incollare”, quasi aderire alle stupende emozioni che offre la vita espresse in tutto ciò che ci circonda: natura, cielo, mare, affetti più cari, animali domestici, tutto ciò che é vivo, che trasmette vita e che ci fa star bene. E, come ricorda lo stesso Piu nella canzone:

“Continua ad andare avanti e non sentirti mai solo […] 

Devi portare i tuoi sogni, i tuoi sogni amico mio 

Lungo ogni strada che percorri, 

in modo che possano prendere il volo”

Tommy Rossi e Teresa Pira | Courtesy of ©️archiviomariocervo

Dopo il breve concerto di Francesco Piu,  intervengono gli oncologi la dott.ssa Teresa Pira e il dott. Alessandro Masala, che espongono, con argomentazioni più tecniche e specifiche, i protocolli di prevenzione e screening; parlano dell’importanza di eliminare i fattori di rischio quali il fumo, l’obesità, la sedentarietà, i rapporti sessuali promiscui non protetti e l’abuso di alcolici (come prevenzione primaria).

Lo screening (detta prevenzione secondaria) comporta una diagnosi e se presenti lesioni precancerose si provvede a terapia o asportazione. 

La dott.ssa Pira esaustivamente parla: del vaccino (gratuito) HPV negli adolescenti sia maschi che femmine che rimuove il Papilloma Virus nel 95 per cento dei casi; dello screening gratuito attivo solo per mammella, colon-retto e collo dell’utero, ciò perché le statistiche hanno evidenziato una notevole riduzione della mortalità.

Dott. Masala continua a parlare di screening del colon-retto che nel 2023 è stato sospeso per mancati accordi con l’azienda farmaceutica che fornisce i dispositivi. Ma, sottolinea un dato infelice nel 2022 su 6000 lettere inviate per lo screening solo 1300 quelle evase e continua con l’approvazione di questo tipo di eventi al fine di sensibilizzare la popolazione a partecipare agli screening gratuiti e seguire i percorsi suggeriti.
Fare prevenzione è determinante perché questa forma tumorale, come riporta Dott. Masala, è la seconda per mortalità. I programmi di screening servono per ridurre questo dato, grazie anche ai “miglioramenti delle tecniche chirurgiche, all’innovazione delle terapie oncologiche”.

Si prosegue citando i markers tumorali spesso inaffidabili, a meno che non si abbia già una diagnosi; dei tumori del ramo encefalico che seppur trattati con terapie sempre più innovative presentano, purtroppo, un’elevata mortalità. Per questi tumori non esistono programmi di screening, ma si possono debellare seguendo sani stili di vita, eliminando i fattori di rischio primario precedentemente elencati e si conclude con un dato statistico sconcertante “l’80 per cento dei tumori cervico-cefalici sono correlati all’abuso di alcohol e sigarette” mentre il 20 per cento esulano da stili di vita impropri e possono esser di natura virale, HPV, virus di Epstein-Barr a ciò si aggiungono esposizioni a solventi, polveri,  etc. in ambito lavorativo che determinano i cosiddetti “processi di carcinogenesi”e sviluppano la malattia.

Interventi illuminanti su cui è bene soffermarsi e riflettere poiché nessuno è immune. Spesso si fugge davanti alla parola tumore,  si respinge perché prevale la paura dell’ignoto.  Gli ammalati si chiudono in loro stessi poiché le priorità rispetto alle persone sane mutano. Si cerca di vivere una vita parallela focalizzata sulle terapie e il recupero delle energie bruciate dalle terapie. Alla fine si sceglie “involontariamente” di parlare e condividere timori e perplessità con le persone  che affrontano lo stesso cammino per affinità e per combattere insieme, ma se si uniscono le forze, in un supporto reciproco, o chiedendo aiuto agli altri senza timore, la battaglia risulta essere meno dura e si ha la possibilità di vincere. 

Tommy Rossi, Alessandro Masala, Teresa Pira | Courtesy of ©️archiviomariocervo

Ecco, l’immenso valore delle tre parole #nonmollaremai, simbolo di  resistenza vitale, per sforzarsi di vedere bagliori, lì dove sembra dominare l’oscurità.

Oltre alla prevenzione, in fase di terapia è bene avere un atteggiamento positivo, liberare la mente da pensieri o situazioni spiacevoli con l’ausilio della meditazione (che io proporrei come disciplina nelle scuole dell’obbligo  al pari dell’insegnamento dell’educazione fisica) e praticare la gratitudine. 

A questo punto, nella notte vestita di musica appaiono i Tazenda, gruppo tra i più innovativi del panorama musicale sardo, che è riuscito a distinguersi per le rielaborazioni sonore, attinte dal patrimonio etnico dell’isola , con il rock e il pop, e per l’alternanza linguistica nelle strofe: sardo – nella variante logudorese – e italiano. 

Appare nella sua formazione attuale: Gino Marielli e Gigi Camedda,  icone della band sarda rispettivamente chitarra del gruppo e voce il primo,   e tastiera, piano e voce il secondo;  Nicola Nite, frontman del gruppo dal 2013, palesemente ben integrato anche nelle canzoni che hanno segnato la storia musicale del gruppo, quando erano presenti Andrea Parodi o Beppe Dettori.

I Tazenda:  Gigi Camedda, Nicola Nite, Gino Marielli | Courtesy of ©️archiviomariocervo

 

In loro compagnia si vive un affascinante e struggente viaggio nel tempo,  in quella memoria storica che amplifica ricordi e allunga la vita. 

Si comincia dal 1992, trionfo sanremese, “Pitzinnos in sa gherra” con le loro armonizzazioni – che ben definiscono la band conferendole unicità o meglio riconoscibilità – e con l’inserimento di due strofe scritte in lingua italiana dal cantautore Fabrizio De André.

Una canzone evergreen, dal tema di un’attualità sconcertante e dolorosa. Protagonisti i bambini che vivono nei territori colpiti da conflitti e guerre infinite, non conosceranno la spensieratezza, la purezza dell’infanzia nel giocare con le armi. Oggetti che annientano vite considerate alla stregua di un nulla.

Poi è la volta di “Carrasecare” del 1988, scritta con la collaborazione di  Piero Marras. L’indistinguibile sound, qui con ritmi più vivaci, racchiude l’essenza del carnevale barbaricino dove la presenza di rituali apotropaici richiama libertà, spensieratezza. Vivere senza limiti.

Un momento di struggente nostalgia si percepisce con “Domo Mea”, del 2007, canzone scritta in ricordo di Andrea Parodi con la  collaborazione di Beppe Dettori (allora solista del gruppo) ed Eros Ramazzotti.  Un brano indimenticabile,  con una melodia raffinata che sapientemente intreccia alla lingua sarda caratterizzanti e distinguibili sonorità del trio.

Si ricorda la collaborazione con i Modà nel brano “Cuore e vento”, scritto da Kekko Silvestri con Gino Marielli. Una lirica dedicata alla Sardegna,  isola di tradizioni millenarie,  dominata da intensi profumi, sapori e da un vento di maestrale che le fa da “corazza”  e da una bellezza quasi ammaliante,  di cui “anche la luna si arrende”e dove la stagione più bella è la primavera.

Il concerto continua attingendo ancora dal passato con Mamoiada, dedicata al piccolo paese omonimo, un brano del 1991 con risvolto sociologico. 

Ora il canto diventa più introspettivo, una delicata dimensione spirituale in La Ricerca di te (2007):  “Portami oltre il pensiero / Aldilà del mistero / Aiuta la mia Essenza ad andare via da ogni idea / Invitami ogni giorno alla ricerca di me”

Quando appare un quadro impressionista con “Spunta la luna dal monte” del 1991 – scritta da Gino Marielli, penna d’oro del gruppo – in collaborazione con Pierangelo Bertoli: una scena notturna tra luci dorate di luna che vibrano e abbracciano bimbi poveri che manifestano gioia pur nei loro semplici giochi di strada.

Infine non poteva mancare la canzone identitaria dei sardi, eseguita da tanti artisti tra i quali i Tazenda “Non potho reposare”.

Finisce con queste note la serata inaugurale di #nonmollaremai di Tommy Rossi and friends nel giardino dell’archivio tra episodi musicali che hanno reso lievi argomenti complessi e dolorosi, hanno nutrito lo spirito per le tante emozioni vissute, con una consapevolezza sempre più crescente: del perché la musica sia priva di confini e funga da antidoto alla nostalgia, nella sua immediatezza di cogliere ricordi e poterli rivivere; e inoltre, di quanto sia, da sempre, la migliore terapia per l’anima.

 

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Archivio Mario Cervo | Duo Mundi, Intorno al pensare l’amore –

La melodia è l’essenza della musica”, una verità che ripeteva spesso il compositore austriaco Arnold Schönberg. È quella che ci arriva al cuore, insieme all’interpretazione e alla potenza dell’estensione vocale, ancor prima del significato delle parole. Ci “inizia” al pensiero musicale che non nasce dalla sola ragione, né dal sentimento. È una sfumatura d’infinito, un’intuizione presa al volo, quasi un dono, se compresa da chi riceve emozioni dopo aver affinato i sensi, con il linguaggio delle note.

Infatti, la sua struttura non si afferra nell’immediato. In alcuni generi è necessario acquisire le giuste conoscenze per comprenderla.

Un elemento che può valutare è il nostro cuore, oltre alla nostra sensibilità, che ci predispone ad accogliere quelle armonizzazioni secondo la nostra soggettiva categoria del bello. Abbiamo percepito un emozione con brividi sulla pelle? O sentito affiorar lacrime negli occhi? Pochi elementi che possono indurci a pensare che siamo stati baciati da un’emozione.

E se la musica non fosse purezza del sentire, scevra da sovrastrutture, non sarebbe musica! La musica è libertà. La musica arriva oltre i suoi confini.

Ieri sera è giunta in un oasi che emanava nuove energie, per la presenza di rigogliosi e verdissimi alberi da frutto, quasi respiri di colore tra le case. Qui nello  spazio   dell’Archivio Mario Cervo in via Grazia Deledda ad Olbia abbiamo assistito ad un insolito concerto.

È andata in scena la signora âgée della musica: la lirica e la sua complessa e struggente melodia che ha appassionato e coinvolto emotivamente il numeroso pubblico presente.

Un genere musicale oggi riscoperto anche dai giovani. E se i puristi preferiscono  ascoltarla immersi nel silenzio, nei teatri, o in luoghi con una discreta acustica, per carpirne  fraseggi ed emozioni,  oggi si riscoprono luoghi alternativi, più semplici, ma non per ciò meno suggestivi. Nel giardino dell’Archivio Cervo ci siamo addentrati in un “cammino” musicale con tanti bei fiori da cogliere: note,  luoghi lontani dal carattere esotico, periodi storici,  e ancora sentimenti, emozioni, luci e oscurità, in compagnia di grandi compositori, scrittori, poeti. Un grazioso sogno dal quale non volevamo risvegliarci, testimoni i numerosi applausi, a fine esibizione, che hanno visto i musicisti concedere altri due brani. 

Il giardino si é così trasformato in un piccolo teatro all’aperto, dove la natura e il delicato e cangiante canto, tra lirico e drammatico, del soprano messicano Jessica Loaiza, accompagnata dal pianista Francesco Saba, sono stati i protagonisti di una serata che ha dissolto pensieri legati al #contebis e destato emozioni con le celebri arie della più importante tradizione lirica. 

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Nella seconda parte, invece, siamo stati presi per mano in un “viaggio immaginario” su onde musicali di luoghi oltre oceano: Messico, Argentina, per rientrare in Europa, in Spagna e in Sardegna, con brani di importante valore etnomusicale, e per finire in Campania con due famose canzoni della tradizione melodica napoletana ‘Torna a Surriento’ scritta da Giambattista ed Ernesto De Curtis nel 1902 su una traccia del 1894,  e ‘O’ Sole mio’  in lingua napoletana, divenuta simbolo identitario degli italiani, di Giovanni Capurro,  Alfredo Mazzucchi e Eduardo Di Capua.

Il titolo del concerto “Dell’amore e di altri demoni”,   appare come un’eccellente intuizione perché ha racchiuso una selezione di brani di vario genere, ma con un tema eterno,  l’Amore, che non conosce età e trascende dalla nostra “finitudine” di uomini on the road.

Sentimento che spesso travalica verso forme irrazionali e incomprensibili, tiene al giogo e distrugge, crea pena e profondo dolore, smarrisce;  e viene espresso dalle variazioni di colore, estensioni vocali, tonalità, ed altri elementi propri del canto soprano, e dal pianista che sembra giocare abilmente sulla tastiera, ora con note sospese, pronto a creare attesa, ora un pensiero, una carezza, una parola d’addio.

Il Duo Mundi, come si fanno chiamare,  ci richiama alla mente il concetto di  dualità, duo, come unità, come idea d’integrazione, di scambio, di confronto.  Sembra alludere a quell’oltre/confine che può creare nuove sinergie. Due mondi o due universi che si abbracciano e si integrano con leggerezza e armonia musicale: quello italiano più strutturato, classico, con la presenza del pianista sardo Francesco Saba, diplomato al Conservatorio di Musica “L. Canepa” di Sassari, e quello oltreoceano malinconico e più versatile, con il soprano messicano Jessica Loaiza, diplomata al Conservatorio di Musica “Santa Cecilia” di Roma. Un pianista e un soprano che sono riusciti a creare il loro punto di forza dal contrasto e diversità delle loro culture. 

L’apertura spetta al celebre “O mio babbino caro” dall’opera comica di Giacomo Puccini:  “Gianni Schicchi”. Un fiorentino  che nel periodo medievale organizzava burle divertenti, alle volte crudeli, conosciuto da Dante che lo mise nel girone dei falsari nella sua Commedia.  

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©ph. lml

Accanto ai delicati virtuosismi della cantante, che modula la voce con maestria, incantando i presenti, vi è un momento introspettivo, delicato, con l’esecuzione del solo pianista  del Notturno n.1 Opera 9 di Frederich Chopin (1810-1849) che esprime tutta la creatività e innovazione della musica romantica, dove al rigore del periodo precedente subentra la delicatezza del sentimento, la libertà di nuove variazioni, giochi chiaroscurali filtrati dal sentire, dalla nuova soggettività che soppianta la dea ragione osannata nel ‘700. Ora la musica aspira ad una nuova libertà interiore.

Altro struggente e celebre Lied “Margherita all’arcolaio” o “Grethchen am spinnrade” del celebre e umile compositore Franz Schubert (1797-1828) che musicò un Lied dal Faust di J. Wolfgang von Goethe, (che mai espresse gratitudine nei confronti del compositore al pensiero che la musica oscurasse le sue poesie).  

L’intensità drammatica è legata all’estensione vocale della cantante in un pathos crescente. Immobili e tesi ad ascoltare, anche noi forse, schiaffeggiati dal dolore di Margherita per un amore fatto di trepida attesa, sospiri, ricordi.  “La mia pace è perduta” recita la prima frase del Lied: la furia dell’innamoramento che scardina certezze. Si vive soggetti all’impulsività e impazienza. Una forza cieca, che rasenta la follia abilmente tradotta in musica da Schubert e dalle parole della prima strofa “la testa mi ha dato volta”. L‘amore, nel suo stadio iniziale é disequilibrio,  instabilità,  un lirico giro di tessitura, in musica.

Gli umori umani tra delirio di onnipotenza e limite umano rivivono nei struggenti Lieder di Schubert. Scuotono e creano varchi nel buio dei ricordi o dei sogni. Si rivivono emozioni sull’orlo di abissi come avrebbe detto Baudelaire, lui che aveva scandagliato anime alla deriva. 

Dal repertorio classico con arie famose da W. Amadeus Mozart e Gaetano Donizetti, si   passa ad abbracci di nuove note con i classici della  musica popolare tra i quali “Bésame mucho” della pianista Consuelo Velasquez, (Messico 1916-2015) testo scritto negli anni ‘40. Una promessa di amore eterno tra le più interpretate e riprodotte del XX secolo.

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©ph. lml

E ritorniamo al canto spagnolo, arioso a tratti intrigante con echi arabeggianti  “Très Morillias”, canzone folcloristica  del XV sec.  e ancora “El Vito” del XVI secolo. 

Oltre all’amore, si cantano altri demoni come la fragilità di una donna coraggiosa che ha rivendicato i suoi diritti di donna, stimata dai grandi intellettuali e artisti del periodo in cui visse,  e che conobbe durante i suoi viaggi all’estero: la poetessa svizzera ma vissuta in Argentina Alfonsina Storni, che ammalatasi di tumore scelse di morire nel mar de La Plata. Una toccante interpretazione della cantante con “Alfonsina y el mar” scritta da Ariel Ramirez (Argentina 1921- 2010).  

Il ricordo enfatizzato dalle parole e dalla musica riflette lo stato d’animo del compositore, e in noi spettatori s’insinua nella mente con i suoi devastanti “perché”. Una “follia” causata dall’angoscia e dall’inquietudine che affliggevano l’anima  della poetessa.  La scelta del suo gesto estremo che traduce ‘antichi dolori’ taciuti. Il mare la sua conchiglia di libertà dove fuggire e nascondersi. Una fragilità  radicata nell’estremità oscura del pensiero. Una forza irrazionale che forse necessitava di nuovi colori: amore autentico e  sincerità. 

Verso la fine del concerto tra canzoni messicane e la celebre “Granada” di Augustin Lara del 1932, viene eseguita l’immancabile canto d’amore della Sardegna  “No potho riposare”  di Badore Sini e Peppino Rachel  del 1936, divenuto il nostro canto identitario.

Un programma complesso e articolato che ha messo in luce la più grande verità: il valore universale della musica come dell’amore. Tante riflessioni su questo sentimento che oggi sembra aver smarrito le sue radici che questa sera ha prevalso distendendo animi e celebrando forme di amore non solo verso la propria amata/o,  verso il prossimo,  verso la propria terra e verso la vita.

L’amore possiede un suo slancio creativo, si dona senza condizioni e senza vincoli, si lega al concetto di libertà, di rispetto, di gratuità. 

Si dona.

lyciameleligios

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[Articolo apparso su Olbia.it, 1 Settembre 2019]

Olbia Archivio Mario Cervo | Reading Sonetàula di Giuseppe Fiori

“Guardare le cose in modo chiaro, non superficiale ed esprimerle in modo essenziale da rimaner scolpite e restare nel tempo” sono qualità che l’editore Laterza pronunciava nei confronti dello stile inconfondibile di un autore sardo della sua scuderia: Giuseppe Fiori (Silanus 1923 – Roma 2003).

Giornalista, saggista, scrittore, un’anima sarda che si ricorda per quel suo piglio di temerarietà,  consapevole del suo essere carismatico.

Ci ha lasciato interessanti  interviste, inchieste e articoli alle volte pungenti, ma non si discostava da quel fare garbato che lo distingueva. Molto attento, curioso e insaziabile di realtà, in particolare quella sarda.

Scriveva spinto da una necessità irrefrenabile di condividere, trasmettere significati, idee o esplicitare fatti. Si, aveva assimilato la lezione gramsciana o meglio pasoliniana (Pier Paolo Pasolini era il suo poeta preferito) sull’importanza degli ultimi, della genuinità, della purezza e ancora sulla lealtà intellettuale e l’esclusione di qualsiasi preconcetto.

Un suo romanzo Sonetàula (2008) capolavoro della letteratura sarda, – che per alcuni elementi (vendetta, faida, giustizia privata) si potrebbe avvicinare alla grande tragedia greca del V sec. a.C., è da ben undici anni portato sulle scene dall’Associazione Culturale Tra Parola e Musica – Casa di Suoni e Racconti.  

Qualche giorno fa è stato riproposto – grazie all’Archivio Mario Cervo, all’amministrazione del Comune di Olbia e all’ISRE – Istituto Superiore Regionale Etnografico – in un evento performativo nel grazioso giardino dell’Archivio Mario Cervo.

Un’istituzione costituita dagli eredi del collezionista  Mario Cervo (1929 – 1997) studioso di sonorità sarde, che oggi prosegue  nel suo lavoro di ricerca, d’indagini e nuove progettualità. Una vera e propria wunderkammer  o stanza delle meraviglie, luogo depositario di  rare e “piccole gioie” di cultura musicale, di archeologia musicale sarda e antropologia culturale dell’isola.

4f7902b1-377f-4efc-bb44-ab90d25a9c4f.jpegCourtesy of Archivio Mario Cervo ©Photo Ottavio Cervo

La voce narrante dell’attrice Camilla Soru e la chitarra del musicista Andrea Congia hanno creato intrecci di parole e note, legate come raccordi di stelle. La luce di quell’arcaicità che implica come il tempo, nel suo stratificarsi in forma dinamica, accolga semi evolutivi che è bene diffondere per far attecchire consapevolezza di un presente diverso e sicuramente lontano dal reiterarsi di dolorosa memoria.

Un monologo fluido interpretato da Camilla Soru  con espressività, coinvolgimento emotivo e acuta introspezione psicologica dei personaggi, riscontrabile nelle sfumature e varie tonalità  di voce, ben armonizzate per tono, volume, ritmo e tempo. Accanto alle parole, i suoni e le musiche create in una sorta di improvvisazione a trasmettere in musica i sentimenti percepiti dal musicista Andrea Congia.

L’atmosfera mostrava il suo volto duale: a tratti cupa e minacciosa, un po’ come la voce incalzante della narratrice, o a tratti suadente, introspettiva di un lirismo “luminoso”, velato. L’attesa, un’ombra d’inquietudine, una presenza impastata da greve materia di certi noir.

L’impossibilità di capire certe forme comportamentali, retaggi, consuetudini radicate nella piccola comunità di Orgiadas, divengono sculture, modelli di un tempo arcaico che ora ha deposto le sue memorie nella scrittura.

Quel passato, un passaggio doloroso che si è reso necessario  per poter assimilare alcuni fondamentali valori:  il rispetto per il bene altrui e il valore della vita. Il tempo/memoria si incide per far affiorare dal corso degli eventi la sua finalità pedagogica.

7561C473-9E55-4B02-8AEC-E880DCAF7F65Courtesy of Archivio Mario Cervo ©Photo Ottavio Cervo

Il romanzo racconta l’apprendistato del giovane Zuanne Malune, chiamato dagli amici Sonètaula, per via di quel rumore sordo, duro, che emetteva il suo corpo esile, quando bonariamente veniva colpito. Erano gli stessi amici che gli avevano attribuito questo improegliu  “suono di tavola”. Il suo corpo risuonava come il legno.

Una trasposizione simbolica che lega la tavola a qualcosa che esprime le caratteristiche del legno duro. Quasi una premonizione sulla sua vita futura  che sarà “dura”, difficile, grama, di sofferenza per un ragazzo che non conoscerà mai la spensieratezza, la leggerezza propria dei ragazzi della sua età, ma che diverrà adulto prima del tempo. Era ancora un bambino che all’interno della comunità agro-pastorale strutturata da codici orali e acquisiva  inevitabilmente consuetudini e comportamenti di questa società.

Giuseppe Fiori attento conoscitore e studioso di alcune dinamiche sociali (lotta di classe) in questo romanzo affronta il delicato problema del banditismo in Sardegna e la domanda che sembra suggerirci è la seguente: quanto incidono i modelli sociali sui bambini di società chiuse, che non hanno avuto possibilità di interagire con altri esempi/mondi diversi?

Un romanzo realista dove l’indagine assume peculiarità diverse. Il realismo di Émile Zola, ad esempio, era più legato a forme del destino, che qui  sembrano  esser superate. Infatti, non è possibile parlare solo di “destinati” ma di persone inserite all’interno di un  modello  sociale che ha sovrastrutture ben codificate anche se orali, parallelo ad un’altro modello con sovrastrutture scritte e definite, che si respinge, perché sentito innaturale, imposto da altri, “stranieri”.

Lo scrittore attinge al linguaggio di stampo giornalistico e senza fronzoli con una prosa asciutta ed essenziale, ma lontano da certo rigore positivista, sente l’esigenza di indagare, far emergere  e definire emotività, delineare come certe dinamiche possano avere determinate conseguenze. Ad esempio i riferimenti ad una forma di tutela personale come era la latitanza o “incalzare” per chiarire, quasi triturare, sminuzzare quella forza cieca che crea un corto circuito nella mente di una persona e induce alla vendetta. Perché?

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Courtesy of Archivio Mario Cervo ©Photo Ottavio Cervo

Aveva approfondito questa pluralità di tematiche in alcune sue inchieste. Forse voleva recuperare o reinserire nella società chi ingiustamente era stato condannato seppur con prove di innocenza per immobilismo burocratico (mancanza di giudici o altro) e non veniva ufficialmente scagionato.

L’unico modo per non perdere anni di vita era la latitanza, poiché la giustizia era lenta. A volte ci si dava alla “macchia” perché non si voleva testimoniare in un processo.

Così si costituiva un tribunale privato si ristabilivano equilibri interni alla comunità ma non per la legge.

E’ stato un periodo complesso, in cui la Sardegna sembrava abbandonata a se stessa.  La povertà era endemica, come le ferite aperte dai dominatori/colonizzatori spagnoli, piemontesi che utilizzavano l’isola solo per ricavarne guadagni dalle proprie risorse, non per risolvere i gravi problemi socio-economici.

La società ha necessità di buoni esempi e di idee che  “devono partire dalla realtà per migliorare la realtà stessa” diceva Giuseppe Fiori, e non da astrazioni.

Il primo personaggio che incontriamo è Anania Medas nella sua barberia. Era stato in carcere per scontare una pena e lì gli avevano insegnato un mestiere, anche se in realtà non ne era capace.

Lo scrittore sembra voler ricorrere a questa figura per evidenziare  l’importanza dell’integrazione sociale degli ex detenuti. É importante dare una ragione di vita e quindi un’altra opportunità, per sentirsi utili e non accogliere “sfide” diverse.

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Courtesy of Archivio Mario Cervo ©Photo Ottavio Cervo

Una volta scontata la pena, intorno alla metà del secolo scorso era difficile inserirsi nella realtà lavorativa e nella società. Paradossalmente venivano considerati, accettati e aiutati dalla stessa comunità quando erano ancora latitanti.

L’omicidio di Anania Medas, segna la vita di Sonetàula, un bimbo di Orgiadas, il paese “immaginario” dove lo scrittore colloca la sua storia. Il padre accusato dell’omicidio lascerà la famiglia per andare in carcere. Al piccolo viene nascosta  la verità.

La sofferenza del piccolo Sonetàula viene descritta dalle sonorità e dal pathos di ogni singola parola recitata.  Un fraseggio   che incalza, cresce e crea vortici di venti impetuosi, solitudini che devastano il piccolo.  Il padre verrà sostituito con la figura del nonno che si prenderà cura di Sonetàula e gli insegnerà a vivere.

Si certo, è abituato all’allontanamento del padre per la transumanza, ma almeno sa che prima o poi sarebbe tornato. Lo avrebbe potuto abbracciare e trascorrere del tempo insieme a raccontarsi cose da uomini.

Ora invece sarebbe partito e affiora un nuovo sentimento:  la paura che spinge,  per rapirlo. L’incognito, il timore di quel domani senza  padre e la necessità di doversi occupare della madre. Lui, da solo? Che responsabilità! e poi quella raccomandazione che gli rimbomba nella testa fino a squarciarla come gli echi  delle armonizzazioni che illuminano la scena. Non deve fare comunella con il figlio di Battista Malune, perché lo capirà da grande.

Ecco un primo instradamento all’interno di un codice orale conoscenze diverse per grandi e per piccini ma sempre conoscenze ingombranti che schiacciano e privano l’aria di ossigeno. E per rinforzare quel patto tra padre e figlio non si deve chiedere niente a nessuno, nella maniera più assoluta.

Al silenzio degli spettatori, tutti estremamente attenti quasi per timore di perde anche solo una parola,  si lega questo momento di sconcerto, di incongruenza: dovrà occuparsi della madre perché ritenuto ormai grande ma gli si vieta di capire meglio cose che a lui sfuggono, perché ancora piccolo, cose non  chiare, che non riesce a legare o a infilare nella collana della sue verità, ancora da comporre.

Sonetàula accompagna il padre alla corriera. E lì interpretato magistralmente dall’attrice con un’introspezione da farci rivivere la scena, lì in presenza del padre il bimbo piange, lacrime che scavano fragilità, fantasmi di perché accorrono nella mente del piccolino: perché deve partire?

Questo momento d’intenso pathos ad un tratto viene sospeso, quasi interrotto  da una frase che appesantisce quell’assenza a cui Sonetàula è abituato, perché è legato alla parola fine.  E presagisce quel tempo che giungerà a breve “mi piangi come un morto”. 

Il piccolo riabbraccerà il padre solo un’altra volta, perché la giustizia si mostrerà inefficace, lenta, informe, e da quella patria che lo considera margine, “confine sociale” ,  da condannato al confino anche se innocente, verrà convocato per combattere e poi morire, per lei.

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Courtesy of Archivio Mario Cervo ©Photo Ottavio Cervo

E così Sonetàula a soli 13 anni si ritrova ad avere una seconda casa fatta di macchia mediterranea, bosco, e cieli stellati e poi i suoi dolcissimi amici, compagni fedeli: gli animali. Inizierà a fare il pastore.

Ma basta poco per ritrovarsi avviluppato nel sistema di un codice orale sovrapposto al sistema giudiziario. Inizia ad oscillare verso la latitanza in seguito ad un furto di una pecora dal suo gregge. Come un lampo la velocità della sua risposta: l’uccisione di altre pecore appartenenti al presunto ladruncolo.  Denunciato, invece di costituirsi, decide per l’altra giustizia non per questo meno sofferta,  la latitanza, la via di fuga,  una consuetudine utilizzata da molti altri.

In paese è rimasto il suo grande amore che saltuariamente vedeva di nascosto. Ormai vive solo per poter sposare la sua Maddalena. In lei ha riposto la speranza di una vita futura. Evocata in una scena dove la parola narrata riesce a far rivivere una sorpresa mista ad emozione: il primo giorno di diffusione della luce elettrica nel piccolo paese. Ora finalmente durante la notte il paese sembra illuminarsi come fosse giorno.  L’ombra che taglia i viottoli e incupisce gli animi  sembra esser scomparsa ma vedremo che non sarà così, la storia d’amore avrà un’altro epilogo.

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Courtesy of Archivio Mario Cervo ©Photo Ottavio Cervo

Ambientato nella prima metà del secolo scorso, Sonetàula è il nostro grande romanzo epico. L’apprendistato che si sviluppa nelle pagine del romanzo, inteso come formazione non è acquisito viaggiando e visitando altre realtà, ma all’interno della piccola comunità subordinato a retaggi che implicano trasformazioni sociali, lotte tra ceti, dove appare una società chiusa ma fiera delle proprie tradizioni e codici tramandati oralmente.

È il racconto sofferto e commuovente, se lo si legge con empatia, di un bambino a cui è stata sottratta la presenza e l’amore di un padre che ingiustamente sconta il confino per una colpa non commessa. Alla fine dopo esser vissuto in quella “forma” sociale anche lui l’acquisirà nella sua interezza fino a vendicare il padre.

Ma la vendetta ha origini antiche. Potremo dire che sia nata con la nascita dell’uomo e del suo interrelarsi in una comunità. Ricordiamo la catena di vendette (faida) minuziosamente raccontate da alcuni autori greci come Sofocle o Euripide. Uno dei personaggi più narrati Oreste che vendica il padre macchiandosi di un matricidio. Oppure altra vendetta molto studiata nell’Amleto shakespeariano dove si “razionalizza” il sentimento di vendetta con sfumature dei moti d’animo legati a fragilità umana, ripensamento, incertezza.

La vendetta della civiltà barbaricina ha una matrice differente e cesserà quando ci si accorgerà che le uccisioni non “restituiscono il morto”. Una consapevolezza che verrà acquisita con il miglioramento delle condizioni socio-economiche e con la diffusione della cultura, un nuovo sguardo verso altri mondi e  nuovi modi di guardare il mondo.

“La cultura può rompere un varco”, con il grande dono di preveggenza che spesso mostra Giuseppe Fiori coglie quell’urgenza che avrebbe portato al cambiamento.

E riprendendo l’immagine della locandina dell’Isola delle Storie 2019 – il Festival  di Letteratura di Gavoi, in Barbagia, appena concluso – riflettiamo su questa bella metafora  raffigurata dove individui gettano sassi nel mare come la cultura lancia idee/storie e attende che prendano forma, si chiarifichino. Così l’acqua del mare dopo aver lanciato il sasso dopo un periodo di riposo, ritornerà brillante e trasparente più di prima perché le idee che all’inizio possono sembrare oscure incomprensibili in un secondo momento illuminano, aprono varchi verso nuove mete, creano rinascite.

“Mentre oggi vado ad Orgosolo – diceva Peppino negli anni ’60 – trovo una società nuova uno strato di intellettuali  organici della  società pastorale, figli di pastori o che sono stati pastori essi stessi da ragazzi. Trovo questo strato di nuovi dirigenti della comunità che parlano un linguaggio avanzato. In un circolo giovanile di Orgosolo si stampa un periodico ciclostilato in cui ho trovato testi di Don Milani, poesie di Neruda, di Garcia Lorca, di Brecht. Un’inchiesta sulla condizione della donna ad Orgosolo. Cultura viva non ossificata, armonizzata. È segno che in Barbagia qualcosa cambia nella direzione giusta”.

La cultura ha aperto e apre varchi  che non dovremo chiudere con la nostra ottusità.  Ma considerato il potenziale di crescita insito nel dubbio, cercare   di proporre idee  per quella passione che induce a creare,  a cogliere originalità,   senza mai tralasciare la memoria storica dalla quale attingere, riferimento per nuove riflessioni sul nostro presente. Luce per la nostra contemporaneità.

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[articolo apparso su Olbia.it il 14 luglio 2019]

Giornate DOMOS DE SONU| Nasce ISRE MUSICA|Nuove collaborazioni con l’Archivio Musicale “Mario Cervo” Olbia

L’Istituto Superiore Regionale Etnografico presenterà la sua divisione musicale, ISRE MUSICA  insieme all’Archivio Labimus dell’Università degli Studi di Cagliari nella conferenza DOMOS DE SONU del 2 e 3 maggio. Il dipartimento di archiviazione sonora – ISRE MUSICA – si occuperà dello studio, della valorizzazione, la tutela e la promozione del patrimonio musicale sardo. Il progetto per una divisione musicale dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico abbraccia le musiche della Sardegna attraverso questo nuovo marchio, a cui verranno attribuiti compiti e criteri di controllo, promozione e valorizzazione, come la creazione e gestione di un archivio sonoro ISRE e la collaborazione con l’Archivio Mario Cervo di Olbia, o ancora l’attività editoriale, relativa alla pubblicazione di dischi e di libri dedicati alla musica in Sardegna nel mondo contemporaneo, e l’istituzione di partnership durature con le associazioni di musicisti tradizionali della Sardegna.

Durante le conferenze si parlerà  di archivi sonori e digital humanities, facendo il punto della situazione per ciò che concerne la Sardegna e confrontandosi con esperienze nazionali ed internazionali come quelle della Humboldt-Universität zu Berlin, o della Fondazione Archivio Luigi Nono.

L’evento vedrà la presentazione ufficiale di due importanti progetti di archiviazione musicale in Sardegna, legati all’Università di Cagliari e all’Istituto Superiore Regionale Etnografico. Sarà inoltre presentato, durante la giornata nuorese, il progetto ISRE MUSICA, la divisione musicale di ISRE.

Tra gli eventi la presentazione del libro/CD Le Voci Ritrovate, alla presenza dell’autore Ignazio Macchiarella e degli studiosi Britta Lange e Sebastiano Pilosu, organizzata in collaborazione con l’Archivio “Mario Cervo” di Olbia. Il volume è di importanza storica per la Sardegna, poiché rappresenta la prima registrazione di musica di tradizione orale dell’isola mai effettuata.

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Il Volume – con CD allegati – Le Voci Ritrovate, curato dal professor Ignazio Macchiarella (Università di Cagliari) ed Emilio Tamburini (Humboldt-Universität zu Berlin) e dedicato al ritrovamento di uno speciale corpus di registrazioni di prigioneri di guerra italiani durante il periodo della Grande Guerra.

Le registrazioni, realizzate dalla tedesca Phonographische Kommission, hanno permesso la realizzazione di un volume di più di 300 pagine, arricchito da quattro compact disc contenenti le voci di quarantadue militari italiani. Tre sono i prigionieri sardi registrati: Giuseppe Loddo da Fonni, Enrico Spiga di Monserrato e Gustavo Varsi di Cagliari. Le loro testimonianze sonore, comprendenti tra l’altro interpretazioni sconosciute di modelli esecutivi noti e diffusi ancora oggi, hanno uno speciale risalto storico per gli studi linguistici e sulla musica di tradizione orale nell’Isola.

English Version

The ISRE – Istituto Regionale Superiore Etnografico will present its musical division, ISRE MUSICA together with Labimus of the University of Cagliari in the DOMOS DE SONU conference on 2 and 3 May. The sound archiving department – ISRE MUSICA – will take care of the study, enhancement, protection and promotion of Sardinian musical heritage. The project for a musical division of the Regional Higher Ethnographic Institute embraces the music of Sardinia through this new brand, which will be assigned tasks and criteria for control, promotion and enhancement, such as the creation and management of  ISRE sound archive and collaboration with the “Mario Cervo” Archive of Olbia, or the publishing activity, related to the publication of records and books dedicated to music in Sardinia in contemporary world and the establishment of long-lasting partnerships with the associations of traditional musicians of Sardinia.

During the conferences we will talk about sound archives and digital humanities, taking stock of the situation as regards Sardinia and dealing with national and international experiences such as those of the Humboldt-Universität zu Berlin or of the Luigi Nono Archive Foundation.

The event will see the official presentation of two important music archiving projects in Sardinia, linked to the University of Cagliari and the Regional Higher Ethnographic Institute. The ISRE MUSICA project, the musical division of ISRE, will also be presented during the Nuorese day.

Among the events the presentation of the book / CD Le Voci Ritrovate, in the presence of the author Ignazio Macchiarella and of the scholars Britta Lange and Sebastiano Pilosu, organized in collaboration with the Archive “Mario Cervo” of Olbia. The volume is of historical importance for Sardinia, as it represents the first recording of oral tradition music on the island ever made.

The book – with attached CDs – Le Voci Ritrovate, edited by Professor Ignazio Macchiarella (University of Cagliari) and Emilio Tamburini (Humboldt-Universität zu Berlin) and dedicated to the discovery of a special corpus of Italian prisoners of war records during the period of Great War.

The recordings, made by the German Phonographische Kommission, allowed the creation of a volume of more than 300 pages, enriched by four compact discs containing the voices of forty-two Italian soldiers. There are three Sardinian prisoners registered: Giuseppe Loddo from Fonni, Enrico Spiga from Monserrato and Gustavo Varsi from Cagliari. Their sound testimonies, including among other things unknown interpretations of well-known and widespread executive models, have a special historical prominence for linguistic studies and oral tradition music on the Island.

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Giovedì 2 maggio, Ore 16:00
Università degli Studi di Cagliari
Aula Magna Motzo, Facoltà di Studi Umanistici
Via Is Mirrionis, Cagliari

Ignazio Macchiarella, Università di Cagliari
Saluti istituzionali, introduzione dei lavori

Diego Pani, Istituto Superiore Regionale Etnografico
Un patrimonio di suoni: il progetto del nuovo archivio sonoro ISRE

Giampaolo Salice, Università di Cagliari
Per un centro per l’umanistica digitale dell’Università di Cagliari

Eleonora Todde, Università di Cagliari
Riflessioni sull’archiviazione del sonoro: il caso dell’Archivio Sonoro Demo-Antropologico Luisa Orru

Marco Lutzu, Università di Cagliari
L’archivio Labimus dell’Università di Cagliari

Britta Lange, Humboldt-Universität zu Berlin
Le registrazioni sonore nei campi di prigionia tedeschi durante la prima guerra mondiale

Claudia Vincis, Fondazione Archivio Luigi Nono
Interventi di tutela e valorizzazione dei nastri magnetici di Luigi Nono: 2015-2020
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Venerdì 3 maggio, Ore 10:00,
ISRE Istituto Superiore Regionale Etnografico, Nuoro
Biblioteca ISRE
Via Michele Papandrea 6, Nuoro

Giuseppe Matteo Pirisi, Presidente dell’ISRE
Saluti istituzionali, introduzione dei lavori

Antonio Deias, Direttore tecnico scientifico dell’ISRE
I sistemi catalografici all’ISRE fra documentazione e informazione

Diego Pani, Istituto Superiore Regionale Etnografico
Il progetto ISRE MUSICA

Britta Lange, Humboldt-Universität zu Berlin
Lavorare con gli archivi sonori. Tecniche, specificità e problemi metodologici

Ignazio Macchiarella, Università di Cagliari
Archivi sonori: a che pro?
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Venerdì 3 maggio, 18:30
Archivio Mario Cervo Olbia
Biblioteca Multimediale Simpliciana
Piazzetta Dionigi Panedda 3, Olbia

Presentazione del Volume+CD Le Voci Ritrovate, di Ignazio Macchiarella ed Emilio Tamburini

Interventi di:
Ignazio Macchiarella
Britta Lange
Bustianu Pilosu

Ascolto guidato dei documenti audio inclusi nell’opera
Modera l’incontro Diego Pani

 

(fonte ISRE)