Red Wine live | Il Bluegrass, musica che crea spazio al pensiero

 

La musica ha un potere che nessun’altra cosa possiede. Avete mai notato di ritrovarvi a far defluire pensieri e lasciar spazio a nuovi contenuti, quando esausti o di malumore per una situazione vissuta, ascoltate la vostra musica preferita, pop o allegra?

Certa musica, se filtrata con l’anima, permette di rinnovare luoghi della mente. Fa spazio. Crea respiro.  Trasmette stati d’animo sotto forma di contagio — come l’allegria, la gioia, la positività — che si declinano con l’esecuzione di determinate variazioni musicali.
In sintesi ciò che si è vissuto sabato scorso durante la terza serata del Musicultura World Festival 2021: “Musica dalle Finis Terrae” di San Teodoro.

Protagonisti i Red Wine, un quartetto di validi musicisti genovesi di bluegrass: preparati, ironici, coinvolgenti, famosi in Italia e all’estero che hanno reso speciale e indimenticabile, la serata teodorina,  luogo dove trasparenze del mare sfumano orizzonti, senza segnare confini di cielo.

E, sotto la volta stellata, nell’angolo dedicato ai concerti live, si sono esibiti Marco Ferretti alla chitarra, Lucas Bellotti al basso e Silvio Ferretti e Martino Coppo, storici del gruppo , rispettivamente al Banjo e al mandolino, con un vocal range accurato, coeso, armonico che ha conquistato il parterre.

Archivio Musicultura Festival | ©️bruno piccinnu


Durante la serata, hanno eseguito alcuni brani dall’ultimo lavoro, Caroline Red, insieme a testi iconici della storia della musica, arrangiati in stile country, con qualche digressione nella canzone italiana. Uno spettacolo ben dosato, gradevole e soprattutto capace di farci sognare.

Si, il sogno é stato l’ orizzonte verso il quale siamo stati proiettati. Un viaggio immaginario, intessuto di emozioni, nelle terre del “sogno americano” — che mai aderì alla realtà immaginata — almeno per coloro che emigrarono in America, alla ricerca di un benessere socio-economico, proprio negli anni in cui si diffuse il bluegrass.

Nato nel Kentucky, intorno agli anni ‘30 del secolo scorso, il bluegrass è un ramo del genere country che mostra assonanze con la musica inglese e irlandese, inflessioni residuali dei primi colonizzatori europei.

S’inizia con la classica ballata country, “Everything I use to do”, un testo di Ernie Rowell che evoca la fine di un amore. Il giovane protagonista, ancora innamorato della sua amata, riflette un agire distratto dal pensare il suo sentimento. Un tema di carattere universale che ha prodotto le più belle ed eterne canzoni d’amore.

Al contrario del melodico italiano, si può notare come nel genere country, la narrazione di una sofferenza causata dalla fine di un amore, mostra una struttura musicale briosa, allegra, e nella sua velocità sembra scandire il tempo dinamico, incalzante, rapido.
Si ricompone un equilibrio, dove le sonorità sembrano ribellarsi ad una sorta di ripetizione, aspirano ad una nuova stabilità giocando in un susseguirsi di scatti, prossimità, vicinanze, confluenze.

Protagonista il mandolino, in vivace dialogo con gli altri strumenti, quasi la musica volga ad alleggerire pensieri, infondere speranza, e forse invitare ad “ascoltarci”, come diceva il maestro Ezio Bosso, a rimodulare il senso dell’esistenza, vivere il passato, non semplicemente come ricordo ma come ciò che struttura il domani, come anima del nostro futuro in continua evoluzione. Le esperienze formano nel loro “stramarsi” dalla rete dell’esistere.

 Con “Archetto e violino”, brano scritto da un loro amico, ci ritroviamo negli ampi saloni di una tipica festa dai toni irlandesi quale momento per socializzare, da vivere in spensieratezza e innamorarsi. Innegabile l’energia di questa ballata che richiama le atmosfere dell’intenso film Alabama Monroe del regista Felix Van Groeningen. 

©️Archivio Red Wine


Di seguito “Last the old american dream” in cui  la voce narrante è una macchina, costruita nel 1958,   che suggerisce al proprietario di ripararla per ripartire verso nuove mete. 

Sogno americano inteso come libertà, ma anche benessere. Qui si allude  ad una “cura”, una manutenzione per poter continuare a viaggiare.

La macchina ha una sua forza concettuale che trasposta nella condizione degli  esseri umani sembra suggerire la necessità di provvedere alla cura del sé per acquisire quella capacità di fuga dalla staticità che logora, annienta, crea ristagno e involuzione.

Inoltre, si può cogliere un altro riferimento metanarrativo che prende spunto da una temporalità definita, a cui forse si allude, la diffusione del genere country in seguito alla realizzazione, nel 1958, di un film musicale “Country Music Holiday”, che aveva tra gli interpreti la mitica Zsa zsa Gabor, per affermare la dirompente diffusione di questo genere musicale sempre più seguito, seppur con accenti diversi.

Armonizzazioni delicate, accompagnate da un testo fluido, arioso, è la nuova dimensione dove l’esperienza permette di fare musica  “… dancing in the wind” danzando nel vento che viene ripetuto nel ritornello della ballata “Evergreen”, dal CD Caroline Red. 

Questo è il loro manifesto. Tanti sono gli anni trascorsi dall’anno di nascita del gruppo, formatosi nel 1978, che oggi continua a lavorare,  proporre musica con entusiasmo e passione, segnata dalla libertà di creare, come agli inizi della loro carriera. Ieri come oggi, generi musicali intramontabili, fondamenta della musica contemporanea da tutelare, custodire quale patrimonio artistico immateriale dell’umanità.

Rimettendoci in cammino, “chiudiamo gli occhi” e ci ritroviamo in Louisiana nel centrale e frenetico quartiere francese di New Orleans, bagnato dal fiume argentato del Mississippi, tra le vie pullulanti di ogni umanità con graziosi localini in cui si suona il dixieland. Una festa eterna di suoni, colori e umanità. Il pezzo eseguito “The dark times” pur senza fiati, riesce a codificare quel sentimento di accettazione e fiducia presente nella tradizione della musica afroamericana da cui deriva questo filone musicale. 

E dall’America, una breve sosta in Italia con alcune canzoni del nostro repertorio melodico tra le quali  “Oi Marì”, “Malafemmena” di Murolo e ancora “Buonasera signorina” di Buscaglione,  che esaltano il virtuosismo degli strumenti acustici, o ancora, la bellissima canzone scritta da Massimo Bubola e cantata da Fiorella Mannoia “Il cielo d’Irlanda”, una vera poesia che riprende significati universali con luoghi poetici che emozionano per la purezza e profondità delle parole.

Archivio Red Wine | ©️ken voltz

Rientriamo negli USA, nel Tennessee, con “Back to you” un testo d’amore dal tema nostalgico sullo sfondo della Guerra civile, motivo che spesso ricorre nel repertorio country americano.

Il protagonista, un soldato in trincea, ha nostalgia della sua amata e sembra vivere il desiderio di rivederla come una forza spirituale che gli permette di superare la dolorosa realtà vissuta al fronte.

Dagli USA ci spostiamo verso la nazione delle immense distese, dei cromatismi taglienti che “accecano” per bellezza, con quella sana voglia di vivere: il Brasile. Ed ecco le variazioni del mandolino, veloci sulla tastiera, che svuotano oscurità e diffondono gioia nel famoso brano “Tico Tico” del celebre compositore brasiliano Zequinha de Abreu (1880-1935).

Alla fine, lo spettacolo si fa ancora più intenso, con  un momento dedicato a coloro che sono stati grandi pionieri e innovatori, che hanno osato stravolgere musicalità e hanno lasciato segni indelebili. Funamboli del pentagramma.

Il primo artista Tom Petty, — grandissimo cantautore rock americano, creatore geniale, collaboratore e amico del grande Bob Dylan — di cui cantano “American girl”con un arrangiamento country, canzone icona per le future bande rock.
Verso la fine il ricordo dei Grateful Dead, una band che si distinse per la capacità rivoluzionaria di fondere vari generi musicali e dar vita al cosiddetto rock psichedelico. 

Una serata che ci ha fatto riscoprire l’intensità del vivere un concerto, perché esserci richiama esperienza stratificata per la sua totalità di sensazioni che l’web non potrà mai creare, reso possibile dalla bravura dei musicisti, dall’abilità dei tecnici del suono e delle luci e dalla gente che ha condiviso il momento come uno slancio verso il cielo e …ritorno.

©️lyciameleligios

 

Il sito dei Red Wine http://www.redwinemusic.net/band/

 

 

English Version

Red Wine | Bluegrass, the music that creates space for thought

Music has a power that no other thing has. Have you ever noticed that you find yourself letting thoughts flow and leaving room for new contents, when exhausted or in a bad mood for a lived situation, you listen to your favourite music, or pop or cheerful?


Certain music, if filtered with the soul, allows you to renew places of the mind. Make room. Create breath. It transmits states of mind in the form of contagion – for example, cheerfulness, joy, positivity – which are declined with the performance of a certain type of musical variations. This took place last Saturday during the third evening of the Musicultura World Festival 2021: “Musica dalle Finis Terrae” in San Teodoro.
The protagonists are Red Wine, a quartet of good bluegrass musicians: prepared, ironic, engaging, famous in Italy and abroad who made the Theodorine evening special, a place where the transparencies of the sea blur horizons, without marking borders.


And under the starry vault, in the corner dedicated to live concerts, Marco Ferretti on guitar, Lucas Bellotti on bass and Silvio Ferretti and Martino Coppo, historians of the group, respectively at Banjo and mandolin, performed with an accurate vocal range, cohesive, harmonious that has conquered the parterre.
During the evening, the group performed songs from the latest work, Caroline Red, along with some lyrics from the history of music, others arranged in a country style with some digression in the Italian song. A well-dosed, pleasant and above all able to make us dream show.
Yes, the dream was the horizon towards which we were projected. An imaginary journey, interwoven with emotions, in the lands of the “American dream” – never adhered to imagined reality – pursued by those who emigrated to America in search of socio-economic well-being, precisely in those years when bluegrass was spreading.


Born in Kentucky, around the 30s of the last century, bluegrass is a branch of the country genre that shows assonances with English and Irish music, residual variations of the first European colonizers.
It begins with the classic country ballad, “Everything I use to do”, a text by Ernie Rowell that evokes the end of a love. The young protagonist, still in love with his beloved, shows an action distracted by the thought of his feelings. A universal theme that has produced the most beautiful and eternal love songs.

Unlikely the Italian melodic genre, it can be seen that in the country genre, the narration of a suffering caused by the end of a love, shows a lively, cheerful musical structure, and in its speed it seems to mark the dynamic, pressing, rapid time. A vanished equilibrium is recomposed, where the sounds seem to rebel against a sort of repetition, aspire to a new stability by playing in a succession of shots, proximity, proximity, confluences.
The mandolin is the protagonist, in lively dialogue with the other instruments, as if the music wanted to lighten thoughts, instill hope, and perhaps invite us to “listen to us”, as the master Ezio Bosso said, reshape the meaning of existence, live the past, not simply as a memory but as what structures tomorrow, as the soul of our constantly evolving future. Experiences form in their falling away from the web of existence.
With “Bow and violin”, a song written by a friend of theirs, we find ourselves in the large halls of a typical Irish party as a moment to socialize, to live in carefree and fall in love. The energy of this ballad is undeniable, recalling the atmosphere of the intense film Alabama Monroe by director Felix Van Groeningen.
Below is “Last the old american dream” in which the narrator is a car built in 1958, which suggests to the owner to repair it in order to leave for new destinations.
American dream understood as freedom, but also well-being. Here we allude to a care, a maintenance to be able to continue travelling .
The machine has its own conceptual strength and in transposing the meaning on the condition of human beings it seems to suggest the need to take care of the self in order to acquire that capacity to escape from the stillness that wears out, annihilates, creates stagnation and involution.
Furthermore, we can grasp another metanarrative reference that takes its cue from a defined temporality, which is perhaps alluded to, the diffusion of the country genre following the realization, in 1958, of a musical film “Country Music Holiday”, which had among the interpret the legendary Zsa zsa Gabor, to affirm the disruptive diffusion of this increasingly popular musical genre, albeit with different accents.
Delicate harmonizations, accompanied by a fluid, airy text, is the new dimension where the experience allows you to make music “… dancing in the wind” dancing in the wind that is repeated in the chorus of the ballad “Evergreen”, from CD Caroline Red .

This is their manifesto. Many years have passed since the birth of the group, formed in 1978, which today continues to work, proposing music with enthusiasm and passion as if it were at the beginning of their career. Yesterday as today, timeless musical genres, foundations of contemporary music to be protected, to be preserved as an artistic heritage of the world.
Continuing our journey, we “close our eyes” and we find ourselves in Louisiana in the central French quarter of New Orleans, bathed by the silver Mississippi River, among the streets teeming with all humanity with charming little places where Dixieland
is played. An eternal feast of sounds, colours and humanity. The piece performed “The dark times”, even without wind, manages to encode that feeling of acceptance and trust present in the tradition of African American music from which this musical trend derives.


And from America, a brief stop in Italy with some songs from our melodic repertoire including “Oi Marì”, “Malafemmena” by Murolo and “Buonasera signorina” by Buscaglione, which enhance the virtuosity of the instruments, or even the beautiful song written by Massimo Bubola and sung by Fiorella Mannoia “Il cielo d’Irlanda”, a true poem that takes up universal meanings with poetic places that excite for the purity and depth of the words.

We return to the USA, in Tennessee, with a song linked to the sentiment of love, proposed here as a nostalgic theme, recurring in the American country repertoire, in the background the echo of the Civil War: “Back to you”.
The protagonist, a soldier in the trenches, misses his beloved and seems to experience the desire to see her again as a spiritual force that allows him to overcome the painful reality experienced at the front.


From the USA we move towards the nation of immense expanses, sharp colours that prove the sight, for the beauty, and healthy desire to live: Brazil. And here there are the variations of the mandolin, fast on the keyboard, that empty darkness and spread joy in the famous piece “Tico Tico” by the famous Brazilian composer Zequinha de Abreu (1880-1935).


In the end, the show becomes more intense, with a moment dedicated to great pioneers and innovators, who dared to overturn musicality and left indelible marks. Tightrope walkers of the pentagram.

The first artist Tom Petty, a great American rock singer-songwriter, collaborator and friend of the great Bob Dylan, who will follow on his tours . They sing, in a country arrangement, an iconic song for future rock bands “American girl” And finally a piece by the Grateful Dead, a band that stood out for its revolutionary ability to blend various musical genres and give life to the so-called psychedelic rock.

An evening that made us rediscover the intensity of living a concert, because being there recalls a layered experience for its totality of sensations that the web will never be able to create. Made possible by the skill of the musicians, the skill of the sound and lighting technicians and the people who shared the moment as a leap towards the sky and back.

 

 

©lyciameleligios

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

San Teodoro | Grazia Di Michele inaugura il Festival Musica dalle Finis Terrae con ”Poesie di Carta”

Gli eventi dell’estate teodorina continuano con un irrinunciabile appuntamento: il Musicultura World Festival “Musica dalle Finis Terrae”, dal 16 al 19 settembre, organizzato dal Comune di San Teodoro con il patrocinio della Regione Autonoma della Sardegna. 

In Piazza Gallura, giovedì 16 settembre alle 21,30, si esibirà la raffinata cantautrice Grazia Di Michele con lo spettacolo musicale “Poesie di carta”, un tributo a Marisa Sannia: la cantante e attrice di Iglesias  famosa, sulla fine degli anni ‘60, per la sua voce cristallina, inconfondibile.

©️Grazia Di Michele

“Tra noi c’era qualche affinità, – ricorda Grazia Di Michele – la vedevo così altera e coerente, raffinata ed elegante. A un certo punto ho iniziato a scoprire la parte di cantautrice che mi era sfuggita, e poi sono restata folgorata dalla sua maestria nel musicare la poesiaDentro c’è cura, amore, rispetto delle parole, dei suoni e dei mondi poetici a cui si è approcciata, incredibile”.

Negli ultimi anni della sua vita Marisa approfondisce la poesia di Federico Garcìa  Lorca e di autori sardi, Antioco Casula e Ciccittu Masala, declinando musiche per i loro versi alla propria terra, alla vita, all’amore.

I brani eseguiti sono intervallati da testi tradotti, pensieri, frasi estrapolati da copioni che la Sannia scrisse per la presentazione dei suoi spettacoli teatrali. 

Sul palco con Grazia Di Michele,  voce e chitarra,  si esibiscono Marco Piras al pianoforte, Fabiano Lelli alla chitarra,  Fabrizio Fabiano al violoncello e Bruno Piccinnu alle percussioni.

Venerdì 17 settembre vengono proposti due interessanti progetti musicali aperti a sperimentazioni, sempre nell’ambito di sonorità mediterranee, con forti accenti di sardità.

Il primo progetto Fantafolk di Andrea Pisu alle launeddas e Vanni Masala all’organetto, vincitori del Premio Maria Carta (2016) che vantano importanti collaborazioni con musicisti, jazzisti e orchestre di fama internazionale. 

©️Fanfafolk

A seguire, il secondo progetto musicale della serata, denominato “Musicalimba” dello storico gruppo Cordas et Cannas  che si caratterizza come un lungo viaggio “attraverso le radici culturali della musica sarda, attualizzata da armoniosi intarsi sonori presi da altre culture e generi musicali”. 

Un gruppo attento alla sperimentazione etnomusicale, che vanta 40 anni di attività, con numerose produzioni discografiche. 

I musicisti sono Francesco Pilu cantante e polistrumentista, Bruno Piccinnu alle percussioni e voce, Lorenzo Sabattini al basso, Sandro Piccinnu alla batteria, Gianluca Dessì alle chitarre e Alain Pattitoni alla voce, chitarra acustica ed elettrica. 

Sabato 18 settembre è la volta dello spettacolo musicale della band storica Red Wine. Tra i più affermati gruppi di bluegrass europei,  con preziosi riconoscimenti in Italia, in Europa e negli USA, il loro repertorio spazia dal bluegrass tradizionale a quello contemporaneo,  al country,  gospel e swing.

“Dal 1995 Red Wine ha regolarmente effettuato tour negli USA, partecipando al Bean Blossom Uncle Pen’s Memorial Day Bluegrass Festival (IN), Oklahoma International Bluegrass Festival (Guthrie OK), Walnut Valley Festival Winfield (KS), Bluegrass & Chili Festival (Tulsa-Claremore, OK), Strawberry Bluegrass Festival (Camp Mather, CA), Poppy Mountain Bluegrass Festival (Morehead, KY), Mohican Bluegrass Festival (Greer, OH), The Station Inn (Nashville,TN), e alle edizioni del 1995, 2001 e 2008 dell’ International Bluegrass Music Association IBMA “World of Bluegrass” (Owensboro e Louisville, KY, e Nashville,TN), Fan Fest, suonando in svariati Showcase apprezzati dal pubblico e da esperti del settore”.

©️Red Wine

Infine, domenica 19 settembre viene presentato il progetto A-COR-DA della talentuosa cantante brasiliana polistrumentista Carol Mello che da 5 anni vive in Portogallo.

Un progetto raffinato che,  oltre all’interessante voce della cantante  e  al suono caratteristico delle percussioni brasiliane (tamborim, pandeiro), si avvale delle sonorità degli strumenti a corda quali: contrabbasso, banjo, mandolino, cavaquinho e chitarra classica ed elettrica.

Il gruppo vive e lavora in Portogallo.  Sono presenti nei festival World Music brasiliana con la musica che “allontana tristezza”  quindi samba, choro, bossa nova e MPB. Oggi elaborano nuove contaminazioni sonore con trame musicali dei luoghi in cui hanno vissuto e/o suonato. 

La formazione multietnica è composta da musicisti di varia estrazione musicale: Romain Valentino polistrumentista italo-francese, Martin Pridal  con chitarra classica a 8 corde e il contrabbassista Matteo Marongiu. 

Spettacoli diversi per genere ma accomunati dall’elemento che più di ogni altra cosa unisce, dona spensieratezza e indirettamente libertà. E come ben  scrisse Victor Hugo:

“La musica esprime ciò che non può esser espresso a parole e ciò che non può rimanere in silenzio”.

©️lyciameleligios

Musicultura | Cordas et Cannas, uno sguardo oltre l’isola

“Dove il futuro si innalza nel passato e l’oggi è questo
sguardo. È un occhio il presente, tra un battito di ciglia e
l’altro, in un montaggio permanente di visioni”

Davide Nota

Un nome avvolge l’anima della loro musica, creato da due parole.  La prima rappresenta un oggetto, la corda,  simbolo di unione: l’abbraccio della loro musica verso contaminazioni, con rimandi tra tradizione e innovazione. A ciò, si aggiunga la necessità di confronto e condivisione con altre realtà musicali nazionali e internazionali. Infine, il nome di una pianta graminacea, tipica dell’area mediterranea, la canna, apparentemente  esile in realtà molto resistente.  Evoca la fragilità dell’uomo, soggetto ai venti della vita, in  resilienza e adattabilità. Possiamo ben dire che si distingua per longevità, altra caratteristica di questo gruppo. Loro sono i Cordas et Cannas, gruppo di musica etnica, portavoce delle nostra cultura identitaria in Sardegna e all’estero. 

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Cordas et Cannas – by courtesy of ©️Fabrizio Giuffrida

In questi giorni impegnati nel Musicultura World Festival come promotori dell’importante rassegna musicale, li abbiamo intervistati per ripercorrere insieme la loro storia e per ringraziarli del loro impegno e volontà nel proporre progetti musicali, dove l’attenzione è rivolta non solo alle melodie, armonizzazioni tra  sperimentazione e contaminazione, ma ai loro testi che affrontano tematiche di carattere sociale al fine di indurre una maggior consapevolezza e senso civico in tutti: problemi che affliggono la nostra contemporaneità come la guerra, conflitti, mine antiuomo e salvaguardia  dell’ambiente. Una musica pervasa dall’impegno con tonalità contemporanee.

Cominciamo a parlare di origini, quelle che vi hanno fatto incontrare e portare avanti un progetto musicale prezioso,  legato in parte alla nostro patrimonio culturale.

Il gruppo Cordas et Cannas nasce ad Olbia nel 1978-1979 dall’incontro di musicisti con percorsi musicali differenti, ma intenti ben definiti, avvalendosi,  inoltre, di vari ricercatori in campo storico-antropologico ed etnografico. 

La prima formazione era composta da: Andreino Marras, Gesuino Deiana, Francesco Pilu e Bruno Piccinnu. 

Il nostro percorso musicale è segnato dal confronto tra la nostra realtà socio-culturale e quella del mondo intero. A ciò si deve l’uso di alcuni strumenti quali l’organetto diatonico, launeddas, trunfa, sulittu, armonica,  serraggia, tumbarinu di Gavoi,  a cui si sono accostati  strumenti non tipicamente sardi: le percussioni, il violino, la chitarra elettrica e il flauto traverso, provenienti da altre culture musicali quali le percussioni africane, asiatiche e latino americane. Commistione che si ripropone anche nella scelta ed elaborazione dei testi, laddove accanto agli autori della nostra Isola, si riconoscono echi di autori stranieri.

Qual è la vostra formazione attuale? 

Oggi ci presentiamo con una formazione rinnovata e un sound ancora più coinvolgente e adatto ad ogni tipo di pubblico e contesto. Il gruppo è composto dal cantante/polistrumentista Francesco Pilu,  Bruno Piccinnu (percussioni e voce) fondatori storici del gruppo, Lorenzo Sabattini al basso elettrico fretless, Sandro Piccinnu alla batteria, Gianluca Dessì chitarre e mandola e Alain Pattitoni chitarra acustica ed elettrica più voce.

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Francesco Pilu – photo by courtesy of ©️Fabrizio Giuffrida 

La vostra musica colta si misura tra tradizione e innovazione.

Il nostro percorso musicale parte dal patrimonio culturale della tradizione sarda orale con le sue varianti linguistiche logudorese, barbaricino, campidanese, gallurese e con i propri stili popolari: canto a tenore, cantadores a chiterra, launeddas e danze tipiche.  Prosegue nell’esplorazione di generi musicali, che spaziano dall’Africa all’area del Mediterraneo, fino al mondo della cultura celtica, ponendoli insieme in una piattaforma unica, che ha permesso di sviluppare un suono originale e ha conferito al gruppo una distinta connotazione fin dalla sua nascita. 

Il progetto musicale Cordas et Cannas  si definisce  un viaggio attraverso le radici culturali della musica sarda, attualizzata da armoniosi intarsi sonori, presi da altre culture e generi musicali e,  inoltre, con il percorso musicalimba, si materializza l’incontro tra la musica tradizionale e quella moderna, espressa nelle varie lingue del territorio della nostra regione, con sonorità originali, danze coinvolgenti e canzoni di appartenenza. 

Con il video Terra Muda, che presenta un brano di recente realizzazione, si rappresenta la Sardegna enfatizzando la salvaguardia dell’ambiente; un messaggio che nasce e parte dalla nostra isola,  indirizzato verso tutto il pianeta sintetizzato in una frase:  Un suono, un’idea, un messaggio dalla terra del silenzio“, quasi un mantra che anima i nostri concerti con un concetto “distillato” di un rinnovato e praticabile rispetto verso l’ambiente e la bellissima natura che ci circonda.

Come nasce la ricerca delle vostre sonorità? 

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo far riferimento alla nascita del gruppo quarant’anni fa quando si creavano canzoni e brani strumentali attingendo dalla tradizione, come già espresso prima.  Nell’arco di circa dieci anni, si è lavorato alla composizione di musica originale intorno a quella tradizionale,  ma già ponendo basi di esplorazione artistica spesso molto lontana dai canoni tipici della Sardegna.

Spesso i pezzi venivano proposti da qualche componente del gruppo, visti e visionati da tutti con gli strumenti a disposizione e dopo discussioni sul tipo di brano e il suo contesto, veniva abbozzato in una sorta di prova strumentale. Ognuno svolgeva una propria ricerca esecutiva ed espressiva e quando sentivamo fosse completo e soprattutto funzionale, il pezzo veniva blindato in un arrangiamento definitivo.

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Bruno Piccinnu – Photo by Courtesy of ©️Fabrizio Giuffrida

Da quali autori attingete per ricreare quelle particolari atmosfere e sonorità che evocano, pur mostrando “libertà” negli arrangiamenti, la nostra musica etnica?

Gli autori sono tantissimi e sono quelli che fanno parte integrante dei nostri percorsi musicali. Perciò, non faremo esplicitamente dei nomi, potremo dire che ognuno di noi ha vissuto (chi più chi meno), tutta la musica dagli anni sessanta in poi. I fenomeni rock, blues, jazz e musica d’autore sono stati veicoli importanti verso un confronto con la musica sarda per affermare quest’ultima in un una nuova modalità e con un rinnovato stilema artistico. 

In questo panorama musicale, affiora la musica etnica internazionale e inizialmente i nostri modelli di riferimento sono stati i gruppi del Folk Revival, come Fairport Convention e Alan Stivell e altri di fine anni settanta, ma anche gruppi italiani come Nuova Compagnia del Canto Popolare, Canzoniere del Lazio insieme ad altri. Tutti hanno avuto un ruolo importante nel tracciare una nuova via che sarebbe diventata la musica caratterizzante del nostro gruppo.

Dopo i tre lavori discografici dei primi dieci anni, abbiamo dato molta importanza ai concerti e quindi alla musica dal vivo, producendo un disco live seppur completato in studio. Crediamo che ci siano stati brani, da noi composti, che abbiano avuto tantissime contaminazioni artistiche. Infatti abbiamo cercato di mettere insieme testi di poeti contemporanei della Sardegna con musiche originali, con riferimenti al canto a tenore e in qualche occasione alla musica cosidetta progressiva, utilzzando strumenti musicali non convenzionali. In quarant’anni anni di musica, ci  definiscono ancora oggi, gli “innovatori della musica sarda”, crediamo sia un complimento di cui andar fieri.

Tra i temi proposti si evidenziano quelli legati al sociale e alla complessa contemporaneità, come nelle canzoni degli album Fronteras e Ur, dove accanto al recupero della tradizione, intense emozioni s’intrecciano su narrazioni di sofferenze. Un richiamo, una denuncia. 

Il mondo deve prendere coscienza delle ingiustizie gravi che subiscono gli “ultimi e le popolazioni senza futuro” spesso a causa delle politiche di sfruttamento imposte dai grandi della Terra. 

Noi abbiamo sempre sostenuto associazioni umanitarie, quali Emergency, Amnesty International e altre, che operano in luoghi e territori che sono ai confini del rispetto dei diritti umani ed economici, in particolare Emergency, l’organizzazione italiana che offre assistenza medico-chirurgica gratuita e di elevate qualità alle vittime dei conflitti e povertà, nei teatri di guerra.

Crediamo che il senso civico debba sempre essere presente e vivo. Opporsi alle logiche del profitto a tutti i costi, sia una conseguenza naturale, pensiamo che gli interessi economici dei grandi del pianeta attraverso grandi poteri, siano la ragione che sta portando il mondo verso una via di non ritorno; guerre, consumo sfrenato del territorio, sviluppo tecnologico senza fine, insensibiltà concreta verso i cambiamenti climatici, sono temi che abbiamo sempre usato nella nostra attività musicale.

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Lorenzo Sabattini – photo by courtesy of  ©️Fabrizio Giuffrida 

Il vostro stile musicale oggi è sempre alla ricerca di nuove sperimentazioni vicine al jazz… forse una libertà di espressione musicale che la tradizione non concede?

La prima canzone che abbiamo ripreso e arrangiato è stata “S’ora chi no tt’ido“ di Maria Carta. Un brano che non abbiamo mai inciso, che però nei primissimi anni abbiamo sempre suonato. Nel 1983 abbiamo rielaborato “Dillu” dal testo di Peppino Mereu, a “Nanni Sulis” conosciuto come “Nanneddu”, che sono stati elementi identificativi del nostro progetto musicale. 

Da allora ad oggi,  il nostro repertorio si è totalmente evoluto, con incursioni sonore verso tutta la musica, afro, jazz, rock e altro. Abbiamo creato una sorta di piattoforma musicale in cui convivono elementi della tradizione e modelli totalmente differenti. 

Ci sentiamo privilegiati in questo, poichè a distanza di quarant’anni i nostri concerti sono animati da brani che oggi sono diventati tradizionali, ma anche da altri che hanno proiezioni di grande attualità.

Il fatto che abbiamo conservato il DNA degli stili del patrimonio musicale sardo, ci permette e ci dà la possibiltà di spaziare nella musica a trecentosessanta gradi; naturalmente, a nostro rischio e pericolo. Prevale comunque l’idea che la musica made in Sardegna può essere tranquillamente esportata in tutto il mondo, a patto però che nel conservare le proprie radici venga riconosciuta come tale. In questo siamo stati pionieri e perciò ci sentiamo di percorrere un “working in progress” che ci spinge e ispira in continuazione.

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Sandro Piccinnu – photo by courtesy of ©️Fabrizio Giuffrida

Musicultura World Festival è stato per anni un vostro progetto musicale molto seguito. Si ha nostalgia del Festival di dicembre, quando la diversità della musica etnica si fonde in armonia, bellezza, incontro, confronto, rispetto, condivisione. Si rappresenta quell’energia e forza vitale che solo certe espressioni musicali riescono a trasmettere. E quest’anno il via alla 31 edizione con qualche novità. 

Il progetto Musicultura Sardegna, che ricordiamo è sovvenzionato dalla Regione Sardegna, ci permette di diffondere momenti di scambio culturale ed arricchimento vicendevole con altri paesi: Europa, Africa, Asia,  etc. Ogni evento musicale fa  riferimento alle culture etniche diffuse in tutto il mondo, una scelta verso tutti quegli artisti che viaggiano con l’intento di portare a conoscenza le tradizioni culturali e musicali del proprio luogo d’origine.

Quest’anno vogliamo ricordare che la nostra attività Musicultura Sardegna ha realizzato il festival Finis Terrae in collaborazione con il Comune di San Teodoro a settembre, in cui si sono esibiti: LamoriVostri, una formazione femminile che porta in giro per il mondo la musica del sud Italia  e Kilema, musicista del Madagascar, molto conosciuto e vero ambasciatore della sua terra. 

Il Musicultura World Festival che da un paio d’anni si svolge in forma itinerante, per questa 31° edizione sarà presente a Martis, Olbia, San Teodoro e Straula. Questa nuova formula propone eventi culturali in vari luoghi espandendo così l’offerta artistica per un coinvolgimento più diffuso del territorio. L’intento è proprio quello di rappresentare la musica etnica come fusione di “armonia, bellezza, incontro, confronto, rispetto, condivisione”. 

Quando è nata l’idea di ospitare validi musicisti di ogni parte del mondo?

Come gruppo sentivamo l’esigenza di rapportarci con le istituzioni in forma più programmata, ed  essere più attivi nella nostra attività concertistica. Con il festival avremmo avuto l’opportunità di confrontarci con musicisti provenienti da varie parti del mondo. Creavamo, quindi, un movimento culturale che nel corso degli anni si affermò come il più importante nel suo genere. 

Costituivamo l’associazione tra il 1989 e il 1990 e contestualmente alla sua nascita organizzavamo il primo festival di musica etnica e jazz ad Olbia.

Per noi è stato molto costruttivo perché ci ha permesso di viaggiare e di stabilire contatti con organizzazioni musicali in tutto il mondo e  porre al centro la cultura della Sardegna. 

Un esempio rilevante é stato il confronto con Peter Gabriel che ci ha ospitato nei suoi Festivals,  definiti Womad. E’ stata una grande opportunità avere collaborazioni importanti con musicisti jazz come Paolo Fresu, Antonello Salis e Eugenio Colombo e con altri artisti internazionali di musica etnica: Aborigeni Australiani, Michel Heupel (Germania), Cotò (Cuba), Gilla Haorta (Brasile,) Kilema (Madagascar), Brendan Power (Nuova Zelanda), Ravy (Inghilterra.

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Gianluca Dessì – photo by courtesy of ©️Fabrizio Giuffrida

Avete cantato e suonato con artisti di rilievo nel mondo della musica: Peter Gabriel, Paolo Fresu, Andrea Parodi … Quale artista ha lasciato tracce nella vostra storia musicale?  Quali ricordi? 

Partiamo dai ricordi… Partecipare ai festivals di Peter Gabriel è stata una cosa straordinaria. Gli eventi Womad sono dei passaggi molto importanti per qualsiasi musicista del mondo. Aver fatto parte, in qualche occasione, di quelle manifestazioni internazionali è grande motivo di orgoglio per noi e per la Sardegna. 

Il  confronto musicale con Peter Gabriel è stato molto interessante. Un musicista che ha influenzato generazioni di artisti e ha dato un enorme contributo alla vita stessa della musica etnica di tutto il mondo. 

Andrea Parodi é stato un musicista che ha sempre manifestato grandissima stima nei nostri confronti, con cui abbiamo condiviso progetti artistici e ci siamo esibiti negli stessi palchi. 

Voce di straordinaria intensità e bellezza che come musicista ha saputo  sperimentare nuovi percorsi come pochi. Artista che dal pop si è totalmente avvicinato alla musica etnica sarda e mediterranea.

Paolo Fresu, Antonello Salis, Eugenio Colombo e altri validi musicisti hanno dato un valore aggiunto ad alcune nostre registrazioni e verso i quali nutriamo grandissima stima e riconoscenza. In quarant’anni il nostro percorso è stato tracciato da tantissime collaborazioni con artisti jazz e di musica etnica, cementando la nostra configurazione musicale fino ad oggi.

La musica etnica come patrimonio universale va tutelato. È l’anima della nostra identità. Come evitarne la dispersione?

Crediamo che la musica etnica non si spegnerà mai! Potrà non essere presente nei media, nelle televisioni o potrà sembrare fuori moda, ma pensiamo che  sempre saprà affermarsi in tutta la sua forma, perché fa parte della cultura, dell’anima di tutte le popolazioni. 

La musica in generale, ciclicamente attinge dalla musica popolare, specie nei momenti di crisi identitarie. Certo mai abbassare la guardia, si deve tutelare per la sua potenzialità identificativa e di appartenenza. Spesso la sua  folclorizzazione commerciale può sminuirne il valore. Paradossalmente, una sua intellettualizzazione può rappresentare un nuovo interesse per i giovani, spostarsi dagli schemi di rappresentazioni tradizionali può essere motivo di riscoperta  e ciò potrebbe avvicinarli. 

Pensiamo ai festivals dove la musica etnica può convivere e confrontarsi con generi musicali  più moderni, per cui le nuove generazioni possono acquisire  le conoscenze delle proprie radici. Nei paesi anglosassoni questo succede molto spesso.

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Alan Pattitoni – Photo by courtesy of ©Fabrizio Giuffrida 

La musica è cultura da condividere. Potremo pensare alla musica come veicolo d’idee con una potenzialità immensa quella divulgativa. Rientra nelle finalità del vostro gruppo?

Certamente la musica è cultura da condividere. In particolare quella etnica  rappresenta la vita dell’uomo fin dalla sua nascita, perciò va preservata e divulgata. Noi, come gruppo, abbiamo sempre inteso l’arte musicale come un veicolo d’idee. Spesso i nostri testi affrontano tematiche legate al sociale, all’ambiente,  all’amore e all’armonia tra popoli e contro qualsiasi forma di violenza e guerra. 

Il tema identitario della nostra terra comunque ha rappresentato un motore divulgativo che ci ha contraddistinti. In Sardegna, spesso, veniamo identificati come difensori del nostro patrimonio culturale.

Il Mediterraneo luogo di origine, d’incontri, di eclettismo e di originalità intesa come distinzione. Un luogo a cui voi spesso fate riferimento, che importanza gli attribuite?

Il Mediterraneo luogo e crocevia di culture che si mescolano e si rigenerano da millenni in cui la Sardegna ha avuto la fortuna di ritrovarsi proprio nel suo centro,  mantenendo una sua forte connotazione identitaria e di grande originalità che esprime nel suo immenso e originale patrimonio culturale.

Come gruppo abbiamo scelto di cantare i testi utilizzando  idiomi di questa terra, con la musica invece abbiamo attinto da tutto ciò che offre il Mediterraneo. Nei nostri brani si percepiscono influenze arabe, spagnole, africane.

Questa è la ricchezza culturale che deve essere raccolta e portata avanti nei progetti a largo respiro e con prospettive internazionali.

La musica multietnica può insegnare che la diversità può essere vista come una infinita risorsa. Che ne pensate?

La multietnicità è un valore aggiunto in tutte le circostanze sociali e di vita… Ne siamo fermamente convinti, nella musica poi, le mescolanze, le commistioni di generi musicali,  le condivisioni nelle diversità, sono   forze  autentiche  dal potere  aggregante che hanno generato la musica in tutto il mondo.

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Photo by Courtesy of ©Archivio Cordas et Cannas

Una lunga carriera musicale, negli anni avete mostrato coerenza per linguaggi sonori, per significati e temi proposti. Lo scorso anno avete raggiunto un traguardo importante: 40 anni di musica. 

Sì, abbiamo oltre quarant’anni anni di attività live e siamo la più longeva formazione della worldmusic sarda con un’attività concertistica che ha portato la band in varie parti del mondo: Australia, Stati Uniti, Sud America e Nord Europa. È una sensazione indescrivibile per noi.   

La forza, ci viene trasmessa dal pubblico  come energia  che raccogliamo durante i concerti  dove si crea un contatto diretto con chi ci ascolta. 

Il gruppo esiste ancora, in tutti questi anni, grazie alla gente che lo apprezza e gli riconosce: di aver tutelato le nostre radici identitarie e di aver saputo infondere valore aggiunto alla musica sarda con ricerche su sonorità più  moderne ed internazionali.   

Il nostro percorso musicale è stato un crescendo di melodie e arrangiamenti, strumenti e musicisti. Oggi possiamo affermare che abbiamo saputo mantenere una certa coerenza artistica che ci fa sentire in piena armonia con noi stessi. Naturalmente non spetterebbe a noi affermarlo…

Un ultima domanda per concludere, avete in cantiere qualche nuovo progetto musicale?

Terra Muda è un brano di cui abbiamo realizzato un video, pubblicato sul nostro canale You Tube, nell’estate del 2007. Una canzone che parla della necessità di cambiare strada nell’utilizzo delle risorse del nostro pianeta, ma anche di noi stessi che dobbiamo prendere coscienza per la salvaguardia dell’ambiente, per lasciare un luogo vivibile alle future generazioni. Dal progetto video è stato realizzato un cd con altri brani, che ora suoniamo nei palchi dove ci esibiamo, nella speranza di poterlo pubblicare al più presto. 

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©️Riproduzione Riservata 

 

[Articolo pubblicato il 15 Dicembre 2019 su Olbia.it]